1977 - "...dopo Bologna"
La Rivoluzione non nasce dal Partito, ma da proletariato autogestito
Nei primi anni '60 avveniva qualcosa di molto importante. Una stagione contrattuale con una forte lotta salariale apriva un capitolo nuovo per la sinistra italiana: un capitolo non ancora chiuso.
Non c'era niente di particolarmente eccezionale. La classe operaia italiana, per quanto rincoglionita e bastonata dal 2° dopoguerra e dal Togliatti "ricostruttore", aveva reagito ribellandosi ad un boom economico di cui la borghesia si arraffava quasi tutti i frutti.
La borghesia si accorgeva di aver costruito senza tener conto della ribellione operaia.
Era stato chiesto più salario: era stato chiesto in maniera compatta e decisa. Ma il salario basso e lo sfruttamento fisico dell'operaio erano due dei pilastri principali del castello economico della borghesia italiana.
E possiamo già dire una cosa: nessuna avanguardia aveva lavorato in modo tale da essere la promotrice di questo primo risveglio operaio (dal 2° dopoguerra). I lavoratori si erano mossi logicamente chiedendo una fetta del nuovo salario, e l'iniziativa era stata nelle loro mani.
Possiamo dire che da questo momento è veramente iniziata una fase storica particolare contrassegnata da alcuni fatti principali:
a) La classe operaia riprende a muoversi, minacciando da posizioni di lotta il boom della "ricostruzione" capitalistica iniziata nel 2° dopoguerra; questo semplice muoversi della classe operaia potrà seguire due strade: quella della politicizzazione rivoluzionaria, oppure quella della sconfitta con la perdita di qualsiasi spazio autonomo e di classe.
b) Il PCI ed il sindacato cosiddetto di classe - la CGIL (controllato a sua volta dal PCI) - hanno in mano la patata bollente: continuare sulla nuova strada della classe operaia che diventa classe nazionale e ricostruisce, con il suo lavoro, l'economia capitalistica, oppure gettarsi sul problema della rivoluzione proletaria (strada ormai abbandonata)? La risposta ci sembra fin troppo semplice, ma allora non lo era come lo è oggi.
c) Una nascente sinistra rivoluzionaria che "sentiva" che in Italia c'erano larghi strati di lavoratori che non meritavano più l'ormai imborghesito PCI. Ecco, la cosa più certa per questi compagni era quasi sicuramente il sapere che mancava una sinistra veramente tale - cioè rivoluzionaria - dato che gli avvenimenti continuavano a richiederla.
d) Una borghesia quasi ubriaca del boom economico, che cominciava a rendersi conto di dover integrare meglio i lavoratori nella sua società, sia economicamente sia politicamente.
Nel '64-'65 circa nasce il centro-sinistra.
La borghesia comincia a provarci con la famosa integrazione.
Il PCI è ancora all'opposizione: non ha ancora maturato la sua strategia di potere.
C'è chi parla di rifiuto radicale della società capitalistica, lo legge nelle nuove lotte operaie, lo legge nei libri dei teorici: sta maturando la sinistra rivoluzionaria italiana, o meglio, alcuni intellettuali si stanno ponendo questo problema.
Le lotte operaie del '68-'69 e le lotte studentesche dello stesso periodo metteranno i punti sulle i.
Di queste lotte ne sappiamo a iosa.
Della grande spinta operaia all'organizzazione autonoma della lotta, dell'espressione di contenuti di negazione - e non di riforma - del lavoro capitalistico.
Dalle lotte studentesche vengono gran parte di noi: dalla lotta all'autorità, al sapere capitalistico, dalla ricerca del legame con il proletariato come classe base della rivoluzione.
