5° CONGRESSO

Federazione dei comunisti anarchici

Firenze, 13-14 dicembre 1997

RELAZIONE INTRODUTTIVA DELLA SEGRETERIA NAZIONALE

 

La lettura della situazione attuale appare estremamente preoccupante dal nostro punto di vista.

Si fa un gran parlare di precarizzazione, di centralità del mercato, di centralità dell'impresa e ella produzione e questa specie di materialismo del capitalismo oscura l'etica, sembra aver perso ogni riferimento a valori che non siano quelli del profitto a tutti i costi. Si sostiene, ad esempio, che qualsiasi pezzo di mercato può essere sostituito da un altro, qualsiasi produzione può essere spostata dovunque. In effetti, però, il controllo capitalistico sul ciclo produttivo è abbastanza completo, quella che invece viene segmentata non è tanto la produzione, quanto la società. Quello che passa, in realtà, è una sorta di competizione non tanto tra settori produttivi, quanto tra individui. Ne abbiamo degli esempi molto recenti anche in Italia: i sindacati confederali hanno firmato un accordo sullo stato sociale, che è diventato un maxi emendamento alla finanziaria 1998. Questo accordo è stato sottoposto all'approvazione dei lavoratori e approvato a grande maggioranza con un ricatto molto semplice: voi lavoratori privati votatelo pure, tanto tocca solo gli interessi dei lavoratori pubblici. Si è rotto così quel fronte comune dei lavoratori che abbiamo sempre tentato di creare - spesso con poco successo - e che invece dovrebbe essere uno degli assi portanti della confederalità. Un altro esempio l'abbiamo avuto due anni fa, ancora una volta in materia pensionistica con la cosiddetta "riforma Dini", passata anche questa tra i lavoratori con la motivazione che poteva essere votata perché toccava gli interessi di chi aveva meno di 18 anni di contributi, e soprattutto di chi ne aveva meno di 8. Si è così prodotta una frattura dell'alleanza e della solidarietà tra generazioni, in particolare tra i pensionati e i giovani che non godranno più di un trattamento previdenziale adeguato.

Ma altre divisioni entrano nella nostra società sotto forma di miti, miti che appena alcuni anni fa non esistevano, come quello della stabilità di governo. Questa operazione è avvenuta gettando nell'universo mediatico la stabilità di governo come valore in sé, positivo, indispensabile; ciò ha consentito di far passare la riforma maggioritaria come strumento per realizzarla e insieme come valore ed il passo successivo è stato l'introduzione del presidenzialismo che oggi sta per essere realizzato. Fino a pochi anni fa chi proponeva il presidenzialismo era di destra, veniva etichettato come fascista; oggi il presidenzialismo viene presentato come tema comune a destra e sinistra parlamentare e sembra che sia un bene perché - si dice - in materia di democrazia esso assicura il massimo di partecipazione popolare. Un altro tema è quello dell'immigrazione clandestina vissuta e fatta vivere come aggressione ai livelli di vita interni di ciascuno di noi. L'immigrato diviene qualcuno da temere, tanto che si organizzano addirittura comitati di quartiere per contrastarne la presenza sul territorio. Qui a Firenze, ad esempio, ne è nato uno contro un campo nomadi, i cui abitanti vengono accusati di essere tutti ladri e spacciatori, per non parlare di quanto è successo a Torino dove, un intero quartiere si è mobilitato per impedire che immigrati fossero ospitati in un dormitorio pubblico.

Un ultimo dato, anche questo estremamente preoccupante, è costituito dall'orientamento della sensibilità comune a favore della pena di morte. Trent'anni fa in Italia i favorevoli alla pena di morte erano pochissimi e in gran parte legati all'estrema destra. Appena qualche giorno fa un'iniziativa promossa da un'associazione per i diritti umani che ha coinvolto le scuole è stata accompagnata da un sondaggio che ha dimostrato come più del 40% degli intervistati sia favorevole alla pena di morte, soprattutto nella fascia di età che va dai 20 ai 40 anni.

Non è un caso che in questa fase di materialismo privo di valori, che sta avanzando, l'unica agenzia internazionale di un certo rilievo che si oppone alla globalizzazione del capitale è la Chiesa cattolica che dal suo punto di vista - non dal nostro - teme una società che non ha più nessuna etica.

