Federazione Comunista Anarchica
Dualismo organizzativo
Bologna 1976
Per inquadrare il problema del dualismo organizzativo occorre fare alcune premesse di carattere storico che ci permettano di delineare il processo evolutivo di tale problematica connessa con una serie di altri fattori.
Innanzitutto va chiarito che il comunismo anarchico è stato una pratica ed una organizzazione della lotta di classe del proletariato; esso ha teorizzato tali esperienze rappresentandone le fasi alterne e indicando le finalità strategiche. Quindi per comunismo anarchico s’intende l’espressione dei bisogni proletari attraverso l’azione diretta, l’autogestione delle lotte contro il capitale e la capacità di organizzazione dal basso in modo egualitario. Occorrerebbe tracciare in modo più approfondito le linee delle esperienze del comunismo anarchico, ma in questo momento ci basta sottolineare come esso si sia ripresentato a fasi alterne in momenti di crescita e di riflusso della lotta di classe nel corso della storia della lotta del proletariato.
Il comunismo anarchico a differenza di altre pratiche e concezioni politiche all’interno del proletariato, racchiudeva le istanze e le richieste proletarie attraverso un modo di organizzazione dal basso senza gerarchie: esso può essere considerato l’unico filo conduttore di esperienze di lotta e di organizzazione all’interno di tutto il movimento autonomo di massa.
Alla luce di tali caratteristiche qualificanti di continuità storica sui contenuto di classe rivoluzionari e di riemergenza storica vanno esaminate tutte quelle esperienze lungo il corso della storia del proletariato tendenti ad imprimere una spinta autonoma al corso delle lotte, e a costruire l’organizzazione di specifico all’interno del movimento autonomo di massa e delle esperienze comuniste anarchiche.
Non è questa la sede per un bilancio
storico di tali esperienze, ma ci basta citare alcune di esse che ci sembrano
significative per l’insegnamento che ci possono fornire tuttora: l’Alleanza
Bakuninista all’interno dell’Internazionale; i comunisti anarchici nel movimento
dei Consigli del ’19-’20; la FAI-CNT in Spagna; l’esperienza dei GAAP in Italia,
ecc.
Storicamente perché si è presentata la necessità di una organizzazione comunista
anarchica?
Pur avendo sempre rigettato le concezioni giacobine, ed in generale sostituzioniste, i comunisti anarchici in particolari momenti storici sono riusciti a darsi una propria organizzazione specifica all’interni del movimento di classe e dei suoi organismi di massa. Naturalmente questo trae origine dalla necessità di saper cogliere quanto il movimento rivoluzionario andava praticando in forme alterne e a volte spontanee e di saperlo tradurre in progetto politico ed in strategia tali da poter incidere più fattivamente nelle importanti scelte delle organizzazioni proletarie di lotta. Non si trattava di introdurre negli organismi di massa direttive elaborate esternamente, ma di saper organizzare, dar corpo, imprimere maggior forza alle frazioni rivoluzionarie e libertarie che si esprimevano nel movimento operaio. Inoltre tramite l’organizzazione specifica si poteva garantire maggiormente la non burocratizzazione di tali organismi, preservandone la autonomia. In generale, l’organizzazione specifica partendo dai bisogni e dalle espressioni politiche della sinistra di classe ne dava teoricamente e strategicamente il proprio punto di vista unitario. Giova sottolineare come in linea di massima le soluzioni che i comunisti anarchici hanno dato al problema della organizzazione rispondessero alle esigenze che le lotte di classe esprimevano; come fossero in grado di cogliere le contraddizioni che lo sfruttamento capitalistico generano e come su di esse sapessero innestare il proprio progetto politico. Il costante riferimento ai bisogni che la classe (con le sue diversificazioni interne) esprimeva; il saper adeguare strumentalmente le forme organizzative alle esigenze che di volta in volta il livello dello contro ponevano; la capacità di mobilitare ed unificare strati proletari che nella visione ortodossa marxista-leninista unilaterale ed obbligata di coscientizzazione non erano riconducibili al proletariato industriale vero e proprio: tutto ciò caratterizza il settore (senza alcun dubbio maggioritario) di classe del movimento anarchico e ne costituisce la forza organizzatrice rivoluzionaria.
