F.d.C.A.
VI CONGRESSO NAZIONALE – CREMONA 19-20 GIUGNO 2004
CONFLITTI E ANTIMILITARISMO
1. Le contraddizioni del capitalismo internazionale segnano una svolta strategica a partire dalla fine del XX secolo, con
1.1 la avvenuta disponibilità e trasformazione in mercati di vaste aree precedentemente controllate dall’imperialismo sovietico, dal Mar Mediterraneo al Medio Oriente all’area turanica;
1.2 lo squilibrio avvenuto in campo militare a favore degli U.S.A. con il collasso dell’Armata Rossa (1989, ritiro dall’Afghanistan),
1.3 la rapida riduzione dei margini di manovra (economici e militari) ormai disponibili sulla scena internazionale per le borghesie nazionali di queste aree, costrette a riposizionarsi all’interno delle nuove contraddizioni imperialistiche;
1.4 l’uso delle istituzioni finanziarie del capitalismo internazionale per instaurare rapporti di carattere imperialistico tra gli USA, i membri del G8 e queste aree, secondo la più classica delle logiche della spartizione del mondo in sfere di influenza.
2. Gli esiti temporanei di tali contraddizioni mostrano che:
2.1 l’accesso in quelle aree alle ingenti risorse energetiche, quali petrolio, gas e acqua, nonché a scali e corridoi già esistenti, in costruzione o in corso d’appalto, per il loro trasporto verso ovest (Mar Nero, Mar Mediterraneo), verso est (distretti industriali della Cina sud-orientale), verso nord (Russia), verso sud (Golfo Persico, Oceano Indiano) è una condizione vincolata ai rapporti di forza e non garantita dai meccanismi del mercato;
2.2 la contesa per il controllo di tali territori, governati da elites nazionaliste o a base etnico-religiosa, si è infatti inasprita e non è più gestibile solo a colpi di finanziamenti in tecnologie e armi a questa o a quella elites a seconda delle leggi mercato e degli interessi imperialistici in gioco (USA, Russia, Cina e potenze regionali come Israele, Turchia, Pakistan, India, Iran e fino a ieri lo stesso Iraq);
2.3 la definitiva destabilizzazione di quelle aree, non più agganciate al bilanciamento degli interessi degli USA, dell’URSS e delle potenze regionali, ha favorito il consolidarsi di elites islamiche armate, già usate ed aiutate per liberarsi della minaccia/presenza sovietica, le quali tendono a porsi come nuovi sfidanti di qualsiasi competitore nell’area, sia a livello economico che militare;
2.4 i problemi di comando su quelle aree decisive per il controllo delle materie prime sono slittati dal piano commerciale a quello militare e la risposta non poteva che essere militare in una sequenza di azioni di guerra originate dalla 1a Guerra del Golfo nel 1991, passate attraverso le stragi di New York e Washington, per proseguire con l’attacco USA & Co. all’Afghanistan nel 2002 e all’Iraq nel 2003;
2.5 l’inconsistenza politica dell’Unione Europea nel proteggere i suoi interessi nell’area e la crisi della NATO come alleanza multilaterale hanno favorito la nascita di un inedito asse Parigi-Berlino-Mosca (e forse anche Madrid) che, con la sua opposizione all’attacco all’Iraq, può costituire i prodromi di un’alleanza strategica tesa a rinegoziare gli attuali rapporti inter-imperialistici.
