"Lettura di Bakunin"

Note per un dibattito

 

Scrivere di Bakunin ha sempre significato parlare della Prima Internazionale, delle divergenze teoriche ed organizzative nel suo seno, della sua storia, tanto il pensiero e l’azione di Bakunin sono l’Internazionale stessa o meglio l’Internazionale concepita dai socialisti anti-autoritari, cioè da quelli che oggi sono gli anarchici.

Questo opuscolo cerca invece di guardare, obiettivamente, due aspetti del pensiero di Bakunin astraendoli da uno spazio storico o almeno tentandolo di fare.

Il saggio si incentra tutto su due questioni:

  1. la teoria delle classi, il loro antagonismo, la loro lotta e la loro sparizione;
  2. il problema dell’organizzazione o meglio del rapporto fra avanguardia, o (come si preferisce…) minoranza agente, gruppo rivoluzionario o “partito”, e l’organizzazione di massa dei lavoratori.

La teoria delle classi in Bakunin riveste una attualità sconcertante: egli intravede la nascita di uno Stato-macchina nel quale la classe burocratica diviene classe egemone, prevede la feudalizzazione dell’economia capitalistica, la sua concentrazione e centralizzazione, lo schiacciamento della media e piccola borghesia verso il proletariato, il fallimento del comunismo autoritario, con tutte le sue “cappelle” e confessioni e della sua teoria politica, la necessità dell’alleanza tra il proletariato contadino e la classe operaia.

Ma il secondo problema non è meno importante ed attuale: i primi tentativi, per ora incerti e con possibilità gravi di riflusso e di mediazione sindacalistica, di consigli operai, non possono non ricordare il processo che ha portato alla nascita della Prima Internazionale, i primi convegni spontanei, il primo embrione di organizzazione operaia. E come allora vi sono polemiche sull’organizzazione di massa e sul problema dell’avanguardia e del suo rapporto con le masse.

Il pregio della idea di Bakunin sull’organizzazione consiste nell’essere una valida ed attuale alternativa alle tesi sostenute dai fanatici del “partito ad ogni costo”. Tuttavia il termine “attuale” non deve dare luogo ad equivoci. Oggi mancano le condizioni sia per il sorgere di partiti rivoluzionari ispirati ad una corretta strategia marxista-leninista e sia per chi vorrebbe instaurare immediatamente il rapporto avanguardia-masse ideato da Bakunin.

Infatti, sia per Lenin che per Bakunin, mai vi potrebbe essere rivoluzione senza organizzazioni proletarie di massa che siano rivoluzionarie. Ed oggi non possiamo non osservare che sia il movimento operaio che quello contadino sono tuttora gravemente frazionati e sotto il quasi totale controllo dei grossi partiti parlamentari.

Pertanto l’attualità della tesi bakuninista consiste nel considerarla come primo obiettivo da raggiungere piuttosto che come punto di partenza. Da tale punto di vista il processo rivoluzionario, oggi innegabilmente messo in moto da diverse minoranze attive, avrà validità tanto quanto sarà recepito dalle masse. Ed è a tale scopo che questi gruppi dovranno darsi un’organizzazione ed una teoria rivoluzionaria capace di coinvolgere quante più persone possibili ed agire a fianco ed a contatto delle masse e nella stessa maniera con cui esse agirebbero ed un giorno agiranno.

Mai l’avanguardia dovrà costituirsi al di fuori dell’organizzazione di massa, darsi dei programmi partitici ed instaurare un rapporto autoritaristico, da “cinghia di trasmissione” con l’organizzazione di massa. Essa dovrà continuamente trarre la sua forza, materiale e teorica, dal movimento di massa, i suoi militanti saranno parte integrante della massa organizzata ed il suo rapporto dialettico sarà al medesimo livello dell’organizzazione di massa.

L’organizzazione specifica è solo la parte più cosciente e rivoluzionaria del proletariato ed essa ha il compito non di costituirsi autoritariamente in partito, ma di dare, organizzata libertariamente su basi federaliste, gli strumenti teorici alla massa affinché essa possa auto-organizzarsi, gestire le sue lotte, fare la rivoluzione e vincerla proprio in virtù delle sue organizzazioni di base, dei suoi soviet collegati fra loro, senza più bisogno di “guide”, di partiti, di “Stati socialisti”.