Oggi come si pone il problema del dualismo organizzativo in una fase in cui non solo la struttura sociale capitalistica è radicalmente mutata, ma anche si deve constatare l’assoluta mancanza di legami di continuità delle organizzazioni specifiche comuniste anarchiche?
Non è opportuno analizzare in questa sede i motivi del riflusso che il movimento anarchico ha vissuto dopo il 2° conflitto mondiale: senza dubbio ai fattori oggettivi della decimazione fisica delle avanguardie e alla presenza di condizioni storiche sfavorevoli vanno aggiunti quelli soggettivi di una incapacità a cogliere il nuovo momento storico per poter costituire un punto di riferimento anche in situazione oggettivamente non cero favorevole ad uno sbocco rivoluzionario. La mancanza di questi presupposti fa sì che il movimento anarchico sia latitante rispetto al movimento reale di classe degli ultimi anni, fa sì che esso non sia presente nelle lotte con una formulazione strategica adeguata che non sia quella ideologica che si rifà ai “principi dell’anarchismo”. Questa situazione costringe i comunisti anarchici ad essere in ritardo rispetto a moto storico sia da un punto di vista organizzativo che di elaborazione teorica e strategica. Il problema del dualismo organizzativo che abbiamo visto i comunisti anarchici hanno cercato di impostare correttamente in tutto il percorso storico in cui costituivano un referente fondamentale delle lotte, si è riproposto in modo impellente con il nuovo ciclo di lotte che a partire dal ’68 ha investito l’occidente a capitalismo avanzato. La domanda di egualitarismo, di democrazia diretta, di antiautoritarismo che si concretizzava nelle organizzazioni di lotta delle masse operaie e studentesche non trovano riscontro in una organizzazione specifica che avesse sedimentato precisi presupposti di analisi e che avesse una visione più complessiva del momento storico: cioè una germinazione libertaria in grado di essere elemento propulsore delle lotte e che sapesse agire al loro interno con sufficiente chiarezza politica. Tutti i compiti che il dissenso generalizzato rispetto alle linee riformiste e socialdemocratiche ha rappresentato tale ciclo di lotte sono stati assunti dalle organizzazioni marxiste-leniniste di ispirazione terzointernazionalista con le conseguenze che non ci soffermiamo qui ad analizzare.
Il problema del dualismo organizzativo si riallaccia quindi alla storia ed alle esperienze delle avanguardie libertarie di questi anni; ai tentativi di costruire organizzazioni di specifico non pluraliste ma teoricamente e strategicamente unitarie.
L’organizzazione specifica nasce nel proletariato, matura attraverso le forme di organizzazione e diventa tale quando riesce ad analizzare la società capitalistica, lo scontro di classe nel suo complesso. Essa non è (leninisticamente) costituita da quadri intellettuali professionisti della politica, specialisti che, formatisi ai testi sacri del marxismo-leninismo, hanno “tradito” la propria classe di origine per dirigere il processo storico di emancipazione del proletariato; l’organizzazione specifica corrisponde all’esigenza di organizzazione delle lotte dei militanti in quanto proletari coscienti che vivono quotidianamente le contraddizioni, le alienazioni, lo sfruttamento della società capitalistica e che fondano la loro esperienza politica all’interno della esperienza di vita sociale del proletariato.
L’organizzazione specifica nasce e si sviluppa come sintesi di unità teorica e strategica e nella necessità di mantenere una struttura di non estraneità nei confronti del proletariato, di pratica egualitaria. Tale garanzia deriva dalla conoscenza e dal controllo dei processi involutivi di istituzionalizzazione e di burocratizzazione, di estraneità e di sosituzionismo rispetto alla coscienza rivoluzionaria del proletariato.
L’organizzazione comunista anarchica è tale non per definizione (quindi per l’ideologia che abbraccia) ma nella misura in cui mantiene corretti questi principi teorici strategici patrimonio storico della classe operaia rivoluzionaria.