La storia va avanti.
a) La classe operaia è veramente viva e per integrarla ci vuole ben altro che un aborto di centro-sinistra; ormai non si tratta più di un fatto squisitamente sindacale, ma le lotte hanno un forte accento politico, un accento rivoluzionario e libertario.
b) Il PCI e la CGIL cavalcano la tigre. Il partito parla di rinnovamento radicale della società italiana senza però parlare di lotta rivoluzionaria: cerca di tenersi stretta la forza operaia per poi usarla come arma nella sua strada al potere. Il sindacato ingabbia e castra più che può le forme ed i contenuti delle lotte che sono tutti o quasi fuori dalla strategia comunista: l'ordine è impedire che queste lotte si sviluppino per come sono nate, cioè in senso rivoluzionario.
c) La sinistra rivoluzionaria trova nuove certezze e nuovi spazi. Entrambe le cose sono sufficienti a far nascere e/o sviluppare vere e proprie organizzazioni politiche che si dichiarano rivoluzionarie, richiamandosi alle nuove lotte operaie e studentesche ed alla lotta rivoluzionaria nel capitalismo maturo.
d) La borghesia fa guerra a dei germi molto pericolosi. Usa il terrorismo e la mistificazione dei grandi mezzi di comunicazione. Ha buon gioco. Ed il PCI? Un colpo al cerchio ed uno alla botte, ma a ben vedere, il PCI dichiara guerra solo ai rivoluzionari: è in gioco la sua stessa strategia di potere.
Ormai gli schieramenti sono delineati, le parti in campo dichiarano il loro scopo o almeno lo lasciano intendere molto chiaramente. La borghesia difende il suo potere con le unghie e con i denti; il PCI difende e costruisce la sua strada al potere. La classe lavoratrice non regge l'attacco politico, economico e repressivo perché non ha le armi adatte a farlo.
E la sinistra rivoluzionaria? Il suo scopo dichiarato era quello di costituire e consolidare queste armi alla luce delle lotte operaie stesse.
A questo punto è bene fermarci e chiederci quali - o almeno di quale tipo - dovevano essere queste armi.
Cerchiamo di costruire la chiave che poi dovrà servirci a capire il perché delle cose successe dopo questo periodo ed a indicare la strada da seguire per evitare gli errori enormi commessi fino ad oggi dai rivoluzionari.
Abbiamo a disposizione una serie di elementi.
Nel metodo di quelle lotte:
gli operai avevano individuato autonomamente le armi principali del
padrone in fabbrica (la divisione, la gerarchia, ecc.), avevano concepito le
lotte per combatterle sia nei contenuti (egualitarismo, lotta ai capi ed alle
forme di delega del potere), sia nelle forme (sabotaggio della produzione, in
base ai modi specifici di quella produzione, decisioni assembleari, costruzione
di organismi di base legati orizzontalmente fra loro).
Nei contenuti delle lotte:
non esistevano pregiudiziali di riformare il capitale senza abbatterlo;
le acquisizioni politiche derivate dalle lotte venivano spesso generalizzate a
tutto il sistema sociale basato sullo sfruttamento, e non c'era paura nel vedere
lo sfruttamento e la delega del potere come armi fondamentali del capitale, come
pilastri da distruggere.
Tutte queste cose non esistevano all'interno del PCI come non esistevano nella pratica dei sindacati.
D'altra parte queste organizzazioni potevano contrapporre alla "ingenuità" storica della classe operaia e degli studenti di nuovo in lotta dopo tanti anni, una grande astuzia politica e potenti apparati organizzativi.
Questo è il punto: chi lottava (gli operai) aveva avuto l'intelligenza di capire il nemico ed iniziare a combatterlo con modi ed obiettivi efficaci ed autonomo dal suo controllo. Ma questo non è bastato. Serviva uno spazio nuovo - politico e sindacale - in cui queste intuizioni trovassero modo di organizzarsi e diventare sempre più organica e completa.
La strada cioè era già stata indicata dalla classe operaia; servivano organizzazioni politiche che si ponessero dentro la classe e non al posto della classe o alla sua guida, che fossero validi interlocutori dei lavoratori in lotta per fornire loro strumenti di chiarezza politica e non per guidarli con quel rapporto di delega di potere ormai chiaramente rifiutato; servivano nuove ipotesi di organismi sindacali di massa in cui i nuovi organismi di base già creati dai lavoratori trovassero modo di unirsi permanentemente e secondo le loro forme di azione, organismi sindacali che fossero l'espressione dei lavoratori e non l'arma in mano al partito.
