Sciacalli sismici
La stragrande maggioranza dei terremoti (specialmente quelli più potenti) che colpiscono la superficie terrestre ha origine dalla "Tettonica delle Placche".
La maggior parte dei sismi vengono generati infatti ai margini delle placche geologiche in cui è suddivisa la crosta terrestre. Queste placche sono in continuo movimento a causa dei moti convettivi del magma del Mantello, sul quale "galleggiano" come delle zattere.
E come delle zattere le placche vengono trascinate e fatte scontrare tra loro, con il conseguente instaurarsi di meccanismi di compressione e distensione che coinvolgono le rocce che si vengono a trovare ai margini delle placche stesse.
Questi meccanismi fratturano le rocce a comportamento fragile (quelle che tendono a spezzarsi più che piegarsi), generando le faglie, il cui movimento, in determinate condizioni, è la causa genitrice dei terremoti.
La formazione della stessa penisola italiana è frutto dei movimenti tettonici, essendosi generata per il sollevamento dei sedimenti che si sono venuti a trovare tra la convergenza delle due grandi placche africana ed euroasiatica, iniziata decine di milioni di anni fa. Questa convergenze, attiva ancora oggi con movimenti che mediamente sono di qualche millimetro l'anno, fa della nostra penisola una terra sismicamente molto instabile.
L'energia cinetica di queste enormi porzioni della crosta terrestre si accumula lentamente in alcuni punti delle rocce poste lungo i margini delle placche, risolvendosi in tensioni sia compressive che distensive che vengono immagazzinate a livello delle superfici delle faglie, fino a che le tensioni stesse non superano l'attrito tra le rocce, liberando repentinamente l'energia accumulata (rimbalzo elastico) che si trasmette alle rocce circostanti sotto forma di onde sismiche.
Il margine che delimita le due grandi placche africana ed euroasiatica è in realtà molto complesso ed articolato, per cui il territorio italiano può essere considerato come suddiviso in una serie di microplacche in collisione tra di loro.
Questo fa si che i terremoti che si generano in Italia abbiano diversi meccanismi generatori (meccanismi focali).
Ad esempio i meccanismi sismogenetici principali responsabili dei terremoti dell'arco alpino sono legati direttamente all'urto tra la placca africana e quella euroasiatica, mentre quelli che generano i terremoti in tutta la fascia appenninica centro-meridionale sono causati dal sottoscorrimento della microplacca adriatica al di sotto di quella tirrenica, con meccanismi prevalentemente compressivi nel versante orientale e distensivi in quello occidentale; altri terremoti sono dovuti all'espansione del Mar Tirreno, che si sta allargando, mentre buona parte dei terremoti più violenti che si sono registrati nel territorio nazionale sono invece legati al sottoscorrimento della microplacca jonica sotto l'arco calabro. Poi ci sono una serie di terremoti minori generati dall'attività vulcanica residua o ancora attiva, come quelli che interessano i Colli Albani (nei pressi di Roma), l'area vesuviana e quella etnea.
L'attività sismica che sta interessando in questi giorni l'Emilia Romagna è legata al sottoscorrimento della placca adriatica sotto quella tirrenica che, in questo versante della catena appenninica, causa la compressione delle rocce con accumulo centenario di energia meccanica nelle faglie e periodico rilascio della stessa sotto forma di scosse simiche.(In passato l'area è stata sede di alcuni terremoti storici di magnitudo inferiore o pari a 6).
Se per ogni territorio riuscissimo a definire in maniera precisa questa periodicità avremmo risolto il discorso della previsione dei terremoti, ma ciò non è possibile sia perché non abbiamo un arco temporale sufficientemente rappresentativo di osservazione scientifica degli eventi sismici, e sia perché, alla luce delle attuali conoscenze pare che i terremoti che si susseguono in un determinato territorio non siano assolutamente periodici, o che per lo meno non abbiano una periodicità tale da poter essere predetti.
Ed infatti l'unica previsione a lungo termine che si può fare è quella storico-probabilistica che viene impiegata per definire la pericolosità sismica di base di una determinata area, e che è funzione della probabilità di superamento di un determinato livello energetico del sisma, in un determinato periodo di tempo.
Anche sul versante della previsione a corto termine non siamo messi benissimo; poco di preciso si sa infatti sul comportamento dei precursori sismici, tutti quei fenomeni che sembra possano in qualche modo preavvisare un evento sismico di grande dimensione.
Sembra infatti che l'aumento della concentrazione del gas radon o il manifestarsi di sciami sismici, o il conclamarsi di altri fenomeni che a volte anticipano i terremoti non sempre preannunciano scosse importanti e inoltre che molti eventi catastrofici che si sono verificati negli ultimi anni non sono stati purtroppo preannunciati da alcun fenomeno precursore.
L'unico aspetto, quindi, su cui si può fare leva è la prevenzione.
E cosa significa fare prevenzione rispetto ai terremoti?
Procediamo per gradi.
