MARXISMO E ANARCHISMO
Critiche al marxismo e proposte strategiche del comunismo anarchico per la gestione della fase di transizione - Dalla rivoluzione russa a Gorbaciov
Segreteria Nazionale FdCA
L'ultimo scorcio degli anni ottanta è indubbiamente contraddistinto da quella modificazione di valore storico esprimibile come crisi dei paesi a "socialismo reale". Questa crisi appare ai più repentina e soprattutto legata ai "successi" comprovanti la presunta superiorità storica del sistema capitalistico, e come tale viene propagandata: si tende infatti ad identificarla con la crisi del comunismo tout court. In realtà una lettura più storica, più attenta e meno legata ad interessi ideologici, rende conto delle tare di origine del socialismo reale, cause genetiche profonde dell'attuale situazione di ripiegamento. Su queste cause, connaturate all'esperimento praticato, l'anarchismo ha fin da subito, fin dal 1918, appuntato la propria attenzione, sviluppando sulla loro analisi il completamento di una teoria globale della trasformazione rivoluzionaria e della strategia di costruzione del comunismo. E' in questo periodo, infatti, che l'anarchismo, già teoricamente ben distinto dal socialismo democratico d'ispirazione marxista fin dai tempi della I Internazionale, adotta un programma rivoluzionario e di strutturazione della società futura ben definito ed alternativo a quello che si sta mettendo in pratica nella Russia bolscevica, partendo da una critica serrata alla lettura leninista del marxismo, ed in ultima analisi del marxismo stesso. Queste elaborazioni sono oggi patrimonio storico e costitutivo del movimento anarchico.
Le analisi che seguono tendono a mettere sinotticamente a confronto l'ipotesi comunista anarchica e quella marxista intese come due diversi e spesso contrapposti modi di costruzione del comunismo, poiché sottendono due diverse concezioni di esso.
CRITICA DEI COMUNISTI ANARCHICI AL SOCIALISMO REALE
Il modello bolscevico di costruzione del comunismo denunciò il proprio stato di crisi già con l'inaugurazione da parte di Lenin della NEP. Non si trattò, anche in questo caso, di una crisi repentina e immediata, ma fu preparata da scelte politiche e di governo successive all'ottobre del 1917, le cui tappe essenziali furono:
Tali scelte, frutto della concezione stessa del ruolo del partito nella fase rivoluzionaria che caratterizzò la concezione leninista, ebbero l'effetto -come è noto- di attenuare la partecipazione popolare e di massa al processo rivoluzionario e resero necessaria una gestione dell'economia e della produzione che puntasse ad uno sviluppo dell'accumulazione e dei processi produttivi gestiti dai piccoli proprietari e da un ceto di burocrati del tutto omologabile a coloro che, in regime capitalistico, gestiscono i mezzi di produzione.
Il trasferimento della proprietà dei mezzi di produzione dai gruppi capitalistici allo Stato "socialista" non comportò un automatico ribaltamento dei rapporti tra capitale e lavoro. Viceversa quest'ultimo rimase completamente subordinato alla nuova istituzione statale nella quale si concentrò la proprietà dei mezzi di produzione espropriati ai capitalisti. Lo "stato socialista" divenne rapidamente la forma giuridica attraverso la quale realizzare lo sviluppo economico. L'accumulazione dei profitti venne quindi realizzata dallo stato, il quale utilizzò i capitali secondo le direttive economiche del Partito comunista. Alla fine degli anni '20 nella Russia Sovietica e in gran parte dei partiti comunisti, si andrà consolidando la convinzione secondo la quale la concentrazione delle proprietà dei mezzi di produzione nello Stato, nonché la funzione programmatica e pianificatrice di esso avrebbero ridotto considerevolmente "l'anarchia della produzione" che affligge i regimi capitalistici occidentali, scongiurando l'insorgere nel breve periodo di crisi economiche. In realtà nella Russia sovietica si andavano lentamente ripristinando rapporti di produzione tipicamente capitalistici, anche se la proprietà dei mezzi di produzione era consentita allo Stato.
