Produzione, distribuzione, impieghi e impatti delle fonti energetiche fossili
 

 

Questa relazione non ha la pretesa di esaurire nessun argomento sul tema energetico ed ambientale. Rappresenta esclusivamente invece il tentativo di un inizio di dibattito sull'energia, sulla classificazione delle fonti energetiche, sulla loro produzione mondiale e distribuzione, sugli impatti ambientali provocati dalla produzione e dall'utilizzo, sulle riserve e sulla possibilità di impiego futuro e su alcune implicazioni sociali legate alla produzione e all'impiego dell'energia.

L'energia, che può essere definita come la capacità di compiere un lavoro, e che rappresenta il carburante della nostra vita e della vita di tutti gli esseri viventi, si presenta nell'universo sotto svariate forme che si caratterizzano per la loro diversa natura (meccanica, chimica, elettrica, nucleare ecc.) oppure per la sua posizione in un sistema (potenziale o cinetica) e qualsiasi fenomeno, naturale o artificiale che sia, può avvenire solo se un quantitativo di un certo tipo di energia viene trasformato in un quantitativo di un altro tipo di energia.

Da qui l'importanza fondamentale di questa grandezza fisica che può essere considerata come l'unica valuta veramente universale per definire la validità di un determinato sistema. Un sistema veramente valido è quello che, per realizzare un certo lavoro, per cui è necessario un flusso energetico di trasformazione, spreca il meno possibile dell'energia di partenza. E' questo il concetto di efficienza energetica che è dato dal rapporto tra la quantità di energia ottenuta da un certo sistema e la quantità di energia impiegata. Per fare un esempio concreto il motore a scoppio delle nostre automobili è un sistema che trasforma l'energia chimica della benzina in energia meccanica. Ora introducendo in questo motore una unità energetica di benzina, ci verrà restituito un terzo dell'unità immessa in forma di energia meccanica; ciò vale a dire che il motore a scoppio ha un'efficienza di circa il 30% e che quindi se noi spendiamo un euro in benzina, circa 70 centesimi se ne vanno per scaldare l'atmosfera intorno a noi. E non sempre efficienza energetica e profitto economico vanno a braccetto; infatti per il Capitale un sistema efficiente è un sistema che fa guadagnare e accumulare profitto economico, non importa se ciò si accompagna o meno ad un sistema energeticamente efficiente.

In consumismo è l'esempio più eclatante di questa anomalia. Attraverso questo sistema di sfrenato consumo, imprenditori e commercianti realizzano ingenti guadagni ma spesso con enormi sprechi energetici. Per cui per decidere se un tipo di energia è conveniente o meno, se un certo sistema è efficiente, dobbiamo cercare di svincolarci da quelli che sono i parametri classici del rapporto costo/ricavi dell'economia capitalista.

Esiste un criterio per giudicare se un impianto che produce energia è conveniente o meno basato non sul rapporto di monetizzazione spesa/ricavo, il quale è condizionato da tutta una serie di distorsioni legate al sistema struttura/sovrastruttura capitalista. Alcuni aspetti sono legati all'intervento dello Stato sul mercato energetico: un esempio è quello dei cosiddetti Cip6, attraverso i quali lo Stato dirotta denaro pubblico verso particolari tipi di impianti energetici; in questo modo tali impianti vengono resi artificiosamente competitivi, anche se la loro efficienza energetica può essere addirittura negativa. Un altro esempio è quello per cui le imprese capitaliste, pubbliche e private, sono abituate a non considerare nei costi di produzione di una certa tipologia energetica quelli legati ad alcune fasi della filiera. Ovviamente si tratta di quei settori della filiera economicamente in perdita che generalmente sono legate a tutte quelle misure che dovrebbero essere prese in tema di difesa ambientale. Questo è permesso al Capitale prevalentemente perché questi costi vengono di solito pagati da altri, finiscono cioè per essere scaricati sulla fiscalità generale degli stati e pesare quindi sulla collettività intera. L'esempio del nucleare in Francia è didattico; infatti lo Stato francese si accolla le spese di gestione delle scorie nucleari, impiegando un vero e proprio esercito di circa 10.000 persone. Altri esempi invece sono legati al libero mercato, ad esempio quelli delle speculazioni finanziarie che possono generare dilatazioni o meno dei prezzi e rendere quindi più o meno competitive certe fonti a scapito di altre. Questo è quello che probabilmente sta succedendo in parte al petrolio, il cui prezzo sta rapidamente aumentando, oltre che per cause strutturali, anche per le speculazioni finanziare, facendo si che alcuni giacimenti costosi dal punto di vista estrattivo (scisti e sabbie bituminosi), stiano di nuovo ridiventando competitivi.

Dicevamo che invece, esiste un criterio differente da quello economico capitalista, che è quello legato in un certo modo al termine fisico di efficienza energetica. Questo criterio è quello dell'EROEI: Energy Return On Energy Investment, ovvero il ritorno energetico sull'investimento energetico. In poche parole il rapporto tra energia ricavata da un certo impianto e l'energia totale spesa in tutti i settori della filiera produttiva. Ritornando ad esempio al nucleare come energia investita, o spesa, devo considerare, grossolanamente, l'energia impiegata per l'estrazione, quella per l'arricchimento, l'energia per la costruzione della centrale, quella per il suo esercizio, quella per lo smaltimento delle scorie e per ultimo, ma non ultima in termini quantitativi, quella per lo smantellamento dell'impianto a fine ciclo.

Si può capire che non è assolutamente semplice calcolare l'EROEI di un certo impianto e quindi quello per una certa fonte energetica, ma delle valutazioni comparative tra le varie fonti si possono fare, e le faremo successivamente, dopo aver fatto una veloce carrellata sui tipi di fonti energetiche fossili attualmente impiegate.

Ritorniamo quindi agli aspetti più tecnici. In quale forme si presenta, fisicamente l'energia? Abbiamo visto le varie forme dal punto di vista strettamente fisico (meccanico, chimico, radiante, termico, nucleare, ecc), ma come si presenta l'energia praticamente? Sulla terra l'energia viene ricavata dalle cosiddette fonti energetiche. C'è da dire innanzitutto che la stragrande quantità di energia che noi sfruttiamo sulla terra (tranne il nucleare e il geotermico) ci viene direttamente o indirettamente dal sole. Dire infatti che il processo della fotosintesi clorofilliana sia uno dei meccanismi di trasformazione e immagazzinamento di energia più importanti sul nostro pianeta non è un'esagerazione. E' attraverso questo processo biologico che si è creata la base su cui, altre trasformazioni fisiche e chimiche hanno prodotto le fonti energetiche "fossili": petrolio, carbone e gas naturale, che ancora oggi rappresentano la fonte primaria di energia più utilizzata dall'uomo (più del 85%).

Ma andiamo ora a classificare le fonti energetiche.

Una prima distinzione che possiamo fare è tra fonti energetiche rinnovabili e non rinnovabili.

Vengono definite fonti energetiche rinnovabili quelle per cui la cui velocità di ricostituzione è uguale o superiore a quella con cui le consumiamo. Solare, eolica, idroelettrica, geotermica, biomasse ecc. Da sempre scarsamente considerate, pur con le enormi potenzialità di sviluppo futuro che ognuna di essa ha. Basti pensare che, facendo un calcolo molto grossolano, relativo esclusivamente ad una comparazione quantitativa, ma che rende l'idea di quali potenzialità abbia ad esempio l'energia solare, si è calcolato che una mega centrale fotovoltaica di 350.000 chilometri quadrati, il 4% della superficie del deserto del Sahara, potrebbe far fronte al fabbisogno mondiale di energia elettrica. È ovvio che si tratta di un calcolo puramente teorico che non tiene in considerazione problemi di trasmissione dell'energia, ecc, ma rende molto bene l'idea di quale potenzialità abbia questa energia, se non altro perché il sole arriva da per tutto. Per contro, tra queste solo l'idroelettrica ha una certa considerazione con pochi punti di percentuale di impiego nel mondo.

Una delle caratteristiche principali di questa categoria energetica è quella di avere, sia nel ciclo produttivo che quello di consumo, un bassissimo impatto ambientale. Dico bassissimo, non nullo, perché bisogna avere chiaro che ogni trasformazione energetica porta con se un impatto sull'ambiente. Concetti come "impatto zero" o anche "rifiuti zero" sono errati e devianti, dobbiamo essere chiari e non diffondere concetti falsi. Una volta che conosciamo con chiarezza le trasformazioni provocate dalla produzione e dall'utilizzo delle varie fonti energetiche abbiamo la capacità di scegliere quelle meno impattanti. Da questo punto di vista di una cosa comunque siamo gia profondamente certi, e cioè che l'impatto negativo sull'ambiente delle energie rinnovabili è di gran lunga più piccolo rispetto a quello prodotto dagli altri tipi di energie.