Rispetto allo sviluppo della lotta di classe, l’organizzazione specifica dovrà avere un’analisi materialistica tale da garantire, a partire dalla conoscenza dell’antagonismo tra le classe, lo sviluppo di una strategia e di una organizzazione adeguata alla fase storica: questo comporta a monte l’essere in possesso di strumenti di analisi materialistica della storia acquisiti, oltre che da una costante presenza militante nella lotta, da un’approfondita analisi e da una adeguata riverifica delle esperienze storiche della lotta di classe e delle analisi compiute al suo interno nelle rispettive teorizzazioni; occorre cioè puntualizzare una questione metodologica analitica che faccia piena luce sul significato del materialismo storico rispetto alla sua applicabilità. Le teorie e le ideologie sono il prodotto della lotta di classe, del momento storico medesimo in cui si collocano e riflettono il dibattito politico all’interno dello stesso movimento di classe.
Ciò porta a relativizzare il ruolo di determinate figure storiche, a porre in rilievo l’interconnessione delle ideologie con la realtà.
Esiste un materialismo storico di Marx, esiste un’analisi materialistica dei consiliaristi, esiste un materialismo storico dei comunisti anarchici: con questo ci si deve confrontare, questi strumenti interpretativi si deve giustapporre.
E’ necessario riproporre, rianalizzare, riverificare tutte le categorie di interpretazione materialistica che il movimento di classe ci ha lasciato, e alla luce delle esperienze fatte negli ultimi anni, alla qualità nuova del capitalismo e dello scontro di classe, ricostruire di nuovo da capo.
Attualizzare rispetto al momento storico gli strumenti e le categorie di analisi materialistica vuol dire applicare criticamente il materialismo storico a se stesso.
Come vanno individuate oggi, e cosa si intende per organizzazioni di massa? Innanzitutto vanno fatte alcune premesse discriminanti:
1) Ci sembra importante definire quale sia la distinzione tra organismi di massa rivoluzionari (o aventi determinate premesse e possibilità di trasformazione in tal senso) e organismi di massa che (sia partiti sulla spinta di esigenze reali, sia costruiti esternamente da apparati burocratici) sono estraniati rispetto alle esigenze proletarie. Questo perché è necessario chiarire in modo inequivocabile il ruolo dell’organizzazione specifica comunista anarchica nel movimento autonomo di massa. Pensiamo che l’intervento strategico e tattico della organizzazione specifica debba essere diretto solo all’interno degli organismi di massa rivoluzionari. Nelle strutture organizzative estraniate dal proletariato, la nostra presenza anche dissidente non farebbe che legittimarne e convalidarne il ruolo di asservimento ai progetti capitalistici e quindi antirivoluzionario. Gli organismi di massa rivoluzionari sono quelli che permettono sia per la loro capacità di esprimere politicamente l’antagonismo di classe, sia perché costituiti in modo egualitario, un allargamento della coscienza di classe e rivoluzionaria dell’intero proletariato.
Contro chi sostiene l’intervento nelle strutture sindacali, sia esso strategico che tattico, ribadiamo sulla base anche delle numerose esperienze delle avanguardie della sinistra extraparlamentare in questi ultimi anni, la nostra posizione intransigente. Non è possibile a nostro avviso operare una rigida divisione nel sindacato tra un vertice socialdemocratico, burocratico ed una base rivoluzionaria o potenzialmente recuperabile ad un tale progetto. Chi non sa vedere la propria pratica rivoluzionaria al di fuori delle strutture che l’organizzazione sindacale offre belle e pronte è condannato non solamente all’impotenza, ma ben presto ad essere vittima di una logica riformistica tutta interna alla funzione di contrattazione e di amministrazione della forza lavoro che ricopre il sindacato. Esso va visto come una struttura articolata a vari livelli con precise funzioni di recupero delle lotte e di assorbimento ed estraniazione dei militanti dalle esigenze di base.