Riproporre il partito guida ed il sindacato come sua cinghia di trasmissione voleva dire andare contro le stesse espressioni e volontà della classe operaia.
Ma torniamo alla storia, e chiediamoci: la sinistra rivoluzionaria ha risposto a queste necessità?
Indubbiamente no.
Oggi che conosciamo tutti la storia della sinistra rivoluzionaria dal '70 fin quasi ai nostri giorni, possiamo vedere chiaramente quale è stato l'errore: riproporre, più o meno consapevolmente, delle organizzazioni politiche di avanguardia con la prospettiva di diventare le rappresentanze politiche del proletariato, la sua intelligenza, le sue guide.
Ma, anche se con lo stesso tipo di errore, questo rammento ha assunto diversi aspetti.
Vediamo l'area rigida dei marxisti-leninisti che, non riuscendo a legare con le reali necessità del proletariato, si è rinchiusa in un lacerante dibattito interno, come se ci si stesse disputando una guida sulla classe che nella realtà non c'è mai stata.
Vediamo il fallimento del Manifesto, tanto vicino alle teorie del PCI da arrivare quasi a rientrarne.
Vediamo l'esperienza di Avanguardia Operaia, che è partita su certe basi (discorso sui CUB, comitati unitari di base, ecc) e, col passare del tempo, sicuramente per no aver saputo rinunciare all'ipotesi del partito leninista s'è spostata sempre più pesantemente su posizioni di partito dirigente con una raccolta di consensi anche dal terreno elettorale della delega del potere, con l'abbandono della ricerca di un nuovo organismo sindacale di massa e la scalata alle stanze dei bottoni della CGIL.
Vediamo Lotta Continua che, quando si è avviata ad esprimere con più chiarezza le su posizioni di partito comunista, ha subito una pesantissima crisi organizzativa e politica.
Lotta Continua non ha ancora dimostrato di avere (o di voler avere) le idee chiare sul ruolo degli organismi sindacali di massa e sui loro rapporti con le organizzazioni politiche.
Vediamo l'esperienza di Potere Operaio, che pure avendo una linea politica rigidamente d'avanguardia, proponeva parole d'ordine all'apparenza avanzatissime. Ma certo, quello che conta non sono le parole d'ordine in sé, ma il rapporto fra l'organizzazione politica ed il proletariato, il quale è stufo di guide anche se spesso non vede come uscire da questa situazione.
Vediamo infine l'esperienza brigatista, che si è risolta ad essere quello che è stata fin dalla nascita: una lotta di avanguardia teorizzata e fatta da una ennesima organizzazione candidata a dirigere il proletariato.
E siamo arrivati alla crisi della sinistra rivoluzionaria dei giorni d'oggi.
La quasi totalità dei proletari è nell'area del PCI, non avendo trovato niente di politicamente serio nell'area della sinistra rivoluzionaria.
Molti giovani compagni - soprattutto giovani che stanno vivendo drammaticamente l'emarginazione non solo lavorativa dall'attuale società italiana - hanno molta sfiducia in quelle organizzazioni politiche che avrebbero dovuto almeno innescare il processo rivoluzionario.
Reagendo all'autoritarismo, alle strutture dirigenti, si parla, si dibatte, si afferma il concetto dell'autonomia.
I compagni rivoluzionari non possono più permettersi la superficialità. Ormai bisogna saper leggere nei fatti, per arrivare alla sostanza del problema.
E diciamo subito due cose:
1) La crisi della sinistra rivoluzionaria ha basi profonde e strutturali nel periodo e nei fatti degli anni '60. I termini fondamentali del problema - il bisogno di un certo tipo di organizzazione politica e di un certo tipo di organizzazione sindacale di massa - sono rimasti gli stessi. La crisi sta a dimostrare la loro mancata soluzione.
2) Si tratta di una crisi rispetto al proletariato.
