"LA COMUNE DI PARIGI"

Cenni sulla lotta armata del 18 marzo - 21 maggio

 

Non resta ormai che cercare di rispondere ai due maggiori interrogativi rimasti finora tra le righe ma la cui trattazione è necessaria per comprendere a fondo le cause del fallimento della Comune: come fece quell'accozzaglia di sbandati che il 18 marzo fuggì precipitosamente da Parigi a riconquistare due mesi dopo una città difesa con indubbio valore da 200.000 Guardie Nazionali?

Come mai le organizzazioni operaie e il proletariato delle province in generale non contribuirono a generalizzare il movimento comunardo e ad estenderlo nelle città vicine?

Le due questioni sono strettamente legate l'una all'altra e meriterebbero certamente un approfondimento che esula però dallo spazio ristretto prefissoci in questo elaborato, vediamo di elencare comunque i temi generali riservandoci un'ulteriore puntualizzazione ad altra sede.

Thiers, capo dei rurali, poteva contare il 19 marzo su 12.000 uomini di truppa stremati, demoralizzati e comunque pronti a darsi alla fuga di fronte a una decisa offensiva dei comunardi.

Abbiamo già visto come alla disorganizzazione e all'impreparazione militare imperanti tra le file della Comune sia da imputare questo gravissimo errore.

Resta comunque il fatto che in tal modo, di fronte all'inerzia dei rivoluzionari convinti della definitiva sconfitta del nemico, Thiers ebbe modo di riorganizzare il suo esercito composto per lo più da contadini spoliticizzati e spesso analfabeti.

A questo nucleo si aggiunsero ben presto diverse migliaia di poliziotti che vennero fatti affluire da tutta la Francia.

La sproporzione di forze era comunque vistosa, gli arruolamenti erano estremamente difficili, nella provincia ben pochi avevano ancora voglia, dopo un anno di guerra, di continuare a combattere.

Eppure, centinaia di migliaia di soldati erano in quel momento rinchiusi nei campi di concentramento prussiani; perché non mettersi d'accordo rapidamente con Bismarck e farseli "ridare" al più presto?

Probabilmente così ragionò Thiers che fin dalla fine di marzo iniziò le trattative, trovando del resto una controparte estremamente disponibile, date le temute ripercussioni che l'avvento di una repubblica sociale avrebbe avuto sull'autoritario regime tedesco.

I borghesi francesi e tedeschi scavalcarono facilmente le "incomprensioni" nate dalla guerra e non poterono non trovare un rapido accordo nel soffocare l'appena nata, ma già tanto temibile, Comune Rivoluzionaria.

E così possiamo, da un lato, assistere all'isolamento di Parigi di cui, inizialmente, i prussiani si occuperanno di buona lena organizzando intorno alla città un vero e proprio cordone sanitario.

D'altro canto, i negoziati di pace andarono rapidamente in porto e l'8 aprile Jules Favre comunicava trionfalmente l'avvenuto accordo, accordo che prometteva di portare a 170.000 gli effettivi delle truppe versaglieli che dovevano essere impiegate esclusivamente "contro Parigi" (clausola del trattato franco-prussiano).

E fu così che, secondo un giornalista governativo dell'epoca:

"Il signor Thiers si affrettò a passare sotto le forche caudine del signor Bismarck. A Francoforte ottenne in soli cinque giorni la pace che aveva mercanteggiato per un mese intero a Bruxelles; e l'ottenne accettando tutte le condizioni che i nostri plenipotenziari avevano avuto mandato di respingere. Grazie a questa improvvisa accettazione delle pretese dei vincitori, la Germania ci restituì i prigionieri di guerra senza i quali, probabilmente, il maresciallo Mac Mahon avrebbe impiegato ancora molto tempo prima di entrare a Parigi".

Rimpatriate a ritmo accelerato, queste truppe demoralizzate e sconfitte si videro offrire la possibilità di facili guadagni, rapide promozioni e la prospettiva di una vittoria riabilitatrice su Parigi, descritta in questi termini agli sbandati di Sedan e Metz:

"Una turba di miserabili cerca di imporre il trionfo dell'infingardaggine, della dissolutezza e dell'assassinio. Parigi è divenuta preda di questa gentaglia, di questa schiuma di una guerra funesta. Soldato corriamo a cacciarla".

E l'esercito, composto quasi completamente da soldati di mestiere, legati cioè da anni a un determinato ambiente e a una mentalità reazionaria e mercenaria sarà pronto a sfruttare questa occasione per concedersi la gioia di una vittoria con quei logici corollari sulla popolazione civile che da secoli caratterizzano le guerre: violenze, stupri, assassini indiscriminati.

La prima funzione a cui i versaglieli si premureranno di assolvere fin dalla fine di marzo è il totale isolamento di Parigi dal resto della Francia.

Solo circoscrivendo il fenomeno rivoluzionario alla capitale sarà possibile successivamente schiacciare gli insorti.

