Seveso - 30 anni dopo

 

10 luglio 1976 ore 12.37

Una fitta nube rossiccia si alza dalle condotte di scarico a cielo aperto dell'ICMESA, al confine tra due comuni lombardi, Seveso e Meda. Per un guasto all'impianto di raffreddamento escono diversi kilogrammi di diossina nebulizzata. Non si sa di preciso la quanti, di sicuro abbastanza per causare danni irreversibili alla zona e agli abitanti. Dopo i primi giorni di minimizzazione, il disastro appare in tutta la sua imponenza: vengono evacuate 100.000 persone, molte delle quali non rientreranno mai più nelle loro case, 80.000 animali morti e/o abbattuti, un numero imprecisato di bambini sfigurati, aborti spontanei e malformazioni.

Nessun morto nella fase acuta, ma dati epidemiologici contrastanti e accusati di essere pesantemente sottostimati.

Il processo penale si conclude nell'83 con la condanna di due dirigenti dell'Icmesa per disastro e lesioni colpose, la Roche ha pagato con 200 miliardi di vecchie lire, in gran parte utilizzati per le bonifiche del territorio, cominciate nel '79 e terminate nell'84, che hanno riguardato soltanto le aree più contaminate. Ma basta un parco della memoria a compensare un territorio devastato, migliaia di persone contaminate, il disprezzo sistematico della salute pubblica rispetto alle esigenze delle attività produttive, le attività di tutela e monitoraggio epidemiologico piegate agli interessi delle multinazionali?

Ancora dopo 30 anni, in molti mettono in dubbio gli effettivi cicli di produzione della fabbrica, si parla di agenti chimici destinati, via Svizzera, a comporre il famigerato Agent Orange usato già dei tempi del Vietnam e poi fino a Panama.

Sia come sia, i lavoratori e le lavoratrici di Seveso, e non solo loro hanno pagato il prezzo del profitto e dell'arroganza delle multinazionali, prezzo che tutti noi continuiamo a pagare, piegati alle esigenze del capitale e dello sfruttamento senza regole né misure, in barba a qualsiasi principio di precauzione e di rischio.

E la monetarizzazione del danno ambientale, che limita al ripristino dei luoghi e a un mero risarcimento economico, così come è previsto dal nuovo codice ambientale prevede l'accentramento della facoltà risarcitoria solo nelle mani dello Stato, riservando un ruolo del tutto marginale agli enti locali, più vicini al territorio, e impedendone di fatto l'esercizio a comitati e associazioni locali.

La salute e i beni collettivi come l'ambiente, in assenza di una gestione partecipata e collettiva e di un quadro di sviluppo condiviso, restano preda degli interessi di pochi, che grazie alla commistione tra poteri forti se ne appropriano e ne abusano, condizionano e delegittimano gli studi epidemiologici, impediscono una corretta stima dei rischi e dei danni, socializzando solo le perdite e i disastri.

A Seveso, in quegli anni, non mancò un'attenta e partecipata partecipazione popolare che vide ambientalisti ante litteram, sindacalisti, femministe difendere quelle popolazioni e quel territorio, sia pure in un impari rapporto di forze.

Occorre ricordare quelle lotte, quei drammi, quelle vittime.

E lavorare non solo per ricordarle, ma anche per difenderci oggi dagli stessi rischi e dagli stessi poteri.

Federazione dei Comunisti Anarchici
10 luglio 2006