Amarcord
Chi si ricorda l’ormai archiviato referendum per la parziale abrogazione della legge 40, quella della Procreazione Medicalmente Assistita?
Per poco tempo in tanti hanno manifestato sollievo per la fine di un fantomatico far-west riproduttivo in cui, senza regole, il desiderio femminile di maternità suscitava scandalo, sono passati al contrattacco sulla 194, confermando che quello che conta per loro, è ricacciare tutte le donne in un regime di minorità e di tutela. Restano paghi dei principi sanciti dalla legge e incuranti della loro effettiva applicazione, molto difficile in un’Europa senza frontiere in cui solo la capacità economica di spostarsi fa la differenza tra chi può e chi invece rimane bloccato dalla normativa liberticida italiana.
Questa legge ormai dimenticata invece continua a limitare la libertà personale. Vietando l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita a soggetti diversi da coppie eterosessuali, questa legge continua a violare il diritto alla salute andando pesantemente contro la definizione di malattia data all’infertilità dall’OMS, e impedisce l’autodeterminazione negando la libertà di maternità assistita a tutte le donne, indipendentemente dalle loro scelte sessuali e affettive. La schedatura prenatale dei nati con tecniche di fecondazione assistita, fa parte di un preciso disegno di controllo.
La definizione di regole attorno alla PMA e alla ricerca genetica non sarebbe dovuta passare per una legge imposta dallo Stato, frutto di compromessi reciproci tra preti e medici, ma semmai essere determinata dalle pratiche di condivisione maturate nel settore dei centri dove si svolgono interventi di fecondazione assistita, avrebbe dovuto garantire una pluralità di indirizzi e una concezione laica e rispettosa delle scelte riproduttive, individuali e di relazione di ciascuna/o di noi.
Come dimostra l’esperienza italiana in relazione all’aborto, le regole imposte come leggi dall’alto e non condivise sono disattese anche a costo di pesantissimi prezzi pagati individualmente da chi ritiene, con ragione, di dover scegliere per sé e per la propria vita. Se le donne non hanno in quella occasione saputo o potuto esprimere, come già in altri momenti della storia recente, una chiara e netta opposizione, non per questo sono inconsapevoli dei pericoli che questa legge presenta, non per questo abbiamo abbandonato la battaglia. Siamo stufe e stufi del gioco al ribasso condotto ancora una volta dalla politica istituzionale sulla nostra libertà, non ci basta difendere la 194: per parlare di autodeterminazione la parola definitiva deve venire dalla costruzione di una condivisione dal basso, che parta dalle relazioni e rimetta in discussione la necessità stessa di leggi che pretendono di decidere della nostra vita.
da Alternativa Libertaria - gennaio 2006, foglio telematico della FdCA