Tuttavia quando si fanno ragionamenti sull'energia non bisogna mai dimenticare che siamo in un sistema che privilegia il profitto di pochi a scapito di tutti gli altri, un sistema che mette al primo posto l'interesse economico rispetto al benessere di tutta l'umanità. E in questo non c'è alcuna differenza nel comportamento del capitale privato da quello pubblico.

Anche la produzione e l'impiego delle energie rinnovabili non sfugge a queste leggi e se di esse non se ne fa, e non se ne farà in futuro, un utilizzo consapevole e rispettoso delle esigenze di tutti e di quelle ambientali, potranno verificarsi lo stesso quegli squilibri tra uomo e ambiente tipici di un sistema economico di rapina, come quello capitalista.

Infatti, pur essendo più sostenibili delle altre, queste fonti energetiche, se rimarranno nelle mani degli attuali padroni del mondo, hanno comunque la potenzialità di causare grossi danni sia in senso ambientale che sociale. Se volete un esempio pratico di quanto ora asserito, basti pensare al prospettato impiego dei vegetali nella produzione di biodiesel e di bioalcol per l'autotrasporto e per il riscaldamento. Gli Stati più forti, a capitalismo avanzato, affamati di energia, e le multinazionali energetiche, si stanno gia muovendo su questo campo. Ma per produrre i biocarburanti, vista anche la bassa resa di trasformazione, bisogna avere immense piantagioni di colza, soia, granturco, canna e barbabietola da zucchero. Monoculture quindi, e proviamo a immaginare dove verrebbero collocate queste monoculture, ovviamente nei paesi più poveri, dove Stati e potentati locali non avrebbero nessun ritegno a sottrarre terre e cibo alle popolazioni locali per adibirle a servire i signori dell'occidente, in cambio di qualche spicciolo. Nei paesi poveri si produrrebbe cibo in sovrabbondanza, non per sfamare le popolazioni locali ma per permettere ai ricchi occidentali di andare ancora in automobile, di scaldarsi d'inverno e di mandare avanti le proprie industrie.

Anche dal punto di vista ambientale la produzione di energia rinnovabile può essere estremamente dannosa. Basti pensare al grande idroelettrico. La creazione di dighe immense, oltre a comportare la migrazione forzata di interi abitati che sfortunatamente si vengono a trovare nel futuro bacino d'invaso, possono comportare profondi cambiamenti geologici e climatici negativi nell'intero bacino idrografico, sia a monte che a valle della diga.

Uno dei difetti principali delle energie rinnovabili, a cui si appellano i fautori di altri tipi di energie, è il carattere intermittente della produzione di molte di esse. Ad esempio l'eolico non produce in assenza di vento oppure il solare non produce di notte o nelle giornate di maltempo. Come vedremo successivamente, in un'altra parte di questa relazione sulle energie dedicata alle fonti rinnovabili, questo è vero se si considera una fonte energetica singolarmente, mentre l'impiego combinato di più tecnologie permette di avere una produzione energetica continua.

Vengono invece definite fonti energetiche non rinnovabili (o finite) quelle per cui la velocità di ricostituzione è molto inferiore a quella con cui le utilizziamo, petrolio, carbone, gas naturale, uranio, ne consumiamo di più di quanto se ne riforma naturalmente (basti pensare che per la formazione di un giacimento di petrolio o di carbone ci vogliono centinaia di migliaia, se non milioni, di anni; diverso è per il gas naturale, il metano, che oltre ad essere associato al petrolio si può formare naturalmente più velocemente, ma solo in piccole quantità). Queste fonti energetiche, viste le loro caratteristiche geologiche, vengono anche definite fossili.

Le fonti energetiche fossili hanno avuto un'importanza fondamentale nella storia dell'umanità in quanto sono state il carburante della rivoluzione industriale (specialmente carbone e petrolio), ed il loro impiego massiccio ha rappresentato una delle tre fondamentali rivoluzioni energetiche della storia della specie umana.

(Si considera che nella storia delle specie umana ci sono state tre grandi rivoluzioni energetiche che hanno coinciso con epocali cambiamenti della società: la scoperta del fuoco, l'impiego della forza animale e l'impiego delle energie fossili e quindi delle prime macchine).

Ma è dai tempi della rivoluzione industriale, ed è tuttora oggi, che l'utilizzo di queste energie è il maggior responsabile di produzione di quei gas, come il CO2, che provocano l'aumento dell'effetto "serra" e che secondo alcuni ha innescato pericolosi cambiamenti climatici, accompagnati dall'aumento progressivo della temperatura media della Terra, con effetti futuri non certamente positivi.

Ma non è solo il consumo di queste energie a provocare un forte impatto sull'ambiente, tutta la filiera produttiva delle energie fossili è accompagnata da pesanti interventi sull'ambiente, anche l'estrazione ed il trasporto.

E comunque queste fonti hanno un limite insuperabile che è rappresentato proprio dalla loro limitatezza quantitativa, perché come abbiamo gia visto le consumiamo molto più rapidamente di quanto possano riformarsi. E prima o poi dovremo fare i conti con questo, anche se molto probabilmente li stiamo gia facendo.

In questo discorso si inserisce tutto il dibattito sul quando queste fonti energetiche si esauriranno, tra schiere di inguaribili ottimisti (di solito gli economisti legati al capitale), fiduciosi nelle taumaturgiche capacità del sistema capitalista, e i pessimisti, tra cui c'è chi addirittura afferma che per quanto riguarda il petrolio siamo gia in una fase di recessione del rapporto produzione/consumo. Qui ci confrontiamo con un altro limite del capitalismo: l'impossibilità e/o l'incapacità ad avere notizie certe sulle riserve energetiche. Se è pur vero, infatti, che non è semplice quantificare tecnicamente la capacità di un certo giacimento, è altrettanto vero che gli ostacoli principali nell'avere una valutazione precisa delle riserve di una certa fonte energetica fossile, non sono di carattere fisico ma più di natura politico-economica. Basti solo vedere il balletto delle cifre a cui partecipano sia i paesi produttori che le grandi multinazionali energetiche del petrolio, dove si assiste a isterici andamenti delle quantità dichiarate, in base ad interessi produttivi (quote di produzione legate alle riserve nell'OPEC) e speculativi (ad esempio i future: titoli legati a quote di fonti energetiche che per contratto si stipula saranno vendute ad altri).

Ma andiamo ora a vedere le percentuali d'impiego di energia nel mondo osservando le seguenti tabelle, che possono essere considerate piuttosto recenti (anni 2004-2005):

La prima, un po' semplicistica, è stata tratta dal sito dell'unione dei petrolieri.

La seconda, più accurata, è stata presa da wikipedia.

Se ne riportano due anche per far vedere come spesso i dati riportati sono diversi a seconda della fonte di provenienza, e spesso è difficile capire quale siano le più attendibili. Tuttavia si può vedere in realtà una certa uniformità dei dati, almeno per quanto riguarda le fonti energetiche principali.

 

Come si può vedere le energie fossili da sole si prendono più del 90% della quantità totale di energia consumata nel mondo che secondo alcuni è di circa 186 MTEP (Miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio – dato del 2004) all'anno. (Per definizione 1 TEP equivale in teoria a 11.628 kWh. Questo in teoria, perché la trasformazione da energia primaria a energia elettrica dipende poi dall'efficienza dell'impianto).

Vediamo ora di trattare brevemente le diverse fonti energetiche fossili.

Petrolio

Iniziamo col petrolio, se non altro perché ancora oggi è le fonte energetica principale.

Il petrolio è costituito da una miscela di idrocarburi naturali liquidi (olio) e, in proporzione molto minore, gassosi (gas naturale, metano) e solidi (bitumi e asfalti). Si forma all'interno di rocce sedimentarie contenenti originariamente materiale organico che, trovandosi nel sottosuolo in seguito a processi geologici di erosione, trasporto e accumulo, è sottoposto a particolari condizioni al contorno. Qui il materiale organico, scomponendosi, si trasforma in una sostanza cerosa (pirobitume), la quale, sotto l'influenza dell'alta pressione e dell'alta temperatura muta in idrocarburi. A questo punto per la formazione del giacimento è necessario che gli idrocarburi, più leggeri della roccia madre, risalendo in superficie, incontrino una formazione rocciosa porosa che funga da trappola sedimentaria, chiusa alla sommità da uno strato impermeabile. L'intero processo di trasformazione avviene in diversi milioni di anni.

