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Disinformazione programmata

Pio Baldelli

 

Credo sia particolarmente significativo considerare l'evento della centrale di Chernobyl dal punto di vista dell'informazione. Qualche sera fa la prima rete della RAI aveva raccolto nel suoi studi un gruppo di esperti a discutere dell'esplosione della centrale nucleare. Il gruppo era "squilibrato". Di fronte allo schieramento compatto a favore delle centrali nucleari (Corbellino, direttore dell'ENEL; il fisico Amaldi, il Presidente dell'ENEA, il ministro Zamberletti e i suoi consiglieri), era stato convocato un antinucleare, il fisico Mattioli. Ad un certo punto della trasmissione il venerando Amaldi, preso in contropiede da certe osservazioni pertinenti di Mattioli, si mette ad urlare in maniera invereconda: "Sei un imbecille... siete tutti imbecilli e ignoranti voi antinucleari".

Una doppia disinformazione

Sull'insieme dell'evento opera una doppia disinformazione: quella sovietica e l'altra di parte statunitense. Le province informative dei due imperi s'incaricano di distribuire e di moltiplicare i frammenti di questa disinformazione. Al centro della disinformazione, da parte sovietica, sta una lunga consuetudine al segreto di stato e alla considerazione pratica che la conoscenza dei fatti compete ai vertici del potere, mentre occorre usare cautela con i sudditi, sminuzzando le notizie che potrebbero traumatizzare la "gente del popolo". In questo caso, si accenna vagamente all'incidente di un reattore, a due morti, ad un certo numero di feriti e ad una situazione tenuta, comunque, sotto controllo. In un certo senso ci si comporta come certi genitori che, per timore che il figlioletto possa sbucciarsi un ginocchio o correre pericolo ad attraversare la strada vorrebbero impedirgli quasi di camminare. Il risultato non sta nella salute del ragazzo ma in una crescente inettitudine a muoversi e a prendere decisioni. Incidenti aerei e disastri ferroviari, alluvioni o sconfitte diplomatiche devono essere ostinatamente tenute sotto custodia: non esistono analfabeti, criminali, drogati o terremotati o vittime di incidenti sul lavoro. Naturalmente, quando la catastrofe e l'evento negativo supera il livello di guardia nasce il panico e i controlli a quel punto appaiono fragili. L'evento diventa controproducente. La reticenza sovietica, il trasparente desiderio del Cremino di minimizzare e celare il danno agli occhi degli occidentali fa il paio con il modo in cui l'altro impero, gli USA, ha raccontato la vicenda. Fonti ufficiali e ufficiose, esperti privati e mass-media hanno annunciato ai quattro angoli del mondo che l'esplosione alla centrale nucleare aveva provocato centinaia di morti: 2000 poi 3000; secondo il New York Post addirittura 15.000, ammucchiati e sepolti in fosse comuni. Poi, qualche giorno dopo, il Segretario di Stato ha ammesso che "ad un certo punto è possibile che vi fossero solo 2 morti". Nella montagna di articoli e servizi televisivi sul rogo radioattivo della centrale non esiste un solo commento autocritico del resoconto cui l'amministrazione reaganiana e i mezzi di comunicazione di massa statunitensi hanno raccontato la vicenda. Insomma, alla reticenza sovietica di minimizzare e celare il danno agli occhi degli occidentali, fanno da contrappasso gli sconquassi funebri nell'informazione degli USA. Insomma, gli uni e gli altri hanno contribuito ad alimentare la confusione. Naturalmente la reticenza sovietica a parlare del disastro alla centrale si spiega con la rigidità di un sistema che è a compartimenti stagni, più che con un piano meticolosamente studiato per fuorviare l'occidente. Censura, certo, ma soprattutto confusione più grande che altrove in un paese votato alla segretezza e alla propaganda.

Un mondo senza barriere

Esiste un altro aspetto della vicenda su cui credo che l'informazione nel suo complesso non abbia centrato l'elemento capace di entrare nel cervello di milioni di persone. L'informazione ha badato piuttosto a seguire le peripezie delle gigantesche nubi radioattive come fossero portentosi aquiloni: il fatto che ormai non esistono confini o argini o trincee o fortezze capaci di arrestare la violenza atomica e nucleare: ignoranti e dotti, nutriti e denutriti, sfamati e affamati, gialli o neri o bianchi siamo in una stessa barca, anche se la vita ci ha seminato ai quattro punti della terra e del mare. Nell'immaginario della paura atomica il mondo ha ormai dimensioni ridotte e trapassabili. E poi nel cervello della gente cominciano a germinare pensieri nuovi: che vita sarebbe quella che si aprisse di fronte a chi, chiuso nelle murature, nell'acciaio di rifugi antiatomici, dovesse poi affacciarsi ai consueti panorami: e dove vagare o radicarsi quando per anni e anni dovesse cadere una continua pioggia di rifiuti radioattivi?

Altro elemento che l'informazione ha generalmente evitato di indicare come minaccioso per ognuno di noi. L'ignoranza su cosa sia realmente accaduto e su cosa occorre realmente fare o evitare. Che cosa mangiare? Che cosa bere? E fino a quando la minaccia radioattiva inquina la "foglia larga" o stretta, il latte, i prati, il bestiame, i capelli della gente, l'impianto osseo? E via di questo passo.

Il ministro sconsiglia di mangiare o bere certe cose. L'altro ministro lo vieta per decreto. Rimane invenduto il latte fresco e i produttori laziali si imbestialiscono: "Al Nord -gridano- importano il latte proibito in Germania". In particolare, la disinformazione organizzata tocca il centro della questione quando in articoli innumerevoli, disegni scrupolosi, grafici tracciati meticolosamente si garantisce che ci sono centrali saldamente costruite impermeabili ad ogni rischio, inette ad essere dirottate, in caso di emergenza, verso la produzione di esplosivo per ordigni nucleari. Eppure un incidente come quello della centrale sovietica sparge per il mondo una nube radioattiva non troppo diversa da quelle prodotte negli esperimenti nucleari nell'atmosfera (anni '50-'60) ed ancora oggi dai test nucleari francesi e cinesi. L'informazione scientifica scantona, non indaga, non fa sapere quanti decessi che intervengono oggi risalgono a danni provocati nell'intero globo dagli esperimenti nucleari di una decina di anni fa (insomma, il cosiddetto "uso pacifico" dell'energia nucleare non offre in nessun caso garanzie di sicurezza). L'informazione non ha smascherato i tecnici nostri e stranieri che hanno parlato del "contenimento" e dello sforzo volto alla previsione dei possibili incidenti: attrezzarsi per "contenere" le fuoriuscite nel caso gli incidenti si verifichino. Ma per un incidente grave, colo la fortuna e non più la perizia tecnica, può garantire che il contenitore "tenga", essendo poi assolutamente impossibile qualsiasi intervento al suo interno. Ci affideremo, dunque, all'informazione, alla gran parte dei manipolatori dei mezzi di comunicazione di massa, per mobilitare la gente e svegliarne l'intelligenza e la memoria, quando la notizia catastrofica passerà dalle prime pagine dei giornali a quelle interne: per le centrali come per le bombe nucleari, o per la basi NATO?


Movimento antinucleare - la situazione, Giancarlo Leoni

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