3. Le condizioni geo-politiche e la rilevanza strategica delle aree ricche di risorse e di quelle attraversate dai corridoi o sedi di scali per gli interessi imperialistici, richiedono perciò l’occupazione ed il controllo militare di quei territori per cui:
3.1 l’invasione dell’Iraq non è che l’ultimo episodio militare della guerra mondiale scatenatasi all’alba del XXI secolo dall’intreccio di interessi conflittuali di grandi potenze e rampanti elites regionali;
3.2 è in gioco il controllo economico di risorse, giacimenti, vie commerciali;
3.3 è in gioco il soggiogamento politico ed ideologico di borghesie dominanti e masse di popolazioni dei paesi in via di sviluppo o molto poveri;
3.4 nel continuo processo di scomposizione e destabilizzazione dell’attuale scenario geopolitico dell’area medio-orientale e turanica l’intervento militare imperialista persegue l’obiettivo di impedire che in quell’area possano consolidarsi poteri politici, economici, religiosi in grado di nuocere agli interessi capitalistici anglo-americani;
3.5 il meccanismo remunerativo della guerra verso l’economia americana in particolare e mondiale in generale sarà di breve durata, poiché non è certo il cosiddetto keynesismo militare il volano in grado di risolvere i problemi di una crisi economica mondiale ormai endemica;
3.6 per un paese che supera i 350 milioni di dollari all’anno per la spesa militare, si tratta quindi di operare scelte difficili sul piano tecnologico e numerico, riposizionando il futuro delle forze armate americane e della strategia americana al centro degli interessi nazionali, per cui alle innovazioni tecnologiche (scudo stellare) viene preferito o affiancato un rilancio dell’armamento convenzionale ed un dispiegamento di truppe che sta dando al militarismo un primato tale da rendere gli anni della Guerra Fredda quelli più sicuri dopo la 2GM, nonché una esternalizzazione e privatizzazione di attività militari e di sicurezza non più prerogativa solo dello Stato;
3.7 l’instaurazione di uno stato di guerra endemica si pone in relazione con l’esaurimento dell’offensiva della globalizzazione capitalistica attraverso la mondializzazione dei mercati e della finanza, la diffusione planetaria della precarietà e della flessibilità della forza-lavoro, la privatizzazione della ricchezza collettiva sociale ed ambientale, portata solo con le armi pur violente dello sfruttamento e della schiavitù;
3.8 il dominio capitalistico coniugato col militarismo colpisce più duramente le popolazioni già pesantemente sfruttate, ricompone nuove ragioni nazionaliste e finanzia un più feroce fondamentalismo religioso;
3.9 il capital-militarismo semina la repressione nel fronte interno pretendendo che i vari movimenti antagonisti credano alla fola della guerra al terrorismo; impone ai singoli stati un’economia di guerra fondata su politiche di bilancio restrittive che si accompagnano a politiche di impoverimento salariale con conseguente depressione della domanda e quindi dei consumi, difficilmente compensabile con un incremento della domanda aggregata dovuta ad uno sterile keynesismo militare o a riduzioni dei tassi.
4. Di fronte alla crescente occupazione militare –fisica e mediatica- della società civile ed al diffondersi di una aberrante convinzione di “stato di necessità” della presenza militare in ogni angolo del mondo a garanzia (sic!) della sicurezza occorre sedimentare e diffondere sempre di più una forte coscienza antimilitarista; di fronte all’allargamento ed alla globalizzazione delle alleanze militari si impone la crescita e l’attività politica di un movimento altrettanto globale nettamente antimilitarista ed antibellicista che sveli e denunci l’indissolubile legame tra militarismo e capitalismo, per cui la FdCA deve fondare e sviluppare la sua tattica sulla base delle seguenti linee strategiche:
4.1 le guerre scoppiano sempre a causa dello scontro di enormi interessi economici e di potere geopolitica; la verniciatura antiterroristica, umanitaria, nazionalista, etnica, religiosa, tribale che gli viene data –a seconda dei casi- serve solo a nascondere la vera posta in gioco ed a sedimentare sentimenti di odio al fine di mettere le une contro le altre le classi più deboli e più povere;
4.2 il nazionalismo e l’appartenenza etnico-religiosa sono le ideologie usate sempre di più dagli Stati nazionali (spesso pvs ed hpc) e da caste di potere economico-militare per ottenere consenso a politiche economiche protezioniste, tese a ritagliarsi nicchie di mercato o controlli su giacimenti e corridoi strategici all’interno della globalizzazione, con costi sociali molto alti per le classi lavoratrici; per cui lottare contro il nazionalismo significa lottare contro il capitalismo;
4.3 il militarismo e la militarizzazione della società sono le forme di controllo e costrizione sociale che si affiancano alla ideologie nazionaliste; costituiscono il mercato globale del business delle armi; spianano la strada agli interessi imperialistici; lottare contro il militarismo significa lottare contro il capitalismo;
4.4 l’intervento militare anti-terroristico o “umanitario” contro caste e dittatori vari o a sostegno di interessi nazionalistici guerriglieri, non porta liberazione e democrazia, ma uno stato di guerra endemica; accanto ad uno stanziamento semiperenne di eserciti e basi militari nelle zone di guerra e nei paesi vicini, a protezione degli interessi economici del capitalismo internazionale, si alimenta un ipocrita mercato degli “aiuti umanitari” e della “ricostruzione” in cui vengono compiuti speculazioni e riciclaggi e abusi sui civili: donne e uomini; lottare contro gli interventi militari significa lottare contro il capitalismo.