Se la Chiesa cattolica punta all'etica, ovviamente cercando di non mettere in discussione la struttura dei rapporti di produzione, il capitalismo punta soltanto ai rapporti di produzione. Questa esemplificazione ci serve per spiegare che, in un certo senso, la nostra posizione non può che essere intermedia: si tratta di rilanciare quello che potremmo definire un "materialismo etico", cioè un materialismo che cerca di soddisfare i bisogni e gli interessi reali in una visione diversa della società, in un quadro di rapporti sociali diversi. Noi sappiamo che uno degli errori storici del marxismo è stato quello di credere che l'evoluzione automatica della struttura, senza una guida utopica, potesse condurre al comunismo. Il comunismo veniva quindi visto come sbocco necessario dell'evoluzione dei rapporti di produzione; la capacità produttiva si sviluppa fino ad un punto critico nel quale l'involucro dei rapporti di produzione si rompe e quello che ne scaturirà sarà inevitabilmente il nuovo ordine comunista.

Invece il capitalismo sa programmare e operare per superare le sue contraddizioni, certo creandone altre da affrontare, in un processo evolutivo che non ha uno sbocco di per sé meccanico. A questa capacità progettuale noi comunisti anarchici dobbiamo rispondere con un nostro progetto: quello di una società che soddisfi i bisogni e gli interessi nel modo più completo possibile, ma sulla base di valori come la solidarietà e l'uguaglianza intesi nel senso più pieno della parola.

Qualcuno ha detto che la politica è l'arte del possibile. Se ciò è vero, la lettura che si dà oggi di questa parole è che la politica è gestione dell'esistente. Noi crediamo invece che bisogna rilanciare la politica come arte del possibile, ma al tempo stesso come realizzazione dei desideri; dobbiamo mettere nella nostra azione una visione del futuro che tenda a coniugare situazione reali, rapporti di forza e progetto utopico. E' questo l'unico modo possibile per combattere i disvalori, la cui crescita è stimolata dal mercato globale, anche tra la gente, tra i lavoratori; perché questi disvalori sono funzionali a rendere possibili e "digeribili" mutamenti a livello istituzionale, in senso involutivo anche rispetto ai canoni della democrazia borghese, nonché a rendere possibili modifiche di carattere strutturale funzionali a superare, in una determinata fase storica, le contraddizioni del capitale, senza che si crei opposizione. Il capitale è ben consapevole che non esiste nessuna forma di dittatura che può sopravvivere con la costante e totale opposizione della società, bisogna quindi creare quel consenso di massa, in grado di garantire sia le modifiche strutturali, che quelle istituzionali rese necessarie dalla fase congiunturale capitalistica. Della connessione tra mutamenti strutturali e mutamenti istituzionali abbiamo numerosi esempi: la convinzione che l'unità europea sia un bene in sé e che occorra quindi costruire istituzioni sovranazionali comuni, ha consentito e consente di far passare contenuti strutturali del trattato di Maastricht. Opporsi oggi a questo progetto anche attraverso una analisi logica e coerente, motivata, è divenuto impossibile perché l'obiettivo UE è divenuto comune a tutti, è avvertito da tutti come una soluzione irrinunciabile ai mali dell'economia. Allo stesso modo è divenuto un obiettivo comune e indiscutibile abbattere l'inflazione, dimenticando o fingendo di dimenticare che decenni di economia keynesiana hanno permesso di convivere con tassi di inflazione programmati ad alto livello, assicurando, nel contempo, lo sviluppo economico. E' divenuto un valore di per sé il risanamento dei conti pubblici, come è diventato un bene che i servizi che lo Stato offre, o dovrebbe offrire, siano comunque in attivo, perché devono stare sul mercato, essere "competitivi". Tutti tranne la scuola, perché la scuola non è un servizio e quindi bisogna finanziarla: quella cattolica, ovviamente.

