Contrastare l'impoverimento delle classi lavoratrici, arginare il razzismo, sviluppare la democrazia diretta nel territorio
per restituire rappresentanza dal basso alle rivendicazioni popolari e liberarsi della paura
E' passato un anno dall'inizio della crisi economica e la situazione in Italia non fa che peggiorare: crolla la produzione industriale (-22%), crolla la produzione dei beni di consumo (-10,4% su aprile 2009), non si aprono le borse del credito nemmeno dopo i regali di Tremonti alle banche, aumentano solo dello 0,6% i salari, mentre dalla cassa integrazione che non basta più si vorrebbe passare all'indennità di disoccupazione insieme ai licenziamenti, si diffonde la precarietà occupazionale e sociale (si stima in 1 milione i posti di lavoro persi entro il 2010, di cui il 22% di lavoratori parasubordinati).
La crisi mostra ora tutta la sua durezza nell'economia reale e le previsioni della Banca Mondiale danno una decrescita infelice della ricchezza mondiale del -2,9%. Quei titoli finanziari ormai tristemente famosi come gli ambigui ABS (asset-backed securities) ed i supertossici CDO (Collateral Debt Obligations) sono ancora in circolazione dato che persino la virtuosa Unione Europea per tutto il 2008 li ha usati per fare ben 1737,5 miliardi di euro di cartolarizzazioni, quella sorta di magia nera che trasforma un debito in un investimento e te lo vende. In queste operazioni le banche italiane si sono piazzate al... primo posto.
E il G7 della scorsa primavera non ha fatto altro che concedere alle banche di emettere o di aggiungere nuovi titoli per rafforzare la liquidità e la provvista; si è intervenuto come governi per rafforzare la base di capitale delle istituzioni finanziarie e per pulire i bilanci dai titoli spazzatura. Nulla invece sul versante del sostegno ai salari ed all'occupazione. Le classi lavoratrici continuano ad indebitarsi per poter sopravvivere. E' bene dunque non farsi illusioni sul G8 di luglio.
Dopo un anno di crisi profonda, restano in piedi le stesse politiche che hanno causato la crisi economica e la recessione in corso e si cerca anzi di inasprirle.
Il capitalismo italiano e Confindustria in testa chiedono soldi da usare nella delocalizzazione della produzione e nell'acquisto di aziende all'estero con ripercussioni sull'occupazione in Italia, puntano alla distruzione del sistema pensionistico pubblico, chiede la detassazione gli utili, vuole mano libera sulla forza-lavoro: tende a scomparire il contratto nazionale di categoria per privilegiare il salario legato alla produttività aziendale; nelle aziende si risparmia sulle misure di sicurezza e di prevenzione, causando continui incidenti mortali ed infortuni sui posti di lavoro, ma si investe su titoli speculativi; aumenta la manodopera (in grandissima parte lavoratori immigrati) da utilizzare in settori a basso salario ed alti profitti.
Il governo di destra elude qualsiasi sostegno ai redditi, non vuole trovare i soldi per i lavoratori e infatti non interviene sull'enorme evasione fiscale e contributiva, anzi predispone un DPEF con detassazioni per gli utili di impresa. Uscito sostanzialmente legittimato come compagine dalla tornata elettorale europea ed amministrativa, il governo avverte che non vi sono più territori blindati per la penetrazione di PDL e Lega e quindi punta a radicare nel paese, comune per comune, provincia per provincia, politiche razziste di discriminazione e segregazione verso gli immigrati; politiche autoritarie che militarizzano il territorio e lo sottraggono alla gestione diretta di chi ci abita come nel caso del terremoto in Abruzzo; politiche di distruzione della sfera pubblica e sociale, dalla scuola ai trasporti, dalla sanità alla previdenza, mentre trova 1 miliardo di euro per le spese militari, e si appresta a regalare miliardi a fondo perduto ai signori dell'energia nucleare. Il PD riesce a dare battaglia solo se rincorre il governo su questa strada, perché non ha un progetto politico alternativo e là dove vince o perde sul filo di lana lo fa allontanandosi e modificando quella identità e quei valori etico-politici che sembravano non sradicabili da quei territori e da quel popolo che votavano a sinistra fin dal secondo dopoguerra. Regala all'IDV il monopolio della cultura della questione morale e cede alla Lega il monopolio della cultura popolare. La cosiddetta sinistra radicale, incapace di ricomporsi, paga ancora una volta con la sconfitta elettorale la sua scomparsa dalla conflittualità nei territori prima ancora che dalle aule delle istituzioni. Quello che è rimasto del progetto comunista ormai non passa più per la competizione elettorale ma non trova ambiti e spazi di espressione e di lotta.