Il greggio presente nel sottosuolo del pianeta non è tutto uguale, essendo un prodotto di origine geologica, in base a dove si forma ha delle caratteristiche diverse.

A volte è più "pesante", a volte è pieno di zolfo, a volte lo si trova miscelato al gas naturale. Il mercato internazionale ha quindi stabilita una prassi universalmente accettata per lo scambio dell'oro nero. Infatti a metà anni 80 sono stati creati i cosiddetti ‘benchmark' (parametro di riferimento), ovvero dei prodotti di riferimento consistenti in miscele di vari greggi provenienti dalla stessa regione e che hanno caratteristiche simili.

I quattro benchmark principali del mercato mondiale del petrolio sono il WTI Light Crude, il Brent Blend, il Dubai and Oman e, infine, il paniere OPEC. Il WTI (West Texas Intermediate) è il petrolio americano, ottimo ma ormai molto scarso; è un petrolio ‘light' cioè molto pulito e puro. Il Brent è il petrolio del Mare del Nord; lo estraggono principalmente l'Inghilterra e la Norvegia; ha caratteristiche di poco inferiori al WTI e anch'esso è in declino quantitativo. Il Dubai and Oman, come dice il nome stesso, giace nel sottosuolo degli Emirati Arabi Uniti, è inferiore ai precedenti ma ancora relativamente abbondante. Il paniere OPEC è in pratica una miscela media dei greggi estratti nei paesi aderenti all'organizzazione di produttori e ha una qualità discretamente inferiore rispetto ai precedenti.

Vediamo ora una serie di tabelle relative ai principali paesi produttori di petrolio ed ai maggiori consumatori di petrolio.

Tab. 1: I maggiori paesi produttori di petrolio (2006)

 

Tab. 2: I maggiori paesi consumatori di petrolio (2006)

Pur essendo quindi ancora oggi la principale fonte energetica, il petrolio, così come gli altri combustibili fossili, è una risorsa finita. Il problema è che, rigenerandosi con tempi geologici (milioni di anni), lo consumiamo molto più velocemente di quanto riesca a riformarsi.

In quanto tempo si esaurirà non è facile saperlo, in quanto, oltre alle difficoltà oggettive di stimare la quantità di qualcosa che si trova sottoterra a profondità di parecchie centinaia di metri, in realtà i maggiori fattori di incertezza sono di natura politico-economica.

In sintesi è possibile individuare a riguardo due diverse correnti di pensiero: una per così dire "catastrofista" più tipica degli ambienti scientifici e una invece più tranquillizzante più vicina all'ambiente degli economisti.

Si sa che nell'ambiente degli economisti, più direttamente vicini al potere politico ed economico rispetto ai tecnici scientifici, prevale spesso la pratica di fornire visioni ideologiche dei fatti, funzionali nella nostra società a giustificare le scelte economiche delle multinazionali e le scelte politiche degli Stati.

Quindi non deve stupirci se questi signori cercano di spingerci ad un estrema tranquillità e fiducia; il loro ruolo nella società attuale è quello di pubblicizzare il mito della crescita economica infinita, fregandosene dei limiti fisici del nostro pianeta come se le risorse naturali siano frutto del mercato capitalista e non dei processi fisici e geologici del nostro pianeta.

Ma non bisogna a mio avviso fidarsi nemmeno di quelle posizioni estremamente allarmiste e, come scrivevamo sull'ultimo numero della nostra rivista Antipodi, dimostrando di essere dei discreti profeti:

Dall'altra parte estrema attenzione e scetticismo bisogna avere nei confronti di quelle posizioni "catastrofiste" che, dietro l'emergenza energetica, nascondono viscidamente pericolosi desideri "nuclearistici".

Per cui si assiste a veri e propri balletti sulla stima sia delle riserve che delle risorse petrolifere dove agenzie governative e internazionali e varie compagnie petrolifere fanno a gara nel pubblicare diversi rapporti sull'entità delle riserve di petrolio.

Ma lo fanno nella più totale falsità dettata da interessi economici e strategici.

Le compagnie petrolifere, ad esempio, sono interessate a diminuire la stima delle proprie riserve quando si tratta di pagare le tasse, mentre sono interessate a sovrastimarle quando si tratta di raccogliere capitali tra gli investitori.

Le associazioni di produttori, come l'OPEC, sono interessate a mantenere un equilibrio nel mercato delle quote assegnate ai loro associati, e siccome tali quote sono stabilite in base al rapporto tra produzione e riserve di petrolio nei vari Paesi, tendono a mantenere stabile la valutazione di tali riserve, come se ogni anno venisse scoperto altrettanto petrolio di quanto se ne è venduto, ma in realtà non è così, la produzione supera ormai da parecchi anni le scoperte.

L'OPEC nasce negli anni '50 del 20° secolo, quando l'Iran espropria i pozzi della BP e nazionalizza il petrolio, seguito dagli altri Stati mediorientali. Le multinazionali petrolifere si mettono a fare ricerca trovando discreti giacimenti in Alaska e nel Mare del Nord. A questo punto i Paesi produttori decidono di raggrupparsi in un cartello, l'OPEC, per difendere i loro interessi, con le regole che abbiamo descritto sopra riguardo il rapporto tra riserve e quote di produzione.

All'OPEC appartengono i seguenti paesi:

  • Africa: Algeria – Angola – Gabon – Libia – Nigeria
  • Medio oriente: Iran – Iraq – Kuwait – Qatar – Arabia Saudita – Emirati Arabi Uniti
  • Asia: Indonesia ( è uscita dall'OPEC ultimamente)
  • Sud America: Ecuador – Venezuela

Si possono fare tanti esempi a dimostrazione di come il mondo del petrolio non sia certamente un esempio di limpidezza informativa, e non stupisce quindi il fatto che nell'ambiente girino stime sulle riserve anche molto diverse tra loro.

Addirittura ci sono dei super ottimisti, ovviamente generalmente economisti e/o manager, come ad esempio il CERA (Cambridge Energy Reserach Associates) forse l'Istituto per lo studio dei problemi energetici più famoso del mondo, che afferma che già nel 2010 si arriverà di nuovo a un abbondante surplus di greggio rispetto alla domanda.

E dello stesso parere è anche l'Eni: infatti ha più volte dichiarato il suo ex amministratore delegato Mincato "Per il gas come per il petrolio non esistono problemi di disponibilità negli anni a venire".

Per la stima delle risorse le cose si complicano ulteriormente se vogliamo avere un'informazione corretta, in quanto il gioco dei rialzi e dei ribassi è reso ancora più facile dalla difficoltà tecnica di verificare le quantità stimate dagli Stati o dalle compagnie petrolifere.

Quello che sembra abbastanza certo è che l'andamento delle nuove scoperte di giacimenti petroliferi non fornisce dati incoraggianti. Attualmente il rapporto tra il petrolio che viene scoperto in un anno e quello che viene consumato nello stesso periodo è di circa 1 a 4.

I più ottimisti affermano che sulla Terra esistano ancora ampi giacimenti di petrolio che aspettano solo di essere scoperti e sfruttati, ma in realtà le uniche aree che devono essere ancora esplorate completamente sono i fondali oceanici profondi e le regioni polari; zone dove comunque l'estrazione pone problemi tecnico-economici risolvibili solo in tempi molto lunghi. Per ora è molto probabile che, in tali aree, l'energia richiesta per l'estrazione sia maggiore di quella ottenibile dal prodotto estratto (qui torneremo con il discorso dell'EROEI).

Inoltre, ad oggi, le tecnologie estrattive sono ad un punto tale che si possono fare pochi miglioramenti; tanto che alcuni analisti affermano che l'industria estrattiva è in una profonda crisi strutturale perché negli ultimi anni i grandi gruppi hanno rivolto la loro famelica attenzione più su manovre finanziarie speculative che sul miglioramento tecnologico della produzione (è questo uno dei motivi dei forti aumenti economici di quest'ultimo periodo? Ossia la speculazione, il fatto che si sta esaurendo realmente e allora diminuisce l'offerta nei confronti della domanda, oppure semplicemente il ritardo tecnologico tra la struttura produttiva e la nuova crescita della domanda?).

Altri ottimisti ripongono le loro speranze nei depositi di petrolio non convenzionale come per esempio le sabbie e gli scisti bituminosi. Ma purtroppo il petrolio non convenzionale rappresenta un sorgente di energia molto costosa per il trattamento chimico-fisico necessario a renderlo "fruibile", e questo riduce notevolmente la quantità di energia netta ricavabile. Per non parlare dei disastri ambientali che si compiono sia nell'estrazione che nel trattamento di questo petrolio non convenzionale.