Di questo si rende conto perfettamente Thiers che si premura particolarmente in quest'opera di censura; di fatto l'isolamento parigino sarà pressoché totale dagli inizi di aprile.

Da parte sua, il resto della Francia in quel momento versava nel caos più completo: più di un terzo del territorio è occupato dai prussiani, le regioni occidentali sono dominate dal clero e non ricevono che deboli echi degli sconvolgimenti sociali in atto. Resta dunque il meridione, che ha una sufficiente tradizione di lotte operaie, ad alimentare in questo periodo le paure della borghesia.

Lione, Marsiglia, Grenoble sono città che già in passato hanno dimostrato una sufficiente combattività per mantenere in vita le speranze di coloro che credono ancora in una generalizzazione della lotta.

E i presupposti in realtà non mancano.

Il 4 settembre, la proclamazione della repubblica ha avuto ripercussioni un po' in tutto il mezzogiorno.

Nelle grandi come nelle piccole città di provincia l'annuncio è accolto con gioia dalle masse popolari. Il ricordo delle eroiche giornate del '92 infiamma anche i cuori di quei notabili non troppo compromessi col passato regime di Napoleone che si pongono alla testa delle manifestazioni popolari e che come Favre e Trochu avevano fatto a Parigi, si insediano trionfanti nei vari palazzi comunali, proclamando l'avvento della Terza Repubblica e dando la stura a un'orgia della peggiore demagogia nazionale.

Di fronte a questa situazione la classe operaia raggruppata in camere sindacali di recente e recentissima costituzione è in generale impreparata a comprendere l'importanza del momento storico e rientra senza discutere nell'ombra cedendo il potere ai vari radicali che, come abbiamo visto nelle prime pagine, più che radicali erano conservatori, monarchici, addirittura bonapartisti.

E' meglio non addentrarci ad esaminare questa tranquilla delega dei poteri avvenuta in provincia, come pure è meglio non soffermarci sulla tragicommedia che vide Bakunin protagonista di un abortito tentativo di costituzione di una Comune a Lione.

Comunque la situazione ai primi di marzo era stabilmente in mano ai rurali di Thiers che si trovavano di fronte a una classe operaia che, a differenza di quella parigina, non aveva ancora cominciato seriamente a pensare alla possibilità dell'instaurazione di un potere proletario in sostituzione di quello borghese. Il proletariato lionese, marsigliese, ecc, era del resto privo di quel minimo di struttura organizzativa capace di coordinare le varie spinte rivoluzionarie e in grado di esprimere un'avanguardia sufficientemente lucida da gestire il potere in maniera responsabile.

La notizia dell'insurrezione parigina del 18 marzo rimbalzerà dunque da una città all'altra con grande clamore: Lione proclama la Comune il 22, Marsiglia e Tolosa il 23, Narbonne e St. Etienne il 25, ma in capo a una settimana tutti questi movimenti saranno facilmente soffocati, senza neppure un particolare spargimento di sangue, dalle varie gendarmerie delle città.
Che il momentaneo potere venisse gestito in maniera deficitaria in quei pochi giorni, da proudhomiani "classici" non è che una componente del complesso insieme di cause che portarono al fallimento tutti i tentativi rivoluzionari della provincia.

In realtà, se dei proudhoniani e dei radical-borghesi che poco o niente avevano capito della questione sociale in quei giorni saranno effettivamente a capo delle insurrezioni, ciò è dovuto sia alla impreparazione politica del proletariato che in essi vedrà i suoi rappresentanti legittimi, sia e soprattutto ai rapporti di classe che ancora seguitavano a restare complessivamente oscuri, tanto che i termini dello scontro sociale in città furono ovunque incompresi.

E' questa l'origine di quei programmi politici che ovunque saranno presentati al proletariato e ovunque cadranno nell'indifferenza più assoluta e che ben possono essere riassunti nell'emblematico manifesto della Comune di Lione del 24 marzo: 

"Affermando il principio di autonomia della Comune, della libera gestione dei suoi affari, diamo il nostro appoggio morale a Parigi... L'unico modo per evitare la guerra civile è di instaurare ed affermare il diritto comunale... La Comune è per noi la base e la garanzia della repubblica...". 

O in quello stilato dal comitato esecutivo di St. Etienne: 

"La Comune non è l'incendio, né il furto, né il saccheggio... ma la conquista della libertà e dell'indipendenza che le legislazioni imperiali e monarchiche ci avevano tolto: essa è la vera base della repubblica".

Se, in ultima analisi, i proletari del meridione falliranno là dove i loro fratelli parigini erano riusciti è perché lo sviluppo capitalistico nella provincia era tuttora agli inizi; in un momento di transizione così delicato la confusione ideologica, di cui daranno prova quegli operai che gestiranno coi borghesi il potere per alcuni giorni è la logica conseguenza della mancanza di un'organizzazione politica o sindacale estesa a tutto il territorio francese.


Conclusioni

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