E così, mentre l'inasprirsi della crisi economica lacera il tessuto sociale, da destra se ne approfitta per puntare allo sfilacciamento di qualsiasi forma di solidarietà, di lotta, di organizzazione, alla disarticolazione di ogni reticolarità dal basso, che possa opporsi alla normalizzazione in atto e mettere in discussione le compatibilità capitalistiche. La stessa direttiva Maroni sottrae le città alle manifestazioni di opposizione e le consegna alla discrezionalità di prefetti e questori, riducendo ulteriormente qualunque agibilità politica come dimostrato dalle recenti mobilitazioni. Si alzano impalpabili muri di paura e di insicurezza che dividono le persone e le rinchiudono nella miseria di una vita impoverita di relazioni sociali e di compagni di lotta, nello stesso caseggiato, nello stesso quartiere, nella stessa città.
Occorre quindi raccogliere la sfida proprio sul territorio, a partire dalla prioritaria lotta al razzismo e alla frammentazione della società in entità divise per nazionalità, lingua, etnia, religione, costruendo reti e organismi di base interculturali ed interetnici.
Occorre sul territorio costruire dal basso un movimento contro la precarietà, che attraversi tutti i settori lavorativi, che si ponga come soggetto conflittuale e rivendicativo per ottenere il mantenimento dei posti di lavoro e le tutele sociali legate ai diritti fondamentali di vita e di cittadinanza, per sconfiggere la solitudine dei lavoratori espulsi dai posti di lavoro, per ricucire interessi collettivi e condivisi di fronte all'offensiva della crisi capitalistica.
Il movimento dei lavoratori ha bisogno di ritrovare nei luoghi di lavoro la propria auto-organizzazione, la propria espressione di conflittualità come a Termini Imerese, a Pomigliano d'Arco, all' INSSE e Fincantieri di fronte ai processi di desertificazione del lavoro nel territorio ed in questo ha bisogno di una grande solidarietà e di una mobilitazione tanto più ampia a fronte della stessa ampiezza della crisi economica; ha bisogno del pieno sostegno dei settori conflittuali della CGIL e del sindacalismo di base per difendere il lavoro ed ampliare il ricorso alla cassa integrazione, per rivendicare ed organizzare la difesa dei diritti dei lavoratori sempre, dentro e fuori le aziende.
Si impone quindi una necessaria azione di tessitura e di coordinazione fra tutte le realtà di base che costituiscono nel territorio una speranza di opposizione sociale al dilagare della destra e degli effetti devastanti della crisi. Dalle manifestazioni contro il G8, dalla mobilitazione di Vicenza e l'Aquila giunge il segnale che per rilanciare la democrazia di base e dal basso, e la democrazia diretta occorre ritornare nei quartieri per creare spazi collettivi di base, autogestiti e di decisionalità, dove radicare la lotta anticapitalista e costruire l'alternativa libertaria, per non consegnare le nostre coscienze ed il nostro futuro alla barbarie del capitalismo e dello Stato.
Consiglio dei Delegati
Federazione dei Comunisti Anarchici
Cremona, 5 luglio 2009