Dal punto di vista della prevenzione contro gli effetti del terremoto, inquadrare una determinata area e considerare l'interazione fra il terremoto, le opere umane e le persone presenti sull'area, significa definirne il Rischio Sismico.
Il Rischio Sismico quantitativamente è espresso dal prodotto di tre grandezze: pericolosità, vulnerabilità ed esposizione.
La pericolosità sismica, l'abbiamo visto, è una grandezza oggettiva, indipendente dall'intervento umano, ed è la probabilità che si verifichi, in una data area, entro un dato periodo di tempo, un terremoto di una data energia; la vulnerabilità sismica esprime la propensione delle opere costruttive umane a resistere ai terremoti; la vulnerabilità, a differenza della pericolosità, è una grandezza soggettiva perché dipende dalla qualità con cui vengono costruiti gli edifici; infine l'esposizione, anch'essa una grandezza soggettiva, rappresenta la presenza di popolazione, strutture, infrastrutture, attività o comunque beni in termini di vite umane, economici, storici e strategici che possono essere danneggiati da eventi sismici.
La più recente mappatura del territorio italiano in funzione della pericolosità sismica è quella contenuta nell'OPCM n. 3519 del 28 Aprile 2006, che suddivide il territorio italiano in fasce geografiche, ciascuna caratterizzata da un determinato grado di pericolosità. In base a questa, alle Regioni poi è demandato il compito di classificare il proprio territorio in zone a diversi gradi di pericolosità sismica, allo scopo di elaborare dei nuovi piani territoriali che tengano conto anche dell'aspetto sismico.
E fino a qui, con minore o maggiore virtuosità delle varie Regioni, le cose, dal punto di vista della classificazione territoriali in termini di pericolosità sismica di base, funzionano abbastanza, anche se spesso le autorità scientifiche sono costrette a riadeguare la classificazione sismica di un'area in seguito al verificarsi di eventi non previsti dal punto di vista energetico.
Le cose cominciano a funzionare ancora di meno di come dovrebbero quando si prende in considerazione un altro aspetto della pericolosità sismica, ossia quello legato ai cosiddetti "effetti di sito".
Gli effetti sismici locali comprendono tutte quelle conseguenze legate a particolari condizioni geologiche e topografiche di un sito che fanno si che le onde sismiche vengano amplificate, oppure che si verifichino fenomeni particolari come la liquefazione del terreno, la riattivazione di vecchie frane o la rottura superficiale delle rocce (fagliazione). In questo campo determinante per prevenire i reali effetti di un terremoto e per definire localmente la pericolosità sismica, i cui studi sono appannaggio di una branca della simica che va sotto il nome di "Microzonazione Sismica", siamo ancora indietro, ma non per un'arretratezza delle teorie e delle tecniche scientifiche al riguardo, quanto invece per una colpevole ignavia delle amministrazioni pubbliche competenti.
Per fare un esempio, basti pensare che, pur in presenza di precise direttive di legge, circa la metà dei Municipi romani non ha ancora attuato gli studi territoriali necessari alla mappatura del territorio in funzione del livello 1 della Microzonazione Sismica (che oltretutto è il livello più semplice da attuare perché basato prevalentemente su elementi qualitativi).
E questo dovrebbe essere un aspetto da non trascurare visto che gran parte degli edifici delle grandi città italiane, compresi edifici sensibili come scuole ed ospedali, sono situati su aree suscettibili di amplificazione sismica.
La stessa Emilia Romagna ha un territorio che per circa 3/4 del totale è costituito geologicamente da sedimenti sciolti di varia origine, ma comunque ugualmente suscettibili di amplificazione sismica o instabilità sismica, come liquefazioni, frane, ecc.
Al di là della pericolosità sismica, che come abbiamo visto è abbastanza soddisfacente per quanto riguarda la mappatura macrozonale, ma piuttosto insufficiente nei riguardi della microzonazione, le cose non funzionano per niente quando si prende in considerazione l'aspetto del rischio legato alla predisposizione degli edifici a resistere alle sollecitazioni dinamiche attese, ossia quando si prende in considerazione la Vulnerabilità Sismica.
In questi termini infatti, ho sentito molti tecnici territoriali degli enti pubblici ammettere candidamente di non conoscere affatto la Vulnerabilità sismica della quasi totalità degli edifici presenti sui territori di loro competenza, e non solo di quelli privati, ma anche di quelli pubblici come scuole ed ospedali.
Vi è innanzitutto un primo aspetto da considerare: la maggior parte degli edifici italiani è stato costruito prima dell'entrata in vigore di qualsiasi normativa antisismica. Infatti circa il 55% delle abitazioni in Italia insiste su edifici di oltre 40 anni, una quota che sale al 70% nelle città di media dimensione e al 76% nelle città metropolitane (fonte: http://www.architettibrescia.net/wp-content/uploads/2012/04/weekmailweb_2012_17.pdf).