Quello di cui siamo certi è che prima o poi il petrolio finirà, ma questo sembra che lo sappiano anche le grandi compagnie e gli Stati visto come si contendono questa fonte energetica a suon di cannonate. L'invasione dell'Iraq da parte degli USA, a cui si sono accodati molti Stati europei va vista in questa direzione, oltre che anche in chiave politico-strategica di contrasto alla possibilità che nasca nell'area mediorientale una grande potenza capace di catalizzare le forze dei vari Stati del medioriente. L'Italia, rappresentata dall'ENI, non è da meno e con la sua classica politica internazionale ambigua di quello che sta sempre con un piede da una parte e una zampa dall'altra, non disdegna di appoggiare la costruzione di oleodotti sia che provengano dall'Asia del nord in accordo con la russa Gazprom, sia che provengano dall'Asia mediorientale, come il famoso progetto dell'oleodotto che dovrebbe portare petrolio dal Mar Caspio al Mediterraneo (il Baku-Tbilisi-Ceyhan, o Btc) in pieno accordo con la politica statunitense e non ben visto dalla Russia. In quest'ottica vanno viste anche le ragioni che hanno spinto la grande e potente Russia a muovere guerra contro la piccola e quasi inerme Cecenia. Diventata quest'ultima crocevia anche dei moderni scambi petroliferi mondiali, Mosca non può permettersi la separazione, anche perché da Grozny passa l'oleodotto che collega la Russia con i pozzi di Baku sul Mar Caspio in Azerbaigian e che poi si dirama a Sud verso il Mar Nero, non lontano dal confine turco.

Ma poi in definitiva guardate questa cartina e osservate il dedalo di condotte di olio e di gas gia esistenti e quelli in progetto, e appare subito chiaro il motivo del perché di tante turbolenze politiche.

All'interno di queste acerrime concorrenze tra Stati e tra multinazionali si inserisce anche il prospettato quanto tormentato realizzazzione del corridoio 8, che dall'area caucasica dovrebbe attraversare la penisola balcanica per arrivare alle coste adriatiche italiane. Per inciso l'idea dei "corridoi transeuropei" nasce con la caduta del muro di Berlino per facilitare gli scambi multimodali (di merci, di persone, di petrolio e di altri approvvigionamenti energetici, di sistemi di telecomunicazione, ecc) tra la UE e gli stati balcanici, quelli che si affacciano sul Mar Nero e sul Caspio e quelli dell'Asia Centrale. Con il corridoio 8 è chiaro il tentativo europeo di garantirsi una diversificazione delle sorgenti energetiche per non dover dipendere troppo dalla Russia, suo attuale maggiore fornitore.

Solo che in questo progetto si introducono anche gli USA che vorrebbero far passare il corridoio in Albania, sua alleata, piuttosto che in Grecia, più vicina all'Europa. Ed è in questa concorrenza internazionale, fatta di lotte per il controllo dei corridoi energetici, che si inquadrano gli ultimi conflitti nell'area balcanica, dove neppure l'Italia si è tirata indietro, e che vedono la Russia opporsi all'Europa e gli USA, amici-nemici in questa contesa. Il tutto sulla pelle delle popolazioni locali, cinicamente bombardate e massacrate dalla Nato e dalla "pacifica" Italia, gia dai tempi del governo D'Alema, che con la scusa di sconfiggere Milošević, cercavano solo di garantirsi il controllo territoriale dei Balcani.

Difatti l'oleodotto dovrebbe partire dalla Bulgaria, ricollegandosi probabilmente a quello del Nabucco, e due sono le possibili opzioni: una collegherebbe Bourgas alla città greca di Alessandropoli, l'altra opzione collegherebbe la stessa Bourgas alla città albanese di Vljora, in Albania. Quest'ultima è l'opzione apertamente appoggiata dagli Stati uniti. Infatti, il consorzio internazionale promotore dell'oleodotto Baku-Tiblisi-Cevhan, apertamente appoggiato dagli USA, ha più volte invitato il Governo bulgaro a sostenere la costruzione di un tratto di oleodotto che colleghi Bourgas alla costa albanese.

Purtroppo l'oro nero rappresenta ancora oggi una fonte di energia insostituibile, per lo meno nel breve tempo, e non solo, ma esso è anche una materia prima fondamentale per ottenere materiali utili, dai bitumi stradali alle plastiche, fino ai concimi utilizzati in agricoltura.

Dietro l'utilizzo del petrolio c'è però un impatto ambientale notevolissimo. In pratica tutta la filiera del petrolio è accompagnata da inquinamento; dall'estrazione, con inquinamento delle falde acquifere, corsi d'acqua, laghi e mari, dovuta allo sversamento accidentale del liquido estratto, o al colpevole abbandono della parte più pesante, ossia del bitume; alla fase estrattiva è associato anche l'inquinamento da "gas flaring", ossia la consuetudine di bruciare il gas associato al petrolio, quando questo per motivi tecnici-economici non è sfruttabile (è la classica torcia che vediamo perennemente accesa su certi pozzi petroliferi); l'impatto sull'ambiente è legato anche alla raffinazione, con inquinamento dell'aria e produzione di rifiuti pericolosi perché contenenti sostanze altamente nocive come i metalli pesanti; al trasporto in nave con sversamenti che avvengono quasi regolarmente nei mari, come quello Exxon Valdez, avvenuto nel 1989 al largo delle coste dell'Alaska, dove oltre 257.000 barili di petrolio grezzo uscirono dalla nave in seguito all'apertura di una falla nello scafo. Per rendersi conto della quantità di petrolio che arrivò sulle coste, basti pensare che il volume di petrolio fuoriuscito è equivalente a quello di 127 piscine olimpioniche. Mare, spiagge e animali furono tutti ricoperti dal petrolio e l'opera di bonifica è tuttora in corso.

Carbone

La seconda fonte energetica in termini di importanza di impiego è il carbone.

Anzi storicamente è stato il carbone il combustibile principale ed il primo, in senso temporale, della rivoluzione industriale.

Il carbone nasce dalla trasformazione di vegetazioni remote: il clima sulla Terra in certe ere geologiche favorì lo sviluppo di rigogliose foreste. Successivamente una successione di eventi geologici fece si che i resti di queste piante vennero ricoperti da sedimenti, che con le alte pressioni e temperature si compattarono e, attraverso processi biologici, chimici e fisici, come espulsione di acqua e arricchimento in carbonio, in assenza di aria, subirono il processo della carbonizzazione.

Il carbone è composto principalmente da carbonio, ossigeno, idrogeno, ma anche in misura inferiore da altri elementi, come azoto e zolfo.
La qualità energetica del carbone dipende dal suo contenuto in carbonio, strettamente legato al potere calorifico e quindi alla densità energetica. La quantità in carbonio è dipendente dal periodo geologico della formazione del carbone: più è antico e più aumenta la percentuale di carbonio.

Nella qualità e nella composizione del carbone, oltre al tempo, intervengono anche altri fattori quali le diverse tipologie di piante che subiscono la trasformazione, la profondità del loro seppellimento, e quindi le temperature e le pressioni presenti nei vari strati; inoltre giocano un ruolo fondamentale in tal senso la composizione minerale dell'acqua e delle rocce a contatto con i vari strati vegetali. Fatte queste premesse di carattere qualitativo, il carbone fossile si classifica, in ordine crescente di alterazione subita, nel modo seguente: torba, lignite, litantrace, antracite. Il processo che porta all'arricchimento di carbonio prosegue fino alla formazione della grafite, minerale costituito da solo carbonio. (Una curiosità: grafite e diamante, tutti e due costituiti da carbonio puro, differiscono solo per il loro reticolo cristallino. Anzi la grafite è la forma stabile alle condizioni di temperatura e pressione della superficie terrestre, mentre il diamante è instabile e tende a trasformarsi in grafite, solo che il processo è lentissimo e avviene in milioni di anni).

La torba (peat) è il carbone fossile più recente e si forma ancora oggi in zone palustri in seguito alla decomposizione lenta di vegetali, generalmente palustri, in presenza di acqua ed organismi anaerobici.. È un materiale poroso che contiene il 90% di acqua: prima di essere usata come combustibile deve essere essiccata oppure si deve eliminare l'acqua per compressione. Esistono torbiere in Russia, Polonia, Finlandia, Germania, Francia e Regno Unito.

Nella lignite (coal) il processo di carbonizzazione è più avanzato rispetto alla torba. Si è formato nell'era terziaria (qualche decina di milioni di anni) e deriva dalla fossilizzazione delle piante ad alto fusto. Ha umidità superiore al 21%. Ha un alto potere calorifico. Nelle ligniti la fossilizzazione del legno non è mai completa: hanno un elevato tenore di acqua e contengono zolfo.