Se strategicamente l’organizzazione comunista anarchica si pone l’obbiettivo della costruzione di una effettiva autonomia intesa come tessuto di esperienze di lotta e di organismi gestiti dal basso, fondati sulla pratica diretta e slegati da qualsiasi direzione partitica, allora dovrà impegnarsi (soprattutto dove una pratica di lotte autonome non sia generalizzata) ad intervenire in quelle strutture di base che consentano uno sviluppo di tale autonomia disertando quegli apparati di controllo creati dal sindacato che non consentono di esprimere un dissenso rivoluzionario. E’ opportuno cioè fare chiarezza su ciò che si debba intendere per organizzazione di massa senza mitizzare il loro carattere numericamente maggioritario: una organizzazione può considerarsi di massa anche quando abbia delle reali prospettive in tal senso, di allargamento delle proprie esperienze. Se nello sviluppo dell’autonomia proletaria si potranno alternare delle fasi in cui le espressioni autonome di classe si presentano quantitativamente maggioritarie a delle fasi in cui essa stenta ad esprimersi politicamente in modo articolato e generalizzato, l’intervento dell’organizzazione deve essere strategicamente e tatticamente unitario e coerente; rispetto a queste fasi di crescita e di riflusso della lotta di classe la presenza dell’organizzazione dovrà essere finalizzata a stimolare e a coordinare le espressioni rivoluzionarie e a porsi come garanzia di continuità storica, di continuità del progetto rivoluzionario assolvendo in tal modo alla sua funzione di memoria di classe che non sia solamente storiografica. Anche e soprattutto nelle fasi che per condizioni sfavorevoli oggettive hanno caratteristiche controrivoluzionarie il ruolo dell’organizzazione specifica deve essere quello di creare le condizioni e di costituire un punto di riferimento per lo sviluppo dell’autonomia proletaria: cioè non vuol dire che in tali periodi si debba intervenire negli organismi riformisti perché essi formalmente raccolgono la maggioranza della classe.
In sostanza ciò che differenzia e qualifica i due rispettivi livelli (specifico e di massa) è il grado della loro politicità che sia ben chiaro appartiene ad entrambi anche se con diversi livelli di coscienza.
2. Noi affermiamo che è sbagliata quella posizione che vede la distinzione fra “specifico” e di “massa” dipendente dalla separazione tra lotta politica e lotta economica; tra sfera politica che appartiene all’organizzazione specifica e sfera economica che appartiene all’organizzazione di massa.
Le lotte di classe nel loro svilupparsi esprimono bisogni, esigenze e richieste di potere che legano strettamente le rivendicazioni e gli obbiettivi economici con la lotta per il potere politico del proletariato. La concezione leninista del partito è un esempio significativo tuttora presente di questa divisione tra compiti assegnati alle organizzazioni di massa (che in questo caso avrebbero solo capacità tradeunioniste ristrette unicamente alle rivendicazioni salariali) e quelli assunti dal partito (come unico detentore della strategia rivoluzionaria e quindi capace di guidare i processi di trasformazione in tal senso e di transizione al comunismo). Una concezione dell’organizzazione basata sulla divisione del lavoro riproducente le medesime divisioni operate dal sistema borghese. Va demolito il rapporto di cinghia di trasmissione tra la strategia rivoluzionaria del partito e la caratteristica essenzialmente riformista dell’azione delle organizzazioni di massa proletarie. Storicamente abbiamo verificato come le organizzazione di massa possano condurre a sbocchi rivoluzionari e come la capacità politica dei proletari non si fermi solo all’autogestione delle proprie lotte, ma sia tale da guidare dei momenti di transizione.
La coscienza di classe rivoluzionaria appartiene al proletariato e quindi anche ai sui organismi di massa; è solamente partendo da questa coscienza di classe che i militanti di specifico possono sviluppare una teoria ed è errato quindi concepire la formazione dei quadri rivoluzionari alla luce di una ideologia data.
