Un tempo si sarebbe chiamato fascismo
Un tempo si sarebbe chiamato fascismo.
Non quello che comunemente viene ricordato come l'artefice della guerra mondiale e delle imprese coloniali, e neanche quello quello folcloristico e ormai quasi estetizzato da sessanta anni di marketing neoliberale, ma quello che viene analizzato secondo un sano e mai superato metodo materialista.
In anni non sospetti diversi autori hanno avuto un approccio corretto al fenomeno, da punti di vista diversi ma con la stessa onestà intellettuale, ad esempio Karl Polanyi, che non ha esitato a riconoscere nella crisi economica (e del debito) dovuta agli sforzi bellici dell'imperialismo statuale, la risposta autoritaria del capitale sulle rivendicazioni di giustizia sociale del proletariato, capitale che nella sua forma liberale ha condotto la classe media ad un sostegno aperto e incondizionato al fascismo.
Anche un altro autore troppo a lungo dimenticato, Daniel Guérin, nella sua indimenticabile opera "Fascismo e gran capitale" ha evidenziato le ragioni economiche, ma anche culturali e politiche, della trasformazione autoritaria, mettendo in evidenza i finanziamenti, e le politiche antioperaie del grande capitale, che per affermarsi non esitò a rinunciare alle proprie forme liberali portando molti paesi d'Europa, e non solo a riaffermare le catene di comando a scapito dei ceti subalterni, distruggendo le organizzazioni operaie, e piegando con la violenza coloro che rifiutavano la sottomissione al potere dello Stato fascista a servizio del grande capitale. Cioè il fascismo per garantire l'interrotto flusso dell'accumulazione capitalistica.
Oggi sembra difficile cogliere analogie dirette con il passato. Per intenderci Mario Monti non ci farà mettere il "fez" e quasi sicuramente non dovremo essere costretti agli esercizi ginnici il sabato pomeriggio, non siamo ancora in presenza di forme di squadrismo organizzato come negli anni venti.
Ma qualcosa non quadra comunque...
Intanto gli ingredienti: ristrutturazione del capitale mondiale e conseguente crisi sociale, la forza di espressioni politiche facilmente riconducibili alla destra maggioritarie nel paese, la paura e incomprensione delle dinamiche della crisi sociale, il grande dispendio dei media borghesi a fomentare qualunquismo e a rendere indecifrabile la realtà ai più, un passaggio epocale che l'ideologia del dominio falsifica nel suo oscuro dispiegarsi.
Il tutto rivolto a comprimere diritti civili ed economici dei ceti subalterni riaffermando il mandato coercitivo dello Stato a garanzia del comando delle elite economiche. Con il passaggio obbligato che diventa quindi la scomparsa delle forme democratiche, solidaristiche, o che comunque possano sviluppare critica radicale e antagonismo sociale. Il comando del capitale viene assunto come indispensabile timoniere in questa tumultuose acque.
E anche i fatti accaduti nell'ultima settimana pongono alcuni quesiti allarmanti, a partire dal pogrom anti-Rom di Torino, dove decine di fascisti hanno incendiato un campo di Rom a seguito di un fatto falso, la denuncia di uno stupro mai avvenuto denunciato da una giovane torinese. Fortissima la valenza simbolica oltre che oggettiva del fatto, la deficienza culturale incapace di uscire da modelli arcaici ma che affonda nella mancanza di prospettiva e nell'impossibilità di riconoscere il potere economico come fondante di un ordine psicologico ancor prima che politico, dove le proprie frustrazioni esistenziali vengono scaricate sull'anello debole della società. Mentre nelle nostre città decine di sgomberi continuano ad avvenire nel silenzio più assordante, pogrom legalizzati portati avanti con discrezione e carte bollate.
Analogo è il caso di ieri, la strage di Firenze, dove un militante organico a CasaPound, quelli del fascismo del terzo millennio, da decenni foraggiati da potenti economici e politici italiani, ha sparato contro un gruppo di lavoratori senegalesi, uccidendo Samb Modou e Diop Mor, e riuscendo a ferire gravemente Moustapha Dieng, Sougou Mor e Mbenghe Cheike: facile attribuire l'atto al disagio psicologico, così come il conseguente suicidio, visto che da anni le formazioni di estrema destra propagandano odio razziale a piene mani, e soprattutto propongono una uscita dalla crisi in una improbabile riscossa nazionale che esclude dal processo milioni di immigrati, oltre ai vari deliri filosofici che spaziano dal fascismo al nazismo, e lavorando alla creazione del mito antisistemico tanto caro all'individualismo neoliberale. Nel frattempo una legislazione razzista ributta nella clandestinità, complice la crisi, migliaia di lavoratori di origine straniera, costringendoli al rimpatrio o all'illegalità forzati, privandoli di diritti e dignità.
Anche il petardo inviato all'agenzia Equitalia di Roma lascia pensare a qualcosa di anomalo, sicuramente il riferimento alle banche vessatrici e a tutti coloro che vengono investiti dalla riscossione crediti di questa agenzia, che è ormai salita alle cronache ed è nel senso comune una delle cause di rovina del popolo hanno diverse ragione, ma il linguaggio della rivendicazione, populistica e qualunquista potrebbe appartenere a qualsiasi gruppetto della destra neofascista. L'identificare nelle banche l'unico nemico di classe, attribuendo alle banche e alla finanza il ruolo di unici colpevoli della crisi, sottacendo ogni ragionamento sulla giustizia sociale e sulle reali dinamiche di classe capitalistiche, il vedere nel ritorno a una sovranità nazionale e monetaria la via di uscita è una facile scorciatoia populista utile a incanalare disagio sociale e economico verso soluzioni autoritarie e nazionalistiche, insomma di destra.
Nel frattempo Marchionne ha invece inaugurato il nuovo modello produttivo di riferimento che sarà presto esteso a tutti, fuori i sindacati combattivi dalle fabbriche, unico riconoscimento a quei sindacati e a quei lavoratori che accetteranno lo sfruttamento intensivo senza fiatare, divieto di rappresentanza sindacale a chi non è colluso con la proprietà, di fatto un ritorno alla clandestinità dei compagni in fabbrica. Anche questo non è forse la più grande dimostrazione del fascismo moderno e del nostro tempo?
Come evitare di riconoscere in questo scenario la deriva autoritaria a cui tutti stiamo andando incontro?
Oggi come allora, l'opposizione al fascismo passa attraverso la resistenza e il rafforzamento delle reti di opposizione, di lotta sociale e di solidarietà, ma anche attraverso la capacità di riconoscere i segni del vecchio che avanza e che vorrebbe rigettarci verso la barbarie di un mondo di sopraffazione e lotta individuale e gerarchica per la sopravvivenza.
Segreteria Nazionale
Federazione dei Comunisti Anarchici
14 dicembre 2011