Il litantrace è il carbon fossile per eccellenza: è il più abbondante e il più importante per le sue applicazioni. Si estrae in profondit, servendosi di pozzi e gallerie e si è formato nell'era secondaria (da circa 60 a 250 milioni di anni fa).

L'antracite è un carbone fossile di età paleozoica più antica rispetto al litantrace (circa 300 milioni di anni fa, nel periodo appunto chiamato carbonifero) ed è caratterizzato da una elevata percentuale di carbonio e da una ridotta percentuale di materie volatili. È il carbone più pregiato per l'alto potere calorifico; è il carbone più antico e più pulito di tutti: non contiene zolfo.

Il Carbone ha molti impieghi. Per ottenere prodotti derivati si usa quasi esclusivamente il litantrace (talvolta l'antracite): mediante vari processi chimico-fisici, tra cui la distillazione si ottengono benzine sintetiche; per distillazione diretta si ottengono coke (impiegato in siderurgia), gas combustibile, acque ammoniacali e catrame; da quest'ultimo, per distillazione frazionata: oli leggeri (benzolo, toluolo, xilolo, nafta solvente, ecc.), oli medi (fenolo, cresolo, naftalina), oli pesanti e impregnanti, oli antracenici (antracene, carbazolo, carbolinoleum) e dai residui la pece.
Tuttavia è la produzione di energia elettrica ad assorbire la maggiore quantità di carbone.

I principali paesi produttori esportatori di carbone sono Cina, USA, ex-URSS, Germania, Polonia, India, Australia; ma vediamo i seguenti diagrammi e tabelle.

In base a quanto riportato da IEA Coal Information (2002, con dati del 2001), si può stilare la seguente classifica NELLA PRODUZIONE DI CARBONE:

Quest'altra tabella ci fa vedere invece quanto incide il carbone nella produzione energetica delle varie aree mondiali:

Diversamente dal petrolio e dal gas, che possono essere trasportati attraverso dei condotti, essendo dei fluidi, il carbone ha grossi problemi di trasporto con conseguente sensibile incidenza sui costi.

Anche se si stanno sperimentando metodologie di trasporto di carbone miscelato con acqua in "pipelines". Che potrebbe essere competitivo con quello generalmente effettuato in treno per mettere in contatto le miniere con i porti, da cui il carbone viene poi trasportato con le navi.

Comunque l'introduzione di questi carbonodotti ha creato nuovi problemi, quali il trattamento e il recupero del carbone trasportato, e lo smaltimento delle acque reflue.

Ma non c'è da stupirsi se il Capitale trova una via più conveniente di trasporto se poi non si preoccuperà per nulla degli effetti ambientali.

Tuttavia l'impatto ambientale più forte avviene al momento della sua utilizzazione relativamente alle emissioni di prodotti inquinanti e allo smaltimento delle ceneri prodotte dalla sua combustione. Circa un quarto dell'energia consumata in tutto il mondo è fornita dal carbone: il suo contributo al fenomeno delle piogge acide e dell'effetto serra (attraverso le emissioni soprattutto di biossido di zolfo e anidride carbonica rispettivamente) è molto rilevante. La combustione del carbone infatti produce molti più inquinanti di quella del petrolio o del metano (oltre agli ossidi di carbonio e zolfo, anche quelli di azoto, idrocarburi aromatici, metalli pesanti).

Per quanto multinazionali come l'ENEL continuino a propagandare il cosiddetto "carbone pulito" (pulito cioè dallo zolfo), l'impiego di questa fonte energetica rimane uno dei più inquinanti, ed il fatto che venga ancora così sostenuto, quando, come vedremo successivamente, esistono energie più compatibili, non può che far pensare che dietro il suo utilizzo ci siano importanti interessi economici.

A tal proposito vediamo la prossima tabella che mette in relazione la produzione di alcune sostanze di combustione con la fonte energetica di provenienza.

Per quanto l'ENEL propagandi impianti per la produzione di energia elettrica da carbone, come a Civitavecchia, dove sta avvenendo la conversione della centrale Torre Valdanica Nord da olio a carbone (in realtà i tre quarti). Il nuovo impianto secondo ENEL sarebbe provvisto di filtri ad elevata efficienza che dovrebbero abbattere rispetto ad oggi, l'anidride solforosa dell'82,2%, gli ossidi di azoto del 60,8%, le polveri del 73,6% e l'anidride carbonica del 17,8%.

La motivazione che ENEL mette sul piatto della bilancia è che il ricorso al carbone contribuisce a diversificare il mix dei combustibili attualmente utilizzato in Italia, dove si registra, unico paese al mondo, un forte sbilanciamento nei confronti del metano e dell'olio combustibile (circa il 70%).

Sempre secondo ENEL col ricorso al carbone si garantisce una maggiore sicurezza nell'approvvigionamento di fonti energetiche primarie: il carbone infatti viene estratto in oltre 100 paesi del mondo, ha riserve stimate per 240 anni ed è trasportabile in modo ambientalmente sicuro via nave.

E sempre secondo ENEL l'incremento dell'uso di questa fonte energetica consentirà una maggior efficienza e una riduzione del costo dell'energia che, oggi in Italia, è uno dei più alti d'Europa. poiché viene usato per una quota modesta (11% contro un 34% medio dell'Europa), in paesi attenti all'ambiente come Danimarca o Germania viene impiegato per produrre metà dell'energia elettrica nazionale.

Quello che l'ENEL non dice è che la conversione, che riguarda ca. 2.000 MW di potenza, comporterà delle emissioni annue di CO2 di circa 10 milioni di tonnellate, con tutti i filtri annunciati, con un incremento in realtà sul totale di 5 milioni l'anno. (Infatti, anche se i filtri sono più efficaci, aumenta in realtà la materia combusta, poiché per ottenere lo stesso quantitativo di energia rispetto al petrolio devo bruciare più carbone poiché quest'ultimo ha una minore densità energetica). Per non parlare poi delle 120 navi in più all'anno per trasportare il carbone, alla faccia del famoso protocollo di Kyoto. (soltanto Valdalica Nord emetterebbe la metà circa di quello che il protocollo di Kyoto prevedrebbe a regime per l'Italia).

Non c'è bisogno quindi di scomodare la controversa faccenda delle nanoparticelle per capire che questi progetti sono assurdi e che il carbone pulito è una balla inventata dal Capitale.

Quello che possiamo aggiungere è che secondo un rapporto del WWF del 17 ottobre del 2006: "Le centrali a carbone continuano ad essere tra le principali responsabili delle emissioni di mercurio, arsenico e di polveri fini (WWF 17.10.06)".

Sensibilmente superiori anche al petrolio.

Per quanto riguarda le riserve e le risorse di carbone ancora disponibili, così come per il petrolio, abbiamo visto l'incapacità del sistema capitalista a fornire dei dati attendibili in tal senso. Speculazioni finanziarie, interessi politici e strategici, influenzano pesantemente queste stime che il più delle volte sono anche molto diverse da istituzione a istituzione.

Giusto per avere un'idea, ma solo un'idea visto quello che abbiamo ora detto, possiamo affermare che se il petrolio dovrebbe avere ormai vita breve, circa una quarantina di anni, il carbone, agli attuali consumi dovrebbe durare molto di più, circa un 250 anni.

Gas naturale

La terza fonte energetica per importanza è rappresentata dal gas naturale.

Il principale componente del gas naturale è il metano (CH4), la più piccola e leggera fra le molecole degli idrocarburi. Può anche contenere idrocarburi gassosi più pesanti come etano (CH3CH3), propano (CH3CH2CH3) e butano (CH3CH2CH2CH3), e altri gas (anche pentano), in piccole quantità. Inoltre sono presenti solfuro di idrogeno (H2S) e mercurio (Hg) che sono considerati dei contaminanti comuni nel gas.

Il gas naturale si forma per fermentazione anaerobica di materiale organico e si trova da solo oppure associato al petrolio.

Oltre ad essere un'energia fossile, formatosi e intrappolato in giacimenti in tempi geologici, il gas naturale si può formare anche molto più rapidamente nelle paludi, nelle discariche e dalla digestione di alcuni animali come i bovini. Il cosiddetto bio-gas può essere considerato come una vera e propria risorsa energetica rinnovabile.

Il principale utilizzo che si fa del gas è nella produzione di energia elettrica. Dopo vengono gli altri usi: cottura dei cibi, riscaldamento dell'acqua e degli ambienti dove viviamo, in misura minore l'autotrazione.