5. La lotta antimilitarista coincide e si inscrive quindi nella più generale lotta anticapitalista, per cui la FdCA colloca le mobilitazioni contro la guerra nella inevitabile dimensione della lotta contro le classi dominanti di qualsiasi paese; evita di contrapporre i popoli, né considera un popolo, nella sua dimensione interclassista, quale soggetto di emancipazione e liberazione, se questa serve a perpetuare il dominio di classe di nuove borghesie nazionali sugli sfruttati di sempre. Sulla base di queste discriminanti la FdCA intende agire
5.1 nel movimento pacifista e non-violento perché si batta per il cessate il fuoco ovunque e per la pace, contro l’aumento dello spese militari, per gli interventi umanitari pacifici e per la solidarietà internazionale, per l’aiuto e l’accoglienza dei profughi e dei disertori, per il ritiro degli eserciti, il disarmo e la smilitarizzazione del territorio e della società, per la valorizzazione della società civile, perché la pace serva alla ripresa del conflitto sociale e di classe, perché lottare per la pace significa lottare contro il capitalismo;
5.2 nel movimento pacifista globale perché si dia strutture a carattere federalista, orizzontale, antiautoritarie, con particolare diffusione di comitati contro la guerra e contro le basi militari, di osservatori sulla militarizzazione del territorio e della società, e perché sia dia come discriminanti quelle dell’anticapitalismo e del rifiuto del militarismo (da quello istituzionale a quello espresso da alcune minoranze avventuriste ed elitarie nella società e nei movimenti);
5.3 nel movimento sociale, politico, sindacale e culturale che si batte contro la globalizzazione e per la pace perché si opponga fermamente ai provvedimenti liberticidi, mascherati di anti-terrorismo, che obbligano la società civile allo scambio scellerato “più sicurezza = meno libertà” consegnando all’esecutivo il potere di usare il fronte esterno lontano –ma mediaticamente presente- per aprire un fronte interno ugualmente militarizzato, non solo come retrovia (basi militari, servizi di sicurezza, informazione “depurata”), ma anche come prima linea contro il “nemico” interno (migranti, pacifisti antimilitaristi, antiglobalizzatori, sindacalisti contro la guerra e relative organizzazioni;
5.4 nel movimento anti-razzista per esprimere la nostra forte opposizione e la nostra determinata risposta ai tentativi di accendere uno scontro fra religioni attraverso una battaglia culturale ispirata alla pratica mai morta del laicismo; occorre disattivare la convinzione che l’appartenenza etnico-religiosa sia esaustiva dell’esperienza umana, sociale e politica degli individui, come delle società organizzate; occorre praticare la convivenza sociale ed attivare l’unità di interessi di classe, dimostrando l’inutilità della religione, se si vogliono perseguire obiettivi di cittadinanza e di libertà propri degli individui indipendentemente dalla provenienza geografica, se si vuole dare corpo alla dimensione globale degli sfruttati, indipendentemente dalla religione professata; occorre conquistare il diritto alla libertà di e dalla religione, in ogni paese del mondo;
5.5 nel movimento segnato dalla soggettività delle donne per esprimere la nostra avversione a qualunque uso del corpo delle donne a fini militaristi, dallo stupro etnico alla martirizzazione, alla “liberazione”, come bottino di guerra; occorre svelare il profondo maschilismo radicato nell’ideologia militarista e nelle relazioni dominate dallo stato di guerra, pronto a liberare donne oppresse bombardandone le case e l’intimità familiare e a femminilizzare per rendere passivi i prigionieri con sevizie e torture e abusi sessuali; non vi sarà alcuna liberazione delle donne e degli uomini senza una reale garanzia di parità nel lavoro, nella vita pubblica, nella vita privata;
5.6 nel movimento antimilitarista per portare inequivocabili parole d’ordine: cessare il fuoco; impedire l’espandersi della guerra; smilitarizzare le aree; disarmo multilaterale; aiuti e solidarietà ai profughi; l’autodeterminazione delle donne e degli uomini; il ripristino delle libertà politiche, sociali, sindacali, religiose, culturali; la solidarietà internazionale per il sostegno delle classi sfruttate.