In realtà questo assunto del mercato che regola la vita di tutti ha un valore più mediatico che reale. Basta guardare con attenzione e ci si rende conto che numerosi settori produttivi non sono regolati assolutamente dal mercato; ciò è vero ancor più in Italia, dove molti settori produttivi hanno beneficiato e beneficiano di ampi finanziamenti statali (basti pensare all'insediamento della FIAT a Melfi, in Basilicata, totalmente realizzato con finanziamenti statali). Eppure nessuno, malgrado la recente vicenda delle quote latte, rileva la contraddizione: come è possibile, in un mercato che si sostiene sia regolato solo dalla competizione, assegnare delle quote di produzione ai singoli paesi. Sembrerebbe ovvio che chi produce possa vendere liberamente sul mercato; invece la produzione è "quotizzata" tra i diversi produttori, proprio al fine di regolare il mercato. In senso opposto sembrano andare le rivendicazioni degli olivocultori pugliesi che chiedono limiti alla libera circolazione delle merci e a libero mercato proprio al fine di garantire la produzione e sostenere il prezzo. Così mentre i produttori di latte vogliono la liberalizzazione del mercato, quelli dell'olio chiedono la protezione dai produttori esterni.

La valenza mediatica dell'affermazione che deve essere il mercato a regolare l'economia emerge, con tutta evidenza, se si guarda alla recente discussione in seno alla comunità europea su chi parteciperà alle scelte in materia monetaria dopo la creazione dell'euro: coloro che accedono alla moneta unica o anche gli altri paesi dell'Unione? Ebbene, coloro che accederanno alla moneta unica -se mai ci sarà- saranno quelli che accetteranno di adottare una politica concertata e comune. Tutti gli altri saranno fuori e ciò non potrà che creare delle barriere al commercio; tanto è vero che molte multinazionali, che hanno scelto in passato l'Inghilterra come base per i loro investimenti e la loro penetrazione nel mercato interno europeo, dovranno rivedere la loro politica, visto che l'Inghilterra ha scelto di stare fuori dall'euro.

Questa idea della globalizzazione dei mercati serve soprattutto per ingenerare l'accettazione nelle masse dei sacrifici, della volontaria rinuncia a conquiste sociali che sono frutto di interi cicli di lotte operaie, della flessibilizzazione del lavoro più che del mercato. Tra l'altro, a dimostrazione del fatto che utilizzando accortamente i mass media è possibile vendere di tutto, basti pensare a quanto ha fatto Berlusconi nel 1994, inventando un partito nell'arco di tre mesi e vincendo le elezioni. Questa lezione è servita, è servita anche alla controparte. Basti ricordare che appena si è paventata una crisi di governo del centro sinistra, i metalmeccanici di Brescia si sono recati a Roma per esercitare pressioni a favore di una ricomposizione della crisi, dimenticando che questo è il governo che ha fatto una finanziaria più pesante di quella di Amato (100.000 miliardi lo scorso anno), che sta finanziando la scuola privata, che vuole il ritorno in Italia dei Savoia; erano convinti, e forse lo sono ancora, che questo è un governo di sinistra!

Ma la crisi di identità e di punti di riferimento non è solo italiana: non c'è più, anche a livello internazionale, una visione alternativa a quella del capitale. Ad esempio, guardando ai partiti socialdemocratici europei ci si accorge che di sinistra c'è ben poco. Blair, già considerato liberista in economia, è il miglior supporter della monarchia inglese in crisi. Jospin sta diventando sempre più realista, perdendo pezzi del suo programma, in parte alternativo, in parte neo-keynesiano, sposando posizioni "realistiche" e cercando di utilizzare le posizioni di paesi, come l'Italia, per contrastare le posizioni egemoni della Germania nell'area dell'euro. Anche il "conflitto" tra Lafontaine, su posizioni neo-keynesiane e a favore dello stato sociale, e Schröder in Germania serve a rassicurare le diverse componenti dell'elettorato socialdemocratico, più che a far emergere posizioni e programmi alternativi al progetto del capitale. Probabilmente il candidato sarà il moderato Schröder che permetterà di raccogliere l'elettorato di centro, che, in questa fase politica, è considerati rappresentare l'ago della bilancia delle maggioranza politiche, rendendo nel contempo possibile la sconfitta della posizione conservatrice, termine con il quale vengono indicati oggi coloro che vogliono conservare almeno i tratti essenziali dello stato sociale. La stessa Internazionale Socialista appare priva di ogni capacità di elaborazione politica, incapace di sostenere partiti e movimenti anche semplicemente democratici e progressisti.