Vediamo quali sono i principali produttori, osservando la prossima tabella.

Nella tabella compare anche la colonna della vita media delle riserve di gas, che ovviamente, oltre alla capacità dei giacimenti dipende anche dall'intensità dello sfruttamento degli stessi. Comunque alcuni autori, ad esempio secondo BP del 2004 le riserve mondiali stimate sono di 179'529 miliardi di metri cubi e i maggiori produttori sono: Russia 26,74% Iran 15,32% Qatar 14,36% Arabia Saudita 3,76% Emirati arabi uniti 3,38% USA 2,95% Nigeria 2,78% Algeria 2,55% Australia 1,37% Cina 1,24% Malesia 1,42% Birmania 1,37% Resto del mondo 22,77%.

Il gas viene trasportato o attraverso i gasdotti o attraverso le navi metaniere, dopo aver subito un processo di liquefazione. Il primo tipo di trasporto pone agli Stati grossi problemi non solo legati all'incertezza dell'approvvigionamento (basta che uno Stato dove passa il gasdotto chiuda i rubinetti, come è avvenuto per il gas russo passante per l'Ucraina), ma anche problemi militari strategici di difesa delle linee energetiche. Il trasporto in metaniera prevede grossi problemi di sicurezza e la necessaria presenza anche di impianti di rigassificazione.

Legato alla rigassificazione c'è da registrare il tentativo dell'Italia di porsi come referente futuro europeo di fornitura di gas naturale con la costruzione di una rete di rigassificatori, in previsione di una difficile attuazione di quei progetti di costruzione di altre linee energetiche di gas naturale. Altrimenti non si spiegherebbe il progetto di costruirne in una quantità tale che non viene giustificata dalle quantità attuali di trasporto di gas liquefatto.

E nel frattempo aleggiano nell'Europa numerosi progetti di costruzione di gasdotti: il South Stream costruito in partenariato tra ENI e la russa Gazprom, che dovrebbe partire dalle rive russe del Mar Nero; il Nord Stream, che dovrebbe partire dal Baltico, costruito da Gazprom e due tedesche; il Nabucco, sostenuto dall'UE, che dovrebbe portare gas dall'Iran e dalle ex repubbliche sovietiche centroasiatiche. Ad aggiungersi a quelli gia esistenti: lo Yamal ed il Brotherhood, che portano gas russo all'Europa. Per quanto riguarda l'Italia il TTPC e TMPC (742 e 775 km, in gran parte sottomarini) per l'importazione da Algeria e Libia, TAG (lungo 1.018 Km) per l'importazione dalla Russia, e TENP e il Transitgas (rispettivamente 924 e 291 Km) per l'importazione dall'Olanda e dalla Norvegia.

Il tutto avviene in una feroce competizione tra Stati e multinazionali, dove la nostra ENI è presente tra le più forti.

Per quanto riguarda gli impatti provocati dall'estrazione e dall'utilizzo del gas naturale, nel primo caso, a cui va aggiunto il trasporto, si devono considerare le perdite fisiologiche e le conseguenti immissioni nell'atmosfera di un gas, il metano, che ha un potere di trattenere il calore proveniente dalla superficie terrestre 22 volte più della CO2. Nel secondo caso, la combustione del gas naturale produce CO2, CO, ozono, ossidi di azoto, ma non produce, differentemente da petrolio e carbone particolato, ossidi di zolfo e idrocarburi incombusti come il benzene.

Andiamo a considerare per ultima quella fonte energetica di cui si parla di più in Italia oggi, e cioè l'energia nucleare.

Energia nucleare

Le reazioni che coinvolgono l'energia nucleare sono principalmente quelle di fissione nucleare e di fusione nucleare.

Nelle reazioni di fissione (sia spontanea, sia indotta), nuclei di atomi con alto numero atomico (pesanti) come, ad esempio, l'uranio e il torio si spezzano producendo nuclei con numero atomico minore, diminuendo la propria massa totale e liberando una grande quantità di energia. Questo processo è quello che viene usato per produrre energia nelle centrali nucleari.

Nelle reazioni di fusione, i nuclei di atomi con basso numero atomico, come l'idrogeno o il deuterio, si fondono dando origine a nuclei più pesanti e rilasciando una notevole quantità di energia (molto superiore a quella rilasciata nella fissione, a parità di numero di reazioni nucleari coinvolte), tuttavia non è ancora stato possibile realizzare, in modo stabile, reazioni di fusione controllata. Tuttavia questo processo avviene in natura nelle stelle e si può dire che indirettamente e direttamente noi gia sfruttiamo l'energia di un'immensa centrale nucleare a fusione che è il nostro sole.



La fissione consiste nel rompere il nucleo dell'atomo per farne scaturire notevoli quantità di energia: Quando un neutrone colpisce un nucleo fissile (ad esempio di uranio-235), questo si spacca in due frammenti e lascia liberi altri due o tre neutroni (mediamente 2.5). La somma delle masse dei due frammenti e dei neutroni emessi è leggermente minore di quella del nucleo originario e di quelle del neutrone che lo ha fissionato: la materia mancante si è trasformata in energia. La percentuale di massa trasformata in energia si aggira attorno allo 0.1%, cioè per ogni kg di materiale fissile, 1 g viene trasformato in energia. Se accanto al nucleo fissionato se ne trovano altri in quantità sufficiente (massa critica), si svilupperà una reazione a catena in grado di autosostenersi per effetto delle successive fissioni dei nuclei causate dai neutroni secondari emessi dalla prima fissione.



Il funzionamento di una centrale nucleare è molto simile a quello di una convenzionale centrale termoelettrica con la differenza che l'acqua viene riscaldata da un reattore nucleare dove l'uranio viene fissionato. Tre sono le parti principali della centrale:

  • Edificio contenente il reattore: un enorme cilindro con spesse pareti, dove al centro è collocato il reattore
  • Sala macchine: un edificio dove è sistemata la turbina e l'alternatore
  • Edifici ausiliari: contengono le piscine schermate per la conservazione temporanea degli scarti radioattivi della centrale.

Il funzionamento della centrale è abbastanza semplice: viene pompata dell'acqua attraverso il reattore che la fa evaporare attraverso il calore emesso dalla fissione dell'uranio. Il vapore viene inviato nella turbina che trasferisce la propria forza meccanica all'alternatore che genera corrente elettrica.

A partire dagli anni '40 del '900 sono stati ideati moltissimi tipi di reattore, con caratteristiche e scopi diversi, con lo scopo principale, inizialmente dichiarato apertamente, di produrre materiale adatto alla realizzazione degli arsenali atomici; solo in un secondo tempo a questa motivazione si è affiancata la produzione di energia elettrica. Non a caso infatti i paesi che vantano il maggior numero di centrali sono anche quelli dotati di un notevole arsenale di armi nucleari.

Il "combustibile" di gran lunga più diffuso è l'uranio arricchito (cioè con una percentuale di uranio-235 maggiore del normale), ma non è l'unico materiale fissile utilizzabile: una delle ragioni per cui si sono sviluppati reattori ad U235 è che essi producono plutonio, utile alla fabbricazione di ordigni nucleari.

Spesso ci viene detto che l'Uranio è la fonte energetica a maggiore densità di energia. Ma bisogna considerare che quello che viene estratto contiene una bassa quantità dell'isotopo fissile U235. Infatti, prima di essere usato come combustibile nelle centrali nucleari, l'Uranio estratto in natura, deve essere arricchito, aumentandone la percentuale di U235 fissile, nei confronti dell'U238, non fissile, molto più presente percentualmente in natura nei minerali da cui si estrae l'Uranio (pechblenda). Per questo è quantomeno opinabile dire che l'energia nucleare sia a più alta densità energetica rispetto alle altre energie fossili. Infatti la fissione di un grammo U-235 produce 68 GJ di energia termica, ma U-235 non si trova libero in natura, un grammo di U-235 si ricava, mediamente, da 7 tonnellate di minerale lavorato in miniera.

Di conseguenza il potere calorifico del minerale contenente U-235 è, mediamente, di 10 MJ/kg, il potere calorifico del petrolio è di 42 MJ/kg e quello del carbone di 30 MJ/kg, quindi secondo questo ragionamento il nucleare, nel migliore dei casi, ha una densità energetica dello stesso ordine di grandezza degli altri combustibili fossili.