Bakunin e Lenin

L’indubbia influenza esercitata da Bakunin su Lenin appare chiaramente nel porre a confronto questi passi:

...come può la forza di un centinaio di persone essere maggiore di quella di un migliaio? Lo può e lo è quando un centinaio di uomini è organizzato. L’organizzazione decuplica la forza di ciascuno...” (Lenin)

...isolati, operando ciascuno di propria testa, voi sarete certamente impotenti; uniti, organizzando le vostre forze in una sola azione collettiva ispirata dal medesimo pensiero, dal medesimo scopo, dalla medesima posizione, voi sarete invincibili.” (Bakunin)

Nonostante ciò però la struttura che questi due rivoluzionari adottarono nelle loro organizzazioni fu profondamente diversa.

Infatti, mentre il partito bolscevico era strutturato gerarchicamente con netta distinzione tra subordinati, vicedirigenti, dirigenti (quadri del partito), nelle varie organizzazioni clandestine fondate da Bakunin “qualunque cosa potesse favorire il culto d’autorità venne bandita”.

Ma ulteriore e più profonda divergenza tra Bakunin e Lenin consiste nei diversi termini in cui si posero il problema dei rapporti avanguardia-masse.

Lenin infatti, pur se convinto che la lotta di classe debba necessariamente unire la lotta politica a quella economica, veniva a subordinare quest’ultima alla prima: dalla constatazione che la lotta economica fine a se stessa sfocia immancabilmente nel “trade-unionismo”, egli ne deduceva l’esigenza di un’organizzazione che, postasi all’esterno, assumesse la direzione politica ed il controllo incondizionato delle organizzazioni proletarie di massa.

Queste ultime, quindi, trasformandosi niente altro che in una cinghia di trasmissione tra le masse ed il partito, venivano ad avere, nel pensiero di Lenin, l’unica funzione di fornire quadri al partito. Tale concezione porta inevitabilmente alla formazione di una élite rivoluzionaria che, dopo essersi auto-proclamata “nucleo dirigente d’acciaio”, si porrà come supremo ed unico obiettivo la conquista del potere politico.

Da ciò la giusta accusa di “giacobinismo” lanciata dagli anarchici al marxismo-leninismo.

Bakunin, al contrario, seppure anche egli affermasse che i movimenti operai e contadini nella lotta per la loro emancipazione dovessero prefiggersi simultaneamente obiettivi oltre che economici anche politici, attribuiva tale compito ai movimenti di massa stessi. E fu perciò che egli risolse la questione del rapporto avanguardia-masse in questi termini: le masse debbono darsi un’organizzazione che, pur fondata sulla base di comuni interessi economici e sociali, adotti una teoria rivoluzionaria e quindi lotti per farla trionfare.

Ed il pericolo che tale organizzazione scivoli su un terreno meramente economicistico dovrebbe essere scongiurato dall’esistenza di avanguardie che, fatta propria la teoria rivoluzionaria adottata, agiscono al suo interno e stimolino alla sua realizzazione.

Tale affermazione sorge in Bakunin dall’intuizione che ogni grande organizzazione proletaria di massa non potesse essere, per sua stessa natura, che eterogenea. E pertanto, pur sottolineando la necessità di una unità di intenti tra tutti i consociati e la leale adesione ad una comune piattaforma programmatica, senza di cui non vi può essere organizzazione, tutti i suoi sforzi furono sempre tesi ad assicurare il libero svolgimento di questa dialettica interna.

E fu per tale motivo che nella Prima Internazionale egli fu sempre acceso sostenitore di una struttura libertaria e federalista.

Queste note sono scaturite da una prima discussione su questo opuscolo tenuta da diversi compagni del gruppo FAGI di Roma e non vogliono essere “prefazione” ma solo, appunto, note per un dibattito.

Roma, 2 luglio 1969


Nota bibliografica

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