Bisogna rendersi contro che con la caduta del muro di Berlino non si è prodotta quella situazione che molti, anche tra gli anarchici, preconizzavano. Il crollo del dell'impero dell'Est non ha liberato energie positive, non ha fatto rinascere né la coscienza di classe né stimolato una riflessione autocritica all'interno della sinistra. Ha anzi stimolato una omologazione acritica e consentito la nascita del cosiddetto "pensiero unico". Tutti la pensano allo stesso modo, non c'è più alternativa. Bene o male l'esistenza di un modo diverso di concepire i rapporti sociali, anche se non era il nostro, era la garanzia di un conflitto anche di idee. Ciò fa sì che, se oggi il capitalismo è dominante, lo è anche per quanto riguarda il controllo delle idee; prova ne sia che si danno per scontate posizioni che solo fino a pochi anni fa avrebbero fatto rabbrividire. Guardiamo ad esempio a quello che sta passando attraverso la gestione dell'antitrust da parte di Amato, anche se il fenomeno è internazionale. Si smantellano le compagnie aeree di bandiera, si abbattono i costi per le imprese del settore e cadono più aerei. La situazione è particolarmente drammatica negli Stati Unii dove, a fronte di un moderatissimo contenimento dei prezzi alla clientela, sono enormemente cresciuti gli incidenti per invecchiamento progressivo dei velivoli, mancata manutenzione, equipaggi incompleti ed affaticati, impianti aeroportuali sempre più inefficienti, perché gestiti e di proprietà delle compagnie che li usano, peggioramento delle condizioni di lavoro in tutto il settore. Questi sono gli effetti delle parole d'ordine impostesi anche in Italia sulla maggior efficienza dei privati, sull'effetto positivo della concorrenza e del mercato, sul fatto che i servizi devono essere concorrenziali.

L'applicazione di questi slogan ha effetti perversi inimmaginabili. Ad esempio l'ufficio europeo di controllo accusa l'Italia di mantenere una gestione monopolistica della forza lavoro attraverso gli uffici di collocamento ed chiede che vengano affiancati da agenzie private, che svolgano la stessa funzione in concorrenza. Ebbene, l'ufficio di collocamento non è uno strumento di gestione monopolistica della forza lavoro, ma dovrebbe essere lo strumento attraverso il quale avere la garanzia che vengano effettuati i necessari controlli, in modo da garantire che l'assunzione non sia clientelare o strumento di discriminazione ideologica, razziale, religiosa, ecc. E' evidente che la rottura di questo "monopolio" apre la via al collocamento nominale.

Un altro fenomeno che fino a pochi anni fa era per noi inconcepibile è la nascita delle liste elettorali incentrate sulle persone. Dopo la Lista Pannella, abbiamo avuto quella Segni, Dini, Di Pietro, e non sappiamo ancora quante altre ne avremo; i Sindaci vengono eletti sulla base di un rapporto fiduciario e personale. La politica si è personalizzata ed epurata dalle idee e dai programmi. Sono così venute meno le basi stesse della democrazia rappresentativa basata sui grandi partiti di massa.

All'origine di quanto è avvenuto stanno cause strutturali ed elementi sovrastrutturale di non secondaria importanza. All'origine di questi fenomeni sta, ad esempio, la frantumazione della classe operaia e del mondo del lavoro. Penso al telelavoro, al lavoro a domicilio collegato alla grande fabbrica integrata di Benetton, alle cooperative no-profit, ai contratti di lavoro che vanno dividendo i lavoratori in comparti sempre più frammentati e tra loro in contrapposizione, alla distruzione del contratto nazionale di lavoro e al passaggio alla contrattazione ad personam, prova ne sia che nella scuola, con l'ultimo contratto ogni lavoratore ha dovuto firmare il proprio contratto individuale di lavoro. E' giunto ad uno stadio sempre più avanzato la frantumazione della classe e dei suoi interessi.

Anche il documento varato dalla bicamerale sulle riforme istituzionali era impensabile 15 anni fa e consente oggi le riforme istituzionali.

Si dice che il testo proponga l'adozione di strutture federali, ma ciò non è vero. Il federalismo si caratterizza per lo sviluppo delle strutture autonome territoriali alle quali viene trasferita la competenza relativa ad un ampio numero di materie. Invece nello schema messo a punto dalla bicamerale l'autonomia di esercita nell'ambito di leggi speciali, che ne delimitano gli ambiti e comunque lo Stato centrale può avocare a sé la competenza o regolamentarla quando ritenga che ciò sia necessario per assicurare l'unità dello Stato e gli interessi nazionali. Questo potere di avocazione, tipico di un interventismo statale molto elevato, ci fa dire che quello che passa è un federalismo possibile, in particolare quello fiscale, estremamente preoccupante, che consente di trattenere a livello locale i proventi derivanti dall'autonoma capacità di imposizione degli enti territoriali, con la conseguente accentuazione delle differenziazioni tra le diverse aree del paese, tra zone ricche e zone povere. E' già avvenuto con l'ICI e si ripeterà con l'IRAP e la tendenza è destinata a crescere, senza che vi siano strumenti per ridistribuire a livello generale queste risorse.