Come gia detto, l'uranio che viene estratto contiene una bassa quantità dell'isotopo fissile, l'U235, per cui deve essere arricchito attraverso dei processi chimico-fisici. Il prodotto che viene scartato da questo processo è l'Uranio cosiddetto impoverito, che ha una minore radioattività, ma essendo un metallo molto pesante viene impiegato nella costruzione di proiettili da arma da fuoco, in grado di perforare corazze anche molto spesse. Tali proiettili sono stati impiegati in larga scala nella guerra del Kossovo con conseguenze pesanti, dal punto di vista della salute, con chi ne veniva a contatto, escludendo ovviamente i danni da impatto diretto.

Per quanto riguarda riserve accertate e la produzione abbiamo che quasi il 90% dei minerali contenenti uranio utilizzabile è concentrato in soli 10 paesi:

  1. Australia - 1.143.000 Tonnellate
  2. Kazakistan - 816.099
  3. Canada - 443.800
  4. USA - 342.000
  5. Sud Africa - 340.596
  6. Namibia - 282.359
  7. Brasile - 278.700
  8. Niger - 225.459
  9. Russia - 172.402
  10. Uzbekistan - 115.526

Tra i quali i primi tre ne sono anche i maggiori produttori.

Nella tabella successiva vengono riportate le centrali nucleari nel mondo, distinte per paese.

Le centrali nucleari civili nel mondo
(aggiornamento 2005)

Questa cartina ci fa vedere invece la distribuzione geografica delle centrali.

Le note dolenti dell'energia nucleare sono presenti a tutti livelli, prima di tutto sul lato ambientale.

Si dice che l'impiego del nucleare permetterebbe la diminuzione di emissione di CO2 nell'atmosfera. Ma se noi consideriamo tutta la filiera di produzione energetica, dall'estrazione dell'uranio, al suo arricchimento fino alla dismissione delle centrali obsolete, è ben lungi dall'essere a emissione zero. Qualche autore ha calcolato che a conti fatti l'emissione di CO2 connessa in tal senso ad un impianto nucleare è più o meno la stessa prodotta da un medesimo impianto, in termini di potenza, di produzione di energie elettrica con gas naturale.

Ma il problema ambientale più grave associato allo sfruttamento del nucleare è quello della produzione di scorie radioattive, e nessuno fino ad ora è riuscito ad eliminarlo. Molte scorie hanno tempi di decadimento di migliaia di anni: infatti il grado di radioattività elevato di queste scorie implica un lungo periodo di decadimento, fino a 100.000 anni. In tutto il mondo è stato identificato soltanto un sito "sicuro" per ospitare in profondità le scorie (deposito geologico) per migliaia di anni. Si trova in una zona desertica nel New Mexico (Usa) e ha richiesto oltre 25 anni di studio. Gli Usa hanno investito oltre 2,2 miliardi di dollari nello studio della sicurezza dei depositi geologici. Ciò nonostante non c'è ancora nulla di certo. La conseguenza è che fino ad ora le scelte di localizzazione dei depositi di scorie sono più frutto della ragion di Stato che di processi condivisi con i cittadini del luogo.

Per capire quanto siano incerte le conoscenze fisiche sullo stoccaggio di scorie in depositi geologici e quanto questo sia problematico, vi è in proposito una sperimentazione eseguita da un ricercatore ucraino, tal Vladimir Dubinko. Dubinko ha fatto vedere i suoi risultati sperimentali sullo stoccaggio delle scorie radioattive dentro le "formazioni saline". Il sito di stoccaggio di Scansano di cui si è parlato, è di questo tipo. L'idea che ha inizialmente fatto scegliere questo sito è che esso sia stabile da diverse centinaia di milioni di anni, pertanto un buon posto per immagazzinare le scorie radioattive. Dubinko però ha scoperto un problema. Ha visto che esponendo il salgemma (NaCl) alle radiazioni, si formano delle bolle di cloro all'interno della struttura. Queste bolle indeboliscono il solido e alla fine lo fanno letteralmente esplodere. E' un fenomeno abbastanza noto nella scienza dei materiali, avviene anche in minerali silicei quando all'interno contengono delle minuscole inclusioni di carbonato di calcio che, scaldando, rilasciano repentinamente CO2 gassoso. Dubinko l'ha visto succedere con il salgemma irradiato, ma non solo; anche su altre rocce in teoria resistenti, come il granito.

Quindi il problema dello stoccaggio di scorie nucleari rimane un fatto molto serio e irrisolto; infatti se i principali centri di stoccaggio europei sono:

  1. Le Hague (Francia)
  2. Sellafield (Regno Unito)
  3. Oskarshamn (Svezia)
  4. Olkiluoto (Finlandia),

tutti questi centri di stoccaggio europei hanno però natura "temporanea" per rispondere al criterio di reversibilità delle scelte. Non conoscendo con precisione le conseguenze dello stoccaggio delle scorie radioattive nel tempo, si rende così possibile un loro futuro trasferimento in altri luoghi. Nel caso dei siti geologici questo non sarebbe possibile, i materiali ospitati in cavità sotterranee dovranno restarci definitivamente anche nel caso in cui la scelta del sito si riveli sbagliata.

In Italia sono 4 le centrali dimesse dopo il referendum del 1987, localizzate a Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta) più una serie di centri di ricerca e sperimentazione e alcuni centri di trattamento del combustibile, ancora oggi in fase di smantellamento. La proprietà e le responsabilità relative alla gestione e al decommissioning sono affidate a Sogin, società pubblica appositamente costituita nel 1999.

La centrale nucleare Enrico Fermi di Trino costituì la prima iniziativa industriale avviata in Italia in campo nucleare. I lavori di costruzione iniziarono nel 1961 e il 22 ottobre 1964 iniziò ad immettere elettricità in rete. La centrale di Caorso è la più recente e la più grande delle centrali nucleari realizzate in Italia. Il reattore di Caorso ha raggiunto la prima criticità il 31 dicembre 1977 e il primo parallelo con la rete nazionale è stato effettuato il 23 maggio 1978. La centrale di Latina fu la prima centrale nucleare ad entrare in funzione in Italia, con inizio di immissione di elettricità nella rete nazionale il 12 maggio 1963. La centrale del Garigliano appartiene alla prima generazione degli impianti nucleari e fu fermata dall'Enel nel 1981. L'impianto Eurex di Saluggia (Vercelli), realizzato nel periodo 1965-1970, aveva come obiettivo il riprocessamento dei combustibili dei reattori di ricerca della comunità europea. A partire dal 1984 l'impianto di riprocessamento non ha più funzionato. Il deposito Avogadro di Saluggia (Vercelli) realizzato da Fiat alla fine degli anni ‘50 come reattore nucleare sperimentale, è stato successivamente trasformato nell'anno 1984 in deposito per combustibile irraggiato di proprietà Enel. L'impianto di Bosco Marengo (Alessandria) ha operato dal 1973 al 1995 fabbricando combustibili per le centrali nucleari italiane e anche per reattori esteri. Da Bosco Marengo, altro sito piemontese gestito da Sogin, "è partito di recente il terzo ed ultimo carico di uranio presente nell'ex impianto nucleare, con destinazione Kazakistan". L'impianto Itrec di Rotondella (Matera), impianto di trattamento del combustibile, realizzato nel periodo 1965-1975, aveva come obiettivo la dimostrazione della fattibilità della chiusura del ciclo uranio-torio, con il riprocessamento del combustibile irraggiato.

In un rapporto Sogin, finalizzato alla ricerca in Italia di un sito geologico idoneo a contenere scorie nucleari, rapporto in cui venne individuato Scansano Jonico (Matera), si faceva l'inventario dei rifiuti nucleari di III categoria presenti e/o prodotti in Italia che devono essere stoccati definitivamente in un deposito geologico (secondo l'APAT, Agenzia governativa per la Protezione dell'Ambiente e per i Servizi Tecnici, sono rifiuti nucleari di III categoria quelli che hanno tempi di decadimento lunghissimi, svariate migliaia di anni).

Secondo questo inventario, l'elenco dei rifiuti radioattivi di III categoria da conferire al deposito definitivo comprende:

Per inciso il riprocessamento è un operazione di condizionamento dei rifiuti nucleari, con lo scopo non solo di renderli meno attivi, ma specialmente quello di recuperare prima gli elementi fissili presenti, tra cui oltre all'uranio c'è anche il plutonio, elemento principe per la costruzione di bombe nucleari a fissione.

La quantità di combustibile irraggiato presente in Italia veniva riportato nel rapporto Sogin nella seguente tabella:

A questo inventario si deve aggiungere la quota di proprietà SOGIN del combustibile, attualmente stoccata in Francia presso la centrale SUPERPHENIX di Creys-Malville, pari a 121 elementi di combustibile al plutonio (MOX – ossido misto di plutonio e uranio) irraggiati, per un totale di circa 62 T/HM. Pertanto, l'inventario totale di combustibile irraggiato non riprocessato da inviare all'ipotetico deposito nazionale è quello indicato nella tabella seguente.