L'angolatura teorica che soggiace a queste scelte è individuabile nella meccanica applicazione del principio secondo il quale, cambiata la proprietà dei mezzi di produzione, viene mutata di conseguenza la struttura sociale; ad esso basta, infatti, aggiungere una identificazione arbitraria tra Stato e partito e tra questo ed il proletariato per avere già dimostrato la natura comunista della società: il proletariato è rappresentato politicamente dal partito ed il partito controlla lo Stato. Da ciò consegue che la società in cui tale situazione si realizza ed in cui lo Stato è "proprietario" dei mezzi di produzione è una società comunista attuata. E' facile vedere la rozzezza del ragionamento, eppure Trotsky - che lo elaborò- non uscì mai da questo apparente sillogismo per continuare a sostenere fino alla fine che lo Stato russo era sì proletario, ma burocraticamente degenerato. Già a partire dal 1924 i ceti che detenevano il controllo delle forze produttive in agricoltura tentarono di riprendere in mano il potere, che di fatto gli apparteneva, se non altro perché possedevano in senso materiale i mezzi di produzione.
LO STALINISMO
In questo contesto l'affermazione della linea di Stalin rappresentò la risposta che la burocrazia di partito e le residue forze rivoluzionarie dettero al tentativo nato in seno al partito. Ma con solide basi strutturali nel tessuto produttivo e sociale del paese, di porre le premesse per ripristinare, anche a livello istituzionale, con la "democrazia economica" il potere di rappresentanza dei ceti detentori, gestori, possessori dei mezzi di produzione. Sconfitta la linea di Bucharin e dei suoi alleati, le soluzioni proposte da Stalin trovarono aiuto insperato nella congiuntura economica internazionale e nella crisi attraversata in quel momento dai meccanismi di accumulazione in tutto il mondo capitalistico (crisi del '29).
Sul piano economico lo stalinismo rappresentò una risposta originale ed adeguata ai problemi contingenti. L'economia di piano, l'uso spietato del controllo militare della forza lavoro, il trasferimento dell'entusiasmo rivoluzionario nei processi di accumulazione (etica del lavoro, stakanovismo, ecc.), una spregiudicata politica estera per l'importazione di tecnologia civile e militare, resero possibile la costruzione delle strutture di base dell'industria pesante del paese, delle infrastrutture, crearono le premesse per l'uscita della Russia dalla fase di sottosviluppo economico strutturale. Corollario di questa politica fu la trasformazione della burocrazia di partito in classe.
La guerra e la profonda accelerazione dei processi produttivi che essa portò con sé, il rilancio del consenso e della partecipazione delle masse, stimolato mediante la conduzione tattica e strategica del conflitto sl punto da favorire la riconciliazione nazionale, dettero fiato alla politica stalinista e fecero sì che le profonde contraddizioni insite nel modello di sviluppo e nelle scelte economiche e politiche adottate non fossero in grado di alimentare l'opposizione politica che, proprio a causa della guerra, fu privata di una base di massa.
Ma la guerra accentuò -con l'acquisizione di ulteriori territori e popoli all'Unione- un problema gravissimo che la gestione bolscevica del potere aveva ereditato da quella zarista: quello delle nazionalità.
Stalin si era illuso di poterlo rimuovere alla radice con le migrazioni forzate e le deportazioni di intere popolazioni e aveva cercato di realizzare un "rimescolamento" delle nazionalità, rompendo l'omogeneità territoriale nella dislocazione delle popolazioni, tentando di sradicare costumi, usi, abitudini radicate da secoli. Avrebbe per questa via dovuto svilupparsi nelle repubbliche nei territori un "bilanciamento", in modo tale da permettere, appoggiandosi ora a questa ora a quella etnia, l'esercizio del potere da parte del governo centrale. Il sistema avrebbe dovuto permettere a tutti di sentirsi così "insicuri" da far preferire la coesione e l'unità del paese alle pinte centrifughe e nazionali pur vive e radicate.
