NoTAV! e beni collettivi

 

Ormai abituati alle missioni di pace, l'esercito italiano occupa la Val di Susa per proteggere i cantieri della TAV. In fondo anche questo è portare il progresso e la democrazia. Come quando negli anni venti si costruivano le strade e i ponti in Eritrea a colpi di iprite. E come nelle missioni di pace con cui portiamo la democrazia in giro per il mondo gli effetti collaterali sono da mettere nel conto. Così abbiamo la prima vittima civile di questa guerra interna non dichiarata, travolta a 65 anni da un blindato che "faceva manovra". La prima vittima civile, se non ci ricordassimo di Sole e Baleno.

Una guerra civile non dichiarata non è altro che questo, l'esercito mosso a sedare una rivolta pacifica e coerente che nasce nel 1991 (sì, venti anni fa) e a occupare militarmente zone ribelli.

La lotta dei valsusini contro la costruzione della linea TAV non è solo la lotta di una comunità locale contro la rovina del proprio territorio: è anche questo ma è anche qualcosa di molto più importante.

La lotta noTAV è un'opposizione globale che travalica il territorio della Valle di Susa, in quanto riproduce non solo la contrarietà locale all'occupazione devastante e socialmente inutile del territorio da parte dell'industrialismo capitalista, ma è capace di delinearla come opposizione al mito dello sviluppo infinito, bandiera bipartisan sia del liberismo che del Capitalismo di Stato.

Mito la cui adorazione senza riserve porta con se il sacrificio incondizionato delle nostre vite, del nostro lavoro, della qualità della nostra vita, sul sacro altare del profitto. Modello di sviluppo tanto caro non solo alla destra ma anche a quella sinistra istituzionale che, con la scusa del benessere, oltre a garantire il completo asservimento e sfruttamento economico della gran parte della popolazione, ha consegnato il territorio e l'ambiente nelle mani rapaci e distruttive del Capitale.

E per quanto la propaganda di regime cerchi di spacciare da decenni la TAV come fondamentale, facendo adesso appello ai €600 milioni di finanziamento europeo persi in caso di mancata apertura dei cantieri, e continuando a millantare le enormi prospettive economiche, come i nuovi posti di lavoro che si creerebbero in valle, sappiamo che i circa €12 miliardi di soldi pubblici che occorreranno a completare l'opera serviranno esclusivamente a dirottare i soldi dei lavoratori e delle lavoratrici italiane, i principali contribuenti fiscali, nelle tasche dei grandi imprenditori privati e dei burocrati statali loro amici.

Potremmo ripetere ancora fino allo sfinimento, anche rimanendo nell'ambito del puro ragionamento economico di sviluppo infrastrutturale, quello che da anni gli abitanti della Val di Susa sanno e ripetono: che esiste già una linea ferroviaria che è sottoutilizzata, sia per quanto riguarda il trasporto delle merci che delle persone, che in buona parte dell'Italia esistono delle linee in pessimo stato, che avrebbero bisogno, loro si, di essere rimodernate, e che le centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici pendolari che viaggiano tutti i giorni in treno per far arricchire i soliti pochi, sono costretti a spostarsi in condizioni di assoluto disagio. Ci si potrebbe chiedere, come si fa da anni, perché non spendere, molto più oculatamente, i miliardi di risorse pubbliche in opere di ammodernamento delle attuali linee ferroviarie, col conseguente miglioramento delle condizioni di viaggio dei lavoratori e delle lavoratrici pendolari, progetto questo si ambizioso e che creerebbe nuovi posti di lavoro, keynesiamente più intelligente, soprattutto ora che per siamo in un'era di contrazione dei consumi e della produzione di merci.

Sappiamo tutti che invece l'opera va iniziata per arricchire la solita casta industriale italiana, col beneplacito e l'appoggio, ovviamente interessato, dell'apparato legislativo ed esecutivo dello Stato e con la scontata violenza delle forze di repressione, naturali diramazioni dell'oligarchia dei poteri economico e politico.

Ma non siamo disposti ad accettare la violenza che per l'ennesima volta si è riversata sull'autodeterminazione della comunità locale della Val di Susa, violenza che, oltre a garantire con la forza l'occupazione della valle da parte della piovra capitale-stato, ha anche lo scopo di cancellare l'elemento politico per loro più pericoloso che nasce e che permea la lotta delle comunità locali degli sfruttati, e cioè l'autogestione delle scelte sulle proprie vite, a partire dalla gestione ambientalmente e socialmente sostenibile dei territori, che si lega alla grande battaglia per la gestione dei beni comuni e delle risorse collettive, nell'ambito della più generale lotta verso una società egualitaria, libera e solidale.

L'occupazione militare in Val di Susa testimonia la debolezza di uno Stato costretto a ricorrere alla forza per dimostrare il proprio controllo sul territorio, sbugiardato di fronte alla comunità internazionale nelle proprie politiche di pianificazione e di concertazione.

Una prova di forza e una vittoria di facciata, la dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che il Capitale e lo Stato sono subito pronti a gettare la maschera della democrazia quando si attenta alla loro possibilità di gestione delle risorse territoriali. Pena la loro liquidazione.

La lotta della Val di Susa dimostra questo, e per questo la lotta contro la devastazione della TAV è la lotta di tutti/e.

Federazione dei Comunisti Anarchici

2 luglio 2011