LA VITTORIA DEL PENSIERO UNICO
Le posizioni critiche sono considerate un inutile disturbo per la coerenza del messaggio del capitalismo neoliberista
Da allora, in gergo economico, la parola economicismo è diventata sinonimo di una strategia distorta del movimento operaio. Vinto e disarmato l'esercito rosso, fallita l'alternativa rappresentata dai Paesi del socialismo reale, il termine economicismo torna ad assumere il suo significato originario: cioè la progressiva egemonia della logica economica sulla politica e le sue finalità sociali.
A volte utilizziamo espressioni come "neo-liberismo" o "capitalismo selvaggio" per nascondere l'applicazione di una logica economicista a qualsiasi progetto di carattere sociale. Negli ultimi anni, soprattutto negli ultimi venti, abbiamo assistito ad una perdita evidente di autonomia del potere politico e a un ridimensionamento delle finalità sociali delle politiche economiche, in favore di quello che è stato appunto definito capitalismo selvaggio o neo-liberismo. In altre parole dell'economicismo inteso come un discorso di carattere determinista che gira attorno alle inevitabili e irrefutabili regole economiche. La prima definizione che caratterizzò il liberismo storico ("laissez faire, laissez passer") sembra aver raggiunto, in questi anni, la sua pienezza storica e la sua massima potenzialità: come se la consegna fosse "oggi e per sempre" e superasse persino le frustrate intenzioni del padre fondatore dell'ideologia, Adam Smith. Il quale, in realtà, chiedeva un'economia orientata verso il benessere sociale con un carattere chiaramente umanista.
Questa interpretazione si è convertita in un pensiero egemonico, in un discorso privilegiato onnipresente e onnisciente. Possiamo definirlo pensiero unico, discorso unico, o quanto meno egemonico, in quanto è ciò che si verifica nella maggior parte dei messaggi che arrivano alla società, siano essi di carattere informativo o culturale. E ha conquistato i mezzi d'informazione, dell'ideologia e della cultura. Nella misura in cui ha conquistato la cultura, il pensiero unico è riuscito a falsificare il senso di "patrimonio" e ad alienare la coscienza di quello che sarebbe necessario sapere. Se intendiamo la cultura come "patrimonio", quello che abbiamo appreso attraverso la storia, l'accumulazione del sapere frutto dell'esperienza umana -che si è sempre confrontata dialetticamente con la natura- allora dobbiamo anche intendere la cultura come coscienza di ciò che esiste e della relazione che manteniamo con esso. E come possibilità di cambiare l'esistente.
Quando un incubo culturale arriva ad essere totalitario e si affranca sia da una equilibrata interpretazione del patrimonio del passato, sia da una possibile proiezione nel futuro, si trasforma in una proposta di sapere unico che finisce per ipotecare la conoscenza del passato e prelude completamente la conoscenza del futuro. Il liberismo accecante si morde la coda e rischia di convertirsi in una perversione assolutistica. Viene presentato come una pulsione innata dell'essere umano, come un riflesso e un'espressione di ciò che è naturale e non si può reprimere, una sorta di darwinismo predatore che reinstaura la legge del più forte, dopo secoli di creazione di valori culturali umanistici finalizzati a proteggere la specie umana e soprattutto la fragilità dei beni della Terra.
Le sofferenze sociali generate dalla prima rivoluzione industriale sono state la causa di tutte le barbarie del XX secolo, sia sotto forma di guerre e lotte sociali sia di guerre di divisione di carattere economico e politico. La disuguaglianza, le relazioni di dominio e gli sviluppi diseguali dei popoli hanno fatto sì che questo secolo possa essere considerato il peggiore in una immaginaria "Storia della crudeltà".
Ora ci troviamo in mezzo a una fase avanzata della rivoluzione scientifico-tecnica e vi sono evidenze sufficienti per credere che genererà nuove sofferenze sociali, se non si indirizzerà nella prospettiva di una maggiore razionalità. Il principale strumento ideologico del capitalismo selvaggio o neoliberismo, è la distruzione della capacità di resistenza umanistica e politica di fronte alla logica interna delle ragioni economiche. Ma anche il discredito delle possibili correzioni che, in ambito politico e sociale, si potrebbero fare a qualsiasi politica economica, al fine di favorire soprattutto valori umani.
Dinanzi alla forza e alla complessità dell'offensiva del capitalismo, e dietro alla crisi del socialismo reale, è evidente la difficoltà di un'azione culturale e di soluzioni alternative, soprattutto a causa dell'indifferenza dei mezzi di comunicazione, al servizio della strategia economicista. E dove non arriva la disinformazione, si fanno strada la repressione e l'autorepressione. Il potere mediatico è un potere falsamente pluralistico: in realtà offre differenti contenitori al servizio di un contenuto quasi identico; e ciò avviene nel ristretto margine di ciò che conosciamo come politicamente corretto, ideologicamente corretto, sessualmente corretto e persino dieteticamente corretto.
Quest'impostazione è diretta a un ipotetico referente sociale: il Grande Consumatore. Ovvero il soggetto che legittima la bontà dei messaggi e delle proposte e in nome del quale si promuovono tutte le offerte del mercato, siano esse una bibita, una birra o una proposta politica. E' scomparsa una qualsiasi volontà pedagogica del potere mediatico capace di difendere una gerarchia di valori che si adattino alle necessità reali del giorno d'oggi. Il motivo è semplice: la volontà pedagogica non viene considerata una merce appetibile per il mercato.
D'altra parte, un discredito diffuso colpisce tutte le alternative che anni fa guardavano a un modo di produzione differente. Per molte ragioni l'alternativa ha meritato questo discredito, in quanto abbarbicata al cattivo esempio del socialismo reale. E non dimentichiamo la massima di Lewis Carrol sulle parole e i suoi padroni. Inoltre, si è prodotto un fatto ancora più radicale e preoccupante: il discredito generalizzato delle posizioni critiche, considerate come inutile disturbo all'interno della coerenza del messaggio del sistema. La teoria della comunicazione prevede che il canale sia il mezzo attraverso il quale funziona la logica del sistema del messaggio tra polo emittente e polo ricevente; tutto ciò che si interpone al messaggio è un disturbo.
La mera azione critica e la semplice distanza critica, rispetto a ciò che è determinato e inevitabile, si converte in qualcosa di screditato. In buona parte il discredito più banale consiste nell'affermare che tutta la critica è nostalgia del passato. Si tratta di eliminare qualsiasi disturbo che possa interferire con il canale privilegiato e dominante. Il messianismo neoliberale, che si presenta come un unico messaggio, sembra quindi un nuovo assolutismo che discredita altri messianismi, ma non rinuncia a presentarsi come un nuovo messianismo: promette un paradiso terrestre per coloro che perseguono l'individualismo a condizione di sottomettere la persona alla ragione economicista. E se vi sono insubordinazioni non controllabili dai mezzi d'informazione istituzionali, allora verranno usati mezzi repressivi, facendo ricorso alla polizia e alle carceri. Queste ultime, peraltro, ormai tutte privatizzate. In attesa che il business della repressione venga quotato in Borsa.
Quindi non ci sarà più spazio per la critica? Sì, forse in qualche parco di divertimenti della Walt Disney corporation. E neppure un posto per la speranza? Forse Disneyland.
Manuel Vàzquez Montalbàn
(pubblicato su IL SOLE 24 0RE del 31 dicembre 1999)