La crisi del partito-guida e del sindacato di vertice è avvenuta principalmente ad opera dei lavoratori nelle lotte degli anni '60. I rivoluzionari non sono stati capaci di risolvere questa situazione rispetto al proletariato e, a tutt'oggi, è deviante per la sinistra rivoluzionaria dimenticare questo problema di fondo e tentare di risolvere la propria crisi rivolgendosi ai sintomi invece che alle cause.
Ormai, avvenuto il distacco tra proletariato e organizzazioni della sinistra rivoluzionaria, esplode il movimento. Già da un paio d'anni nell'aria c'era qualcosa: aumento della disoccupazione giovanile e del lavoro nero, entrata veloce del PCI nell'area di potere, fallimento delle organizzazioni rivoluzionarie, loro presunzione a volersi ancora porre come guide della rivoluzione..., molti giovani soprattutto ammassati nelle università (o appena usciti dalle scuole) e nelle città, maturano una violenta reazione.
La contestazione a Lama, Bologna, sono episodi in cui siamo stati quasi tutti coinvolti di persona.
Il movimento è formato da giovani quasi tutti alla ricerca di un lavoro. Viene espressa anche una piattaforma di lotta con dei punti indubbiamente più avanzati rispetto al movimento studentesco del '68. Si parla soprattutto della ricerca di un legame con il proletariato, si cercano di mettere in evidenza i punti di contatto nei bisogni materiali e ci si propone di svilupparli nelle lotte, si critica violentemente PCI e sindacato di vertice come pur la fallita sinistra rivoluzionaria, si riafferma la pratica della non delega. Questo l'inizio.
Il Convegno contro la repressione di Bologna ha messo in luce una realtà molto complessa, anche se la volontà è unitaria.
Questi episodi hanno messo più chiaramente in luce le ultime evoluzioni delle organizzazioni che si dichiarano rivoluzionarie, di cui possiamo schematizzare le ultime posizioni.
a) Il riformismo rivoluzionario.
Si teorizza ormai un gradualismo rivoluzionario interno alla economia ed alla politica borghesi. Il problema - giustissimo - di fuggire dall'estremismo delle parole e delle avanguardie staccate dal proletariato e di calare nella realtà il processo rivoluzionario viene risolto cercando di utilizzare le strutture politiche borghesi per il processo rivoluzionario. Si ricade nell'errore ponendosi come partito-potere della peggiore specie, cioè che si avvale del potere e del sistema di delega borghesi. I CUB sono scomparsi, si cercano spazi nella dirigenza sindacale.
b) Le avanguardie super-rivoluzionarie.
Questa è l'altra faccia della medaglia. Molti compagni e organizzazioni che sono partiti e partono dalla teoria dell'avanguardia-guida della classe, di fronte al fallimento degli anni '70 hanno fatto una fuga a sinistra. Si sono gettati su una pratica di scontro armato con la borghesia.
L'errore è quello di chiamare i proletari ad una pratica che dovrebbe essere conseguente ad una crescita di coscienza rivoluzionaria in effetti assente. Il risultato è l'isolamento proprio da quella classe che si vorrebbe guidare.
Riformismo rivoluzionario e avanguardismo super-rivoluzionario sono due facce della stessa medaglia, almeno per quanto riguarda i teorici ed i più convinti sostenitori di queste linee. Si tratta di chi si muove sulla strada del partito dirigente e sperimenta nella prassi politica le sue teorie sulla rivoluzione, senza porsi il problema di creare spazi per l'auto-organizzazione dei proletari, ma cercando di mobilitare le masse per acquisire potere. La convinzione di essere i giusti candidati per gestire il potere rivoluzionario fa il resto.
c) Il movimentismo confuso.