Un altro settore dove opera il riformismo e il federalismo possibile è quello della formazione e della scuola. L'autonomia scolastica significa questo: la riforma dei cicli decisa da Berlinguer tende a dare potere alle Regioni e alla formazione professionale regionale per spezzare l'unitarietà della formazione nazionale. La cosa più preoccupante è che queste forme di federalismo non passano attraverso la bicamerale e non hanno bisogno dei tempi che essa richiede, né di maggioranze qualificate, ma vengono introdotte nell'ordinamento attraverso leggi come quelle predisposte da Bassanini. Così la grande riforma dello Stato non viene fatta attraverso le procedure costituzionali, per ciò stesso palesi, ma in modo surrettizio, attraverso un mixer di procedimenti amministrativi, di leggi di accompagnamento alla finanziaria - per ciò stesso soggette ad un potere emendativo del Parlamento certamente accentuato -, leggi di delega gestire direttamente dall'esecutivo.

Alle considerazioni precedenti va aggiunti che la Bicamerale ha largamente travalicato il mandato conferitole, che ne limitava il compito alla riforma della Parte seconda - Ordinamento della repubblica- della Costituzione, aggredendo quella parte che si occupa della tutela delle libertà e dei diritti, rimettendo in discussione principi supremi dell'ordinamento costituzionale, immutabili, perché rompono il patto sociale e politico che stava alla base dell'ordinamento al momento dell'approvazione della carta costituzionale e della nascita della Repubblica. Questi principi erano quelli di uguaglianza, rimesso in discussione dalla generale introduzione del principio maggioritario sempre più accentuato, che mortifica le minoranze e le lascia prive di rappresentanza e di tutela, abolendo i residui di proporzionalismo presenti nel sistema elettorale. Ma ad essere rimessa in discussione è anche la tutela della persona. E' il caso di ricordare che l'art.3 della Costituzione recita: "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Si tratta di un principio avanzatissimo non contenuto in alcuna altra Costituzione. Non solo si riconosce che l'eguaglianza non esiste ma la Repubblica deve fare in modo che gli ostacoli frapposti alla realizzazione di una eguaglianza effettiva devono essere rimossi, anche attraverso la creazione, da parte della intera compagine sociale e mediante i poteri pubblici, delle condizioni strutturali che la consentano. Ebbene, l'art.56 predisposto dalla Bicamerale, introduce il principio di sussidiarietà, che trasferisce ad enti, associazioni, formazioni sociali, compiti e funzioni nel campo dei servizi atti a creare le condizioni suddette. La tutela si sposta dalla persona al gruppo di appartenenza e la rimozione degli ostacoli ad un effettiva eguaglianza è affidata ad un intervento succedaneo e volontario. Vengono meno insomma quelle garanzie che i costituenti del 1948 vollero per tutti e ritennero potessero esplicarsi a condizione che tali attività venissero svolte dai poteri pubblici e facendone gravare i costi sull'intera collettività.

Ma lo stravolgimento di valori e principi supremi della Costituzione non si ferma qui. Ci riferiamo all'art.100 del progetto che stravolge l'attuale art.11 che recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni,…". Bene, l'art.100 consente invece le azioni dell'esercito italiano fuori dal territorio nazionale.