E’ vero altresì che esiste una divisione formale fra lotta politica e lotta economica come lo vediamo negli esempi dei partiti riformisti e dei sindacati; gli uni artefici della politica parlamentare, gli altri che si occupano delle rivendicazioni salariali e delle condizioni di vita (in realtà di amministrarne lo sfruttamento) dei “lavoratori”. Possiamo dire che tutto questo non è verificato, in quanto come non è separabile la coscienza di classe (tra coscienza di classe economica e politica) così non lo sono queste pratiche solo formalmente diverse rispetto agli equilibri politici del sistema capitalistico; esse sono entrambe politiche perché sono finalizzate alla mediazione (e quindi alla repressione) degli interessi e delle esigenze della classe con la garanzia di stabilità del sistema della società capitalistica. In un periodo di aspre lotte di classe in cui tali equilibri sono messi in discussione, le proposte e gli indirizzi dei sindacati acquistano tale politicità da essere più “importanti” di quelle dei partiti riformisti.
In ultima analisi questo tipo di divisione sostanzialmente erronea ha alla sua radice una analisi di classe sostanzialmente borghese in quanto incapace ed impossibilitata a vedere le esperienze di autogestione delle lotte e della società da parte degli organismi di massa rivoluzionari. Ne nasce una definizione di coscienza di classe riduttiva.
3. Rifiutiamo altresì le posizioni che si imperniano attorno all’organizzazione di massa. Queste posizioni sono riaffiorate storicamente più volte come ad esempio il consigliarismo negli anni ’20 e le attuali posizioni dell’area “dell’autonomia operaia”. Queste posizioni che fanno leva sul ruolo dei consigli e degli organismi di base negano di fatto la validità politica e storica di una organizzazione specifica. Siamo d’accordo sul ruolo indispensabile e prioritario che gli organismi di massa devono svolgere nell’organizzazione della lotta e nel periodo di transizione, ma siamo anche coscienti che le posizioni e il dibattito che emerge in tali organismi è il più delle volte portato da organismi politici che di nome e di fatto agiscono al loro interno. Storicamente gli organismi di massa molto spesso hanno avuto un corso alterno corrispondente e dipendente dalle fasi dello scontro di classe, mentre gli organismi specifici resistono al riflusso anche se nascono dall’esplosione della lotta e si fanno garanti di un progetto politico di lunga scadenza.
Sebbene tali posizioni abbiano rappresentato un momento estremamente positivo rispetto alle tendenze e agli sviluppi rivoluzionari, non possiamo esimerci dal criticare alla radice questa loro posizione come esclusivista; come, in ultima analisi, spontaneista.
L’organizzazione di massa riflette al suo interno le varie tendenze presenti all’interno del proletariato nel processo della sua emancipazione; può avere una sua vita propria, un suo percorso dialettico di autonomia, come può essere influenzata dalle diverse posizioni di specifico al suo interno. In quest’ultimo caso la linea politica risulta dal confronto dialettico e dalla mediazione delle diverse posizioni politiche. La persistenza dell’organizzazione specifica rappresenta un fatto positivo nella misura in cui si faccia carico di assicurare un corretto rapporto dialettico tra le varie organizzazioni di specifico all’interno degli organismi di massa. L’organizzazione specifica non costituisce un freno allo sviluppo dell’autonomia di classe, né svolge un ruolo puramente ideologico. Essa apporta dei contenuti positivi se interpreta correttamente la problematica del proletariato.
Le posizioni che teorizzano gli organismi autonomi del proletariato molto spesso seguono il flusso spontaneo della lotta, mentre in molti casi ipotizzano ed attuano di fatto organizzazioni di specifico all’interno del tessuto degli organismi autonomi.
In quanto punto di maturazione politica, l’organizzazione specifica non si deve estinguere negli organismi di massa né identificarsi con essi.
E’ evidente a questo punto il rapporto dialettico che deve intercorrere tra organizzazione specifica e organizzazione di massa.
L’esigenza di un corretto rapporto tra i due livelli diventa l’esigenza di una costante verifica dell’esperienza dei militanti in lotta all’interno dell’organizzazione e di una costante riconduzione della crescita dei militanti dell’organizzazione specifica all’interno delle lotte.