Invece tutto il combustibile di Garigliano e Latina è stato già rimosso dagli impianti. In particolare:

Per il combustibile irraggiato attualmente presente nelle piscine degli impianti di Trino, Caorso e Saluggia (ad eccezione del quantitativo di combustibile del Garigliano da inviare al riprocessamento, come appena detto), in attesa della disponibilità del deposito nazionale validato anche per la III categoria, si procederà allo stoccaggio a secco in apposite strutture da realizzare presso gli attuali siti di deposito temporaneo.

Questo combustibile verrà sigillato in contenitori schermanti adatti sia allo stoccaggio sia al successivo trasporto al tanto sospirato deposito nazionale (cask "dual purpose").

Anche per i combustibili irraggiati presenti nei centri di Ispra, Casaccia e Trisaia è previsto lo stoccaggio a secco in cask dual purpose collocati temporaneamente negli stessi siti. Per quanto riguarda il combustibile irraggiato Superphénix, si prevede di mantenere lo stoccaggio del combustibile presso l'Impianto di Creys Malville, in Francia, fino a quando non sarà disponibile in Italia il sempre più sospirato deposito nazionale; ciò consentirà, secondo Sogin, il trasporto diretto dalla centrale di Creys-Malville al deposito nazionale, evitando di realizzare apposite strutture di stoccaggio intermedio in Italia.

A tutti questi quantitativi si devono poi aggiungere quei rifiuti riprocessati fuori Italia e che sono stati o vetrificati o cementati, per cui Sogin conclude che a conti fatti, nella seguente tabella sono sintetizzati i volumi dei rifiuti nucleari che dovranno trovare posto nel fantomatico, quanto sospirato deposito geologico definitivo.

Come vedete si tratta di circa 10.000 mc di scorie radioattive.

Un altro problema che va affrontato è quello della sicurezza degli impianti. I cosiddetti impianti di IV generazione (di nuova generazione appunto), non saranno pronti prima di almeno 30 anni, sempre che non si presentino quelle difficoltà tipiche delle nuove tecnologie in fase di sperimentazione, che ne prolungherebbero ancora di più i tempi di attesa. Allora per un rilancio immediato del nucleare tutte le industrie hanno messo a punto reattori, detti di III Generazione, che sono modifiche evolutive di quei reattori di II Generazione che avevano tanti difetti, e che, data l'urgenza posta dalla crisi climatica e energetica attuale, dovrebbero intanto venire costruiti massicciamente in tutto il mondo nei prossimi 20 anni (si vagheggia di 100 nuovi reattori costruiti in Europa da qui al 2030!). Quindi nel frattempo ci dovremo accontentare di impianti la cui sicurezza non è assolutamente certificata, ma che anzi sono stati oggetto di numerosi incidenti, la cui gravità è sempre stata prontamente occultata dai relativi Stati proprietari. Fatto sta che dal 1990 a oggi gli incidenti nucleari nel mondo di una certa gravità sono stati più di trenta e chissà cosa viene nascosto e quali saranno i veri effetti di quello avvenuto pochi giorni fa in Slovenia, nella centrale di Krsko.

Un aspetto su cui puntano i nuclearisti è la presunta economicità dell'energia nucleare. Si dice infatti che il kilowattore nucleare è più a buon mercato rispetto a quello ricavato da altre energie. In realtà in questi calcoli viene considerata la sola porzione della filiera produttiva legata alla produzione stessa di energia, tralasciando tutti gli altri costi tra cui quello principale, connesso alla gestione delle scorie e quello sempre notevole collegato allo smantellamento degli impianti quando divengono obsoleti. Anche perché questi costi vengono scaricati sulla collettività, in Francia ad esempio lo Stato impiega circa 10.000 persone ché si occupa esclusivamente della gestione dello smaltimento delle scorie, ed in Italia la collettività sta ancora pagando per lo smantellamento, la messa in sicurezza e la gestione delle scorie radioattive, di cui abbiamo trattato prima, con costi enormi. Solo il trasporto di questi materiali da un paese all'altro anche adiacente, come la Francia e il riprocessamento di qualche tonnellata, costa qualcosa come 200-300.000 milioni di euro.

Il nucleare è talmente economico che chi farà gli investimenti per costruire una centrale nucleare, quando ci vogliono circa 2000-2200 euro per kilowattore installato, tanto che si calcola che il costo di un impianto da 1000 MWe si può arrivare a dover investire inizialmente circa 2 miliardi di euro, in Italia sarà molto probabilmente lo Stato.

Un altro mito da sfatare è quello che il nucleare ci renderà economicamente indipendenti. A parte il fatto che l'Italia non ha miniere di Uranio, per cui saremo comunque costretti a comprarlo all'estero, ma con l'energia nucleare si può produrre solo elettricità, che rappresenta solo circa il 20% dell'energia consumata in Italia, la restante proviene dal petrolio, dal carbone e dal gas. Quindi a meno che non trasformiamo in pochi anni tutto il sistema di autotrazione, di riscaldamento e di approvvigionamento energetico industriale, a ben poco servirà il nucleare per renderci indipendenti. D'altronde la Francia docet: con decine di impianti nucleari ed una sovrapproduzione di energia elettrica è costretta lo stesso ad importare gas e petrolio.

Il sospetto che viene quindi è che, in tutti i paesi dove c'è nucleare civile, questo può sussistere solo in stretta connessione con quello militare. In tal senso va vista la grande opposizione occidentale al nucleare iraniano. Lo sanno bene i signori occidentali che il civile è solo una scusa ed individuano nel nucleare iraniano un elemento di rafforzamento di una potenza che da nazionale potrebbe divenire regionale, catalizzando intorno a se tutto il medioriente. Quello che non si riesce a spiegare, è come mai gli USA non si opposero al programma nucleare indiano, quando questo si avvio in piena fase di trattati di non-proliferazione. Cioè noi, da buoni materialisti ce l'ho spieghiamo con il fatto che gli USA vedevano e vedono di buon occhio una potenza in ascesa come l'India che in qualche modo ridimensioni le altre potenze asiatiche, Cina e Russia in testa.

Tornando all'Italia, probabilmente il tentativo di iniziare un nuovo corso nucleare, è quello, in un prossimo futuro, di procurarsi un deterrente militare in grado di accreditarsi come una potenza politica in campo internazionale, in una fase di forte contesa imperialista per la spartizione delle ultime riserve energetiche fossili. Oltre ovviamente a finanziare l'avida lobby nuclearista, in odore di rivalsa dopo la sconfitta ricevuta negli anni '50 ad opera della più potente lobby dei petrolieri, che ne tarpò le ali, impedendone sul nascere lo sviluppo ostacolandone le ricerche sperimentali gia iniziate.

EROEI

Infine dopo aver trattato brevemente le singole fonti energetiche fossili, ritorniamo un attimo indietro e facciamo un primo confronto tra queste, impiegando come termine di paragone l'EROEI. Ricordate? Il ritorno energetico rispetto all'investimento. Questo rapporto ci fornisce una valenza delle varie fonti energetiche svincolata dal capitalistico ricavi/costi, in quanto è una misura strettamente legata al principio di conservazione dell'energia.

Osserviamo questa tabella sull'EROEI delle varie fonti energetiche. Come si vede c'è una forbice abbastanza ampia, ma comunque ci da un idea sulla valenza energetica delle diverse fonti energetiche considerate.

La forbice è probabilmente dovuta alla difficoltà di calcolare perfettamente questa grandezza, che dipende dall'accuratezza di considerare tutti gli apporti energetici che entrano in gioco.

Qui sotto un'altra classificazione uscita da uno studio del Novembre del 2006 dell'Università di Sidney:

* L'acqua pesante o ossido di deuterio o deuterossido (simbolo D2O, o più correttamente 2H2O) è acqua che, al posto del normale idrogeno, ha due atomi di deuterio, un isotopo pesante dell'idrogeno il cui nucleo contiene un neutrone oltre al solo protone dell'isotopo più diffuso. Questa sostanza ha un ruolo importante nella tecnologia degli impianti di fissione nucleare in quanto sebbene abbia una capacità moderatrice (cioè di rallentare e rendere "termici" i neutroni) minore rispetto dell'acqua leggera (l'acqua normale che beviamo o su cui navighiamo) cattura meno neutroni, in quanto il deuterio è un pessimo assorbitore rispetto all'idrogeno.

 

Francesco Aucone
(
FdCA - Gruppo di Lavoro Ambiente ed Energia)

giugno 2008