Questo stravolgimento di valori non avviene solo nella Bicamerale, ma passa anche attraverso i contratti collettivi nazionali di lavoro, che poi hanno effetti per tutti i lavoratori e, in ultima analisi, per tutti i cittadini. Proprio attraverso un accordo sindacale si è introdotta l'idea del ricorso al "redditometro", che rappresenta l'attacco finale al residuo di stato sociale che sussiste in Italia. Infatti lo stato sociale per sua natura è universalista, muove cioè dal concetto che alcuni diritti, alcune garanzie fanno parte dei diritti della persona e come tali vanno assicurati a tutti, indipendentemente dal reddito e a carico della fiscalità generale. La perequazione avverrà successivamente attraverso la tassazione progressiva, in modo che ognuno contribuisca a costruire le risorse necessarie per la spesa pubblica in rapporto all'entità del proprio reddito e secondo le sue capacità. Nel momento in cui si introduce il redditometro, il principio universalistico viene meno, poiché i servizi sociali saranno riservati a coloro che dimostrano di essere indigenti, con il risultato che una prima misura sarà la riduzione delle tasse per coloro che dei servizi non usufruiscono e dovranno provvedere a pagarli in proprio. Da qui la riduzione delle risorse pubbliche disponibili e quindi un servizio di qualità sempre più scadente e la parallela crescita di servizi di qualità riservati agli utenti paganti. Si apre la strada all'americanizzazione di servizi, come ad esempio quello sanitario, i cui effetti disastrosi son ben noti. Ma non basta. Si va diffondendo il ricorso all'appalto con risultati drammatici come quello verificatosi a Milano, dove si è preferito pagare ai privati l'uso della camera iperbarica, consentendo al privato di recuperare, in tal modo, il capitale investito in un anno e di lucrare enormi guadagni negli anni successivi, senza tener conto che il ricorso alla logica di profitto ha indotto a trascurare le più elementari norme di sicurezza, producendo la morte dei pazienti.

Il risultato di questa politica è una maggiore spesa, prova ne sia che quella della Regione Lombardia, che abbiamo prima preso ad esempio, è certamente la più alta, con il risultato di veder diminuita la qualità della prestazione e stornata una quota non piccola di risorse a vantaggio dei privati. Il fenomeno peraltro non è nuovo perché in America la sanità, che mal funziona, costa percentualmente più di quella italiana.

Un altro aspetto, forse più preoccupante, del ricorso alla politica degli appalti è costituito dall'utilizzazione del volontariato e delle associazioni no-profit estremamente funzionali a calmierare e contenere il conflitto sociale, sia perché induce alla moderazione salariale mettendo in competizione lavoratori volontari e del no-profit e lavoratori salariati che rivendicano un contratto collettivo dignitoso, sia per ottenere occupazione, sia pure sotto forma mascherata e al prezzo di maggiore sfruttamento.

Tutte queste considerazioni ci dicono che il problema dal punto di vista capitalistico, del ridimensionamento dello stato sociale non è tanto quello di una minore spesa pubblica, quanto piuttosto quello di una politica sociale tesa ad alimentare il profitto e a consentire in modo palese, un miglior controllo della forza lavoro e della società.

Definito il contesto nel quale ci si muove, non possiamo esimerci da alcune considerazioni nella situazione politica italiana.
Una prima considerazione va fatta partendo dalle dimissioni di Guido Rossi dalla presidenza della Telecom, perché si tratta di uno dei fatti certamente illuminanti ed emblematici della situazione attuale. Rossi si è dimesso quando ha capito che sarebbe andato in minoranza alla prossima riunione degli azionisti, in quanto ad opera del direttore generale Tommasi si era già costituito un fronte contrario alla totale privatizzazione della Telecom. Ebbene, Guido Rossi è entrato alla Telecom in quota PDS, anche se non è iscritto al partito, perché ha trovato nel PDS il sostegno più convinto alla tesi della privatizzazione totale della Telecom, che costituisce un gruppo economico tra i più grandi, sia in termini di fatturato, che di occupati (160.000 dipendenti). Ma perché si è cercato di rinviare la privatizzazione della Telecom: perché l'azienda deve comunque prima assestare i propri capitali ed il proprio controllo sul settore delle telecomunicazioni, e tale operazione va portata a termine prima che venga fatta la gara per il terzo gestore dei telefonini. Infatti, contemporaneamente alle dimissioni di Rossi la gara per il terzo gestore dei telefoni cellulari è stata rinviata. Un ultimo dato è che Tommasi è in quota al PPI. Ora in Italia in questo momento lo scontro reale sta tutto dentro l'Ulivo, tra una sinistra PDS totalmente liberista, un centro che ha ufficialmente ancora pretese di rappresentare problemi di natura sociale, ma in realtà tende all'occupazione del potere e che è ben rappresentato dalla cordata dell'IRI, Prodi, Tommasi e altri boiardi di stato di origine DC. Dall'altro lato assistiamo al declino di quella che è la finanzia laica, e quindi delle grosse famiglie e di Mediobanca, al ridimensionamento del ruolo di Cuccia, il fallimento di Gemina sono tutte spie delle difficoltà che stanno incontrando i gruppi che siedono in quello che una volta veniva chiamato "il salotto buono della finanzia italiana". Il problema è quindi oggi costituito dalla ricostruzione di un centro, centro destra in opposizione ad un polo di centro sinistra liberista. Per questo si stanno scatenando gli appetiti sul crollo di Forza Italia e sul potenziale elettorale che esso mette in libertà, e non è un caso che Fini si sia candidato a guidare questa aggregazione (da qui la decisione di rinnegare l'esperienza della RSI, che pure aveva costituito l'origine del suo stesso partito).