L’organizzazione trae dalle lotte tutti gli elementi per la propria teoria e la propria strategia e dopo aver sedimentato gradualmente tali esperienze in progetto politico ne fa un punto di forza unitario da portare nella lotta quotidiana. L’interscambio dialettico deve essere continuamente verificato ed applicato in modo tale da non cadere in posizioni sostituzioniste né di estraneità.
D’altra parte la garanzia di non burocratizzazione dell’organizzazione è assicurata dalla capacità di sapersi riferire alle lotte anticapitalistiche, di saperne individuare la linea di tendenza, di avere un progetto teorico-strategico costantemente verificabile nel processo storico.
L’organizzazione si pone come il momento più alto delle esperienze politiche della classe rivoluzionaria e come prefigurazione di rapporti sociali che anticipano la società comunista in un costante adeguamento dei mezzi ai fini.
Naturalmente questi compiti dell’organizzazione specifica debbono essere particolari e commisurati politicamente a seconda dei diversi livelli di sviluppo cui sono giunti gli organismi di massa, al livello di acquisizione e di pratica autonoma al loro interno.
L’instaurazione di un corretto rapporto dialettico concerne tutte le situazioni, da quelle in cui non esistono espressioni organizzative autonome a quelle in cui stentano a darsi una fisionomia stabile fino a quelle in cui si pone il problema di una generalizzazione di tali esperienze.
Noi sosteniamo il ruolo fondamentale che l’organizzazione comunista anarchica deve avere nella fase di transizione durante la quale essa non potrà sciogliersi, ma, in quanto momento unificante della coscienza rivoluzionaria della globalità della società, dovrà assicurare un rigido controllo sia su se stessa che sulle altre formazioni che influenzeranno il processo di transizione rivoluzionaria.
Pur riconoscendo il ruolo fondamentale che hanno gli organismi di massa in quanto rappresentano gli interessi generali del proletariato ed hanno il compito di guidare tale processo, permane la necessità di garantire la costante dialetticità del rapporto dell’organizzazione specifica con tali organismi.
Nel processo di transizione verso la società senza classi si deve assicurare che gli organismi di massa proletari, assumendosi in prima persona i compiti della produzione e della distribuzione, assicurino l’assoggettamento al loro progetto della classe borghese e di tutte le altre classi fino alla loro completa estinzione. E’ per questo che, tenendo contro dei livelli economico, politico e militare ai quali il proletariato dovrà agire, viene riaffermata la necessità storica che il processo di emancipazione della classe va di pari passo con la liquidazione dello Stato in quanto non solo garante degli interessi capitalistici a livello repressivo, o come sovrastruttura ideologico-politica, ma in quanto esso stesso strutturalmente connesso all’apparato borghese di sfruttamento. Una volta chiarito (in una posizione di continuità storica rispetto alle analisi che il movimento comunista anarchico ha formulato) il ruolo che lo Stato gioca oggi più che mai all’interno del sistema e la portata della transizione rivoluzionaria, perdono di significato le formule della “dittatura antistatale del proletariato” contrapposta alla concezione leninista della “dittatura del proletariato”. Per restituire a tale termine il suo significato primitivo di egemonia del proletariato esercitata attraverso le proprie organizzazioni di massa occorre essere coscienti di come essa non possa che esercitarsi in opposizione allo Stato, per l’abolizione delle merci e del mercato. Sempre su questo argomento non ci sentiamo in questa fase di formulare ipotesi articolate e precise sulle caratteristiche che dovrà assumere la gestione proletaria dell’economia: ci sembra tuttavia che l’ipotesi di una “autogestione” dei mezzi di produzione (storicamente determinati dai rapporti capitalistici) da parte operaia non sia attualmente verificata all’interno delle lotte che essa esprime, cosa che la riduce ad una formula in definitiva antistorica.
(Dal bollettino C.N.L.A. – “Dibattito sul dualismo organizzativo” – Bari, 1976. Originale cartaceo presso il Centro di Documentazione Franco Salomone, Fano.)