Per non parlare di edifici sensibili come quelli scolastici che, secondo un'indagine di Legambiente (fonte: Ecosistema Scuola 2011), per circa un 65% è stato costruito prima dell'entrata in vigore delle normative antisismiche, a fronte del fatto che oltre il 50% dei 42.000 edifici scolastici italiani insistono in area a rischio sismico. Per mitigare questi dubbi e conoscere la propensione o meno degli edifici, per lo meno di quelli sensibili, a resistere ai terremoti, basterebbe applicare, pur con le sue incertezze, le attuali Norme Tecniche Costruttive (DM 14 Gennaio 2008). Bisognerebbe determinare la vulnerabilità degli edifici attraverso lo studio concreto, per mezzo di analisi e prove sui materiali costruttivi, sugli elementi strutturali e sulle strutture in toto. E nel caso le capacità di resistenza risultassero più basse rispetto alle azioni sismiche previste dalla pericolosità sismica, andrebbero adeguati strutturalmente in tal senso. (E' questo un terreno in cui normative predisposte per la pianificazione territoriale, come quelle relative alla determinazione dei rischi geologici, e le Norme Tecniche Costruttive investono un campo comune).
Questo in Italia non si fa per gli edifici sensibili (secondo sempre Legambiente il 50% degli edifici scolastici è privo del collaudo statico; non parliamo poi della verifica sismica), figuriamoci per le altre abitazioni civili o per le strutture che ospitano i lavoratori come quei capannoni industriali danneggiati in Emilia e dove hanno trovato la morte alcuni di loro.
D'altronde in questo bel paese abbiamo assistito al fatto che anche edifici costruiti in periodi dove le normative antisismiche esistevano (e questo è il caso dei capannoni industriali emiliani), hanno subito danni fino al collasso strutturale, con tutte le conseguenze del caso.
E questo perché le norme tecniche vengono spesso ignorate a favore di un plus-guadagno palazzinaro con le complicità di tecnici e amministratori compiacenti e com-guadagnanti, un intero blocco sociale pubblico-privato dedito al guadagno a discapito della sicurezza del costruito e delle vite da esso custodite.
D'altronde la sicurezza sociale, già ampliamente ignorata dalle imprese private e dalle politiche economiche e sociali dello Stato, è oggi, con la scusa degli eurosacrifici, una delle prime vittime sacrificali sull'altare del dio denaro. In realtà le risorse ci sarebbero, basterebbe andare a fare un po' di conti in tasca a tutte le amministrazioni statali, centrali e periferiche, per vedere quanto spendono nel mantenere l'esercito del consenso all'interno delle aziende pubbliche o a capitale misto (la vicenda delle assunzioni nell'ATAC d'altronde dovrebbe insegnare qualcosa; un'azienda municipale dove l'attuale Sindaco di Roma ha fatto assumere una cifra sconsiderata di impiegati, scelti nel proprio entourage, il cui numero è divenuto superiore a quello degli autisti), o quanto spende lo Stato in nuovi armamenti o nelle cosiddette missioni di pace; oppure quanto viene regalato all'imprenditoria delle finte cooperative con le esternalizzazioni dei servizi, o quanto viene elargito ad un imponente esercito di dirigenti assolutamente inutili alla collettività, o infine basterebbe recuperare una quota parte delle imposte evase nel commercio e nelle libere professioni, solo per citare alcuni esempi.
Le risorse per eseguire le verifiche sismiche, almeno degli edifici sensibili, ci sarebbero.
Sta a noi, attraverso la costituzione di organismi di autogoverno territoriale basati sulla cooperazione tra cittadini e tecnici attenti alla conservazione dei beni comuni, come il patrimonio edilizio scolastico, e alla salvaguardia della sicurezza sociale, ribaltare la situazione. Creando associazioni di base dove l'interazione tra le figure che usufruiscono e che operano all'interno della scuola e i tecnici territoriali, siano i veri enti decisionali a gestire il buon funzionamento del bene collettivo, imponendo, con le forme organizzative e di lotta decise congiuntamente e orizzontalmente, alle amministrazioni statali centrali e locali, a dirottare le risorse collettive in tal senso.
Oltretutto che dello Stato e dei suoi organismi territoriali non ci si debba fidare, lo sperimentiamo anche oggi, quando il Governo ha messo in cantiere una nuova legge che prevede che lo Stato non debba più risarcire i cittadini che subiscono danni in seguito a catastrofi naturali, costringendo inoltre i proprietari di case ad onerosi contratti con le compagnie assicurative.
È chiaro che questa legge, oltre a privarci per l'ennesima volta del diritto di decidere noi delle forme di solidarietà, se fosse approvata, danneggerebbe specialmente le classi meno abbienti, come ad esempio tutti quei lavoratori e lavoratrici che, in caso di sisma, si vedrebbero distrutta la loro unica abitazione pagata a suon di sacrifici. Lo Stato con l'IMU, le Compagnie Assicurative a lucrare sui disastri naturali e le Banche a ingrassarsi con i mutui. Niente male come trittico di avvoltoi posato sul cortile delle case dei lavoratori.
Zat
Geologo del Laboratorio Ambientale di Forte Prenestino, Roma.Marzo 2012