C'è uno scontro forte tra Fini e Di Pietro per il controllo dell'area moderata. Se questo è uno dei poli che si vanno creando, l'altro non potrà che essere rappresentato dalla "Cosa 2" o come si chiamerà il partito che si va creando. Questi movimenti del quadro politico spiegano anche l'accostamento che il PRC ha avuto verso il PDS per la creazione di un polo di centro sinistra. L'ipotesi di Cossutta non è semplicemente un appoggio o un ingresso nell'Ulivo, ma il frutto della consapevolezza che tra poco lo scontro reale sarà tra il centro che si va ricostituendo assorbendo in parte il Polo delle Libertà e l'aggregazione di centro sinistra.

Questo per noi comporta delle conseguenze anche nel settore sindacale, perché se prevale l'egemonia di Cossutta nel PRC, cade la strategia di Bertinotti del partito-movimento pansindacalista, in grado di sostituirsi al sindacato e aggregare nel partito, perché esso diviene incompatibile con un centro sinistra che comprenda Rifondazione e che governi. La cosa che ci deve far riflettere è che questa situazione non libera risorse a sinistra; ciò non significa infatti che l'antagonismo sociale rimanga , in quanto viene risucchiato comunque nel gorgo e finisce in Rifondazione; si veda al riguardo l'esperienza dei centri sociali che si sono presentati, a volte, nelle elezioni amministrative con Rifondazione.

D'altra parte questo spiega la fretta che ha D'Alema di creare il sindacato unico: D'Antoni sarebbe il segretario per un periodo di transizione, perché il suo vero obiettivo è entrare in politica. Una volta costituito il sindacato unico potrebbe agevolmente tornare nell'orbita PDS e ciò spiega perché vi sarà chi continuerà a proporre la creazione del sindacato unico, anche se il progetto avrà dei ritardi. Dentro questo sindacato unico una Rifondazione cossuttiana avrebbe quote di rappresentanza garantite e non vi sarà più spazio per la corrente comunista, che aveva esclusivamente la funzione di creare un polo di aggregazione per un sindacato alternativo. Se questa ipotesi va avanti, le opinioni dissenzienti e le linee alternative non avranno più spazio. Se lo scenario è questo, la strada che noi abbiamo davanti non è facile e deve cominciare a trovare delle risposte agli interrogativi posti tanto per cominciare a quello della ricostruzione di una alternativa di valori, secondariamente bisogna indicare un'alternativa economica. L'anarchismo si è isterilito comunque in due filoni: uno puramente ideologico e di bandiera: "siamo anarchici, abbiamo testimoniato, prima o poi qualcuno si unirà alle nostre bandiere"; ma anche al nostro interno, non dico della Federazione, all'interno dell'anarchismo di classe c'è la convinzione di essere le teste più lucide, quelle che vedono tutto e quindi sanciscono l'identità tra PDS e centro e siccome non c'è alternativa possibile si aspetta che meccanicamente si produca il conflitto sociale.

Il conflitto sociale scoppia se lo facciamo scoppiare e si vince se abbiamo la forza per vincerlo. Ciò vuol dire che dobbiamo indicare alle persone un terreno percorribile, quello che abbiamo chiamato "riformismo incompatibile", per trovare dei punti che permettano di rompere il sistema, questo non per sostenere che il sistema si possa rompere punto per punto, ma perché dare alle persone obiettivi credibili, un'alternativa conseguibile, permette di costruire la forza per cambiare il sistema globalmente. E' per questo che noi dedichiamo oggi il congresso alla definizione del programma minimo.

(assunta dal Congresso)