Alcuni compagni ed organizzazioni politiche hanno addirittura abbandonato i problemi di fondo del fallimento della sinistra rivoluzionaria e si sono gettati sul movimento, quasi che fosse il nuovo soggetto rivoluzionario per eccellenza. Questa nuova posizione rischia di creare molta e pericolosa confusione, perché tende a nascondere i reali problemi del rapporto con il proletariato; e può farlo sia creando nel movimento velleità di avanguardia-guida rispetto alla classe lavoratrice, sia sostituendo al concetto reale della classe rivoluzionaria come quella di tutti i lavoratori sfruttati, il concetto di classe rivoluzionaria come quella di chi è già rivoluzionario ed è sufficientemente sovversivo (lavoratore o no). Così si rischia di sostituire a coloro che vivono lo sfruttamento (l'unico soggetto rivoluzionario possibile), coloro che, vivendo o no lo sfruttamento, hanno già da ora la volontà rivoluzionaria. Si può arrivare a pericolose fratture fra la massa dei proletari ed i rivoluzionari, se si segue questa strada.
d) Il movimento di giovani compagni rivoluzionari.
Il peggior servizio che gli si possa fare è quello di farlo diventare a forza la soluzione definitiva a tutti gli enormi errori fatti finora dalla sinistra rivoluzionaria, rispetto al proletariato.
La cosa probabilmente più logica e corretta è che questa area di compagni ormai delusi dalla prassi delle attuali organizzazioni della sinistra rivoluzionaria, sviluppi al suo interno il dibattito sul fallimento delle organizzazioni rivoluzionarie risalendo alle origini del problema. Dobbiamo avere l'onestà ed il rigore per chiederci come mai nel movimento, nel 1977, ci ritroviamo a contestare il PCI ed il sindacato di vertice, con in più la prassi di vertice dei nuovi partitini (falliti o in via di fallire), quando nel '68 ampi strati operai hanno indicato nei fatti una strada da seguire.
Non possiamo non cercare di rivolgere all'unico possibile soggetto rivoluzionario la classe sfruttata, né possiamo sostituirla con falsi soggetti.
Non possiamo, come rivoluzionari, ripresentarci come nuovi dirigenti della rivoluzione, magari più arrabbiati, più furbi, più armati, più illegali.
Non possiamo credere che ogni sfruttato debba automaticamente diventare un rivoluzionario se non attraverso una serie di lotte svolte secondo la prassi libertaria, autonoma cioè dalle trappole di potere della borghesia.
Dobbiamo affrontare di petto e seriamente un continuo e graduale lavoro all'interno del proletariato avendo ben presenti i principali insegnamenti delle lotte proletarie degli anni '60 e della loro castrazione tuttora in atto, da parte di vecchi e nuovi dirigenti di partiti e sindacati.
a) La necessità che si creino e diventino stabili strutture di massa funzionali alle lotte proletarie ed al lori sviluppo.
b) La necessità che queste strutture siano autonome:
- dalle organizzazioni politiche, nel senso che non venga scambiato l'essere lavoratore sfruttato e tutte le esigenze di lotta pratica allo sfruttamento che ne derivano, con l'obbligo di essere già a priori un rivoluzionario o, peggio ancora, con l'obbligo di sottostare alle direttive di un qualsiasi partito che vuole sostituirsi alla coscienza proletaria di massa;
- dalla borghesia, nel senso che le rivendicazioni si reggano sulla forza delle organizzazioni sindacali di massa e non sulle leggi dell'economia e della politica economica borghesi: questo dev'essere il concetto di realizzabilità di una lotta.
c) La convinzione, ormai ampiamente dimostrata dai fatti, che il proletariato non cerca dirigenti della sua coscienza e della sua forza, non ha più fiducia nelle strade del potere delegato. La convinzione reale della validità delle forme organizzative che gli operai stessi si sono dati in un famoso autunno caldo del '68 e che l'idea di una struttura di lotta orizzontale, assembleare e autonoma dalla burocrazia e dai professori della rivoluzione, è stata degli operai.
d) La convinzione che la chiave per una linea rivoluzionaria oggi in Italia, sta nella costruzione di una organizzazione autonoma di lotta e di massa del proletariato, non cinghia di trasmissione del partito, ma espressione diretta della classe lavoratrice nella sua totalità.
Organizzazione Rivoluzionaria
Anarchica
Bari - ottobre 1977