Si trattò anche qui di una politica non nuova, indice anzi di continuità con il vecchio regime zarista che concedeva diritti di insediamento ai diversi gruppi etnici, in occasione delle frequenti migrazioni, proprio al fine di contenere le rivendicazioni di autonomia dei diversi popoli soggetti all'impero. Il rapporto di vassallaggio così instaurato tra il potere centrale e i nuovi arrivati è ora artatamente programmato. E' questa l'unica differenza con il passato, poiché le diverse comunità stanziate sul territorio, allora come oggi, non comunicano fra loro, non si fondono in un tutt'uno, ma anzi accentuano l'attaccamento alla propria lingua, religione, cultura, tradizione. Da qui le poderose spinte centrifughe che scuotono oggi l'URSS. In occasione della seconda guerra mondiale tutti i contendenti cercarono di utilizzare la presenza diffusa di popolazioni fra loro differenti e spesso in conflitto, presenti nella fascia che lungo i confini della Russia bianca va dal Baltico agli Urali. La scelta di Stalin, avallata dagli alleati, fu ancora una volta quella della distruzione di intere etnie mediante migrazioni forzate, della dispersione delle popolazioni negli immensi territori dell'est, dello sterminio. La politica di rimescolamento delle etnie non venne applicata nelle repubbliche baltiche perché esso sono di più recente acquisizione all'URSS. Tuttavia tale acquisizione, seguita immediatamente dagli eventi bellici che ne decimarono la popolazione autoctona, permise di adottare la scelta della "russificazione", promuovendo l'emigrazione di popolazione russa e di altre repubbliche. E' per questo motivo che oggi il problema del rispetto della nazionalità in questi paesi si presenta in modo almeno in parte diverso che nel resto dell'URSS.
IL MARXISMO DI SINISTRA
Ma il grande fallimento della politica stalinista -che ne determinò nella realtà la caduta come metodo, stile e teoria politica di governo - fu dovuta principalmente all'incapacità di legare organicamente alla gestione adottata in URSS quella dei paesi europei nei quali il socialismo si era imposto grazie alla forza dell'Armata Rossa. La visione centralistica e burocratica del ruolo del partito, la subordinazione dei partiti nazionali all'egemonia del partito comunista sovietico, distrussero la forza, la credibilità, la tenuta di massa di partiti comunisti di solida e vasta presenza nei rispettivi paesi. Ciò portò alle rivolte del 1956, chiaro segnale dell'insofferenza della conduzione "alla russa" del processo rivoluzionario, per il carattere burocratico delle forme di governo, per le scelte politiche economiche e sociali che la caratterizzano. Queste insurrezioni furono caratterizzate dalla larga egemonia politica del comunismo marxista di sinistra, spesso di ispirazione consiliarista. In questo stesso senso vanno lette le rivolte operaie degli anni '68-'70 che sono insieme parte dell'onda lunga delle rivolte di sinistra del 1956 e contengono in sé i germi del rifiuto dell'ipotesi comunista di ispirazione marxista di gestione della società. Questa reazione di rigetto anche di vasti strati di classe operaia e contadina nasce dai fallimenti e dalle repressioni seguite alle sollevazioni in senso progressista e rivoluzionario. Le rivolte popolari si concludono infatti con soluzioni sempre più "di destra" date ai problemi sollevati. Il ceto dirigente di questi stati ha come obiettivo primario la conservazione dell'equilibrio strategico ed è quindi disponibile all'alleanza con le forze che lo garantiscono, è pronto a fare concessioni sul piano strutturale. Qui, più che in URSS, vi sono dunque le condizioni strutturali per scegliere la strada a suo tempo suggerita da Bukarin, con il risultato che, a causa dei mutamenti nella gestione politica ed economica della società, rinasce, anche nella struttura economica e produttiva di questi paesi, il dominio di ceti il cui potere trova fondamento nella gestione dei mezzi di produzione e nel controllo esercitato per via burocratica dei processi di accumulazione. Si sono così ricreate le basi strutturali e sovrastrutturali alla reintroduzione della proprietà privata dei mezzi di produzione e del mercato.
LA RINASCITA DEL CAPITALISMO
Oggi in alcuni paesi quali l'Ungheria e la Polonia questo processo è più avanzato e perciò si introducono riforme di struttura e istituti di democrazia politica di tipo occidentale. In altri, come la Repubblica Democratica Tedesca, il richiamo dell'unità nazionale sembra forzare le tappe del cambiamento. In Cecoslovacchia, Romania e Bulgaria il quadro politico si muove seguendo percorsi propri delle particolari condizioni di quei paesi. Di tutto questo esamineremo caratteristiche e conseguenze più avanti. Quel che ci preme qui rilevare è che in URSS il partito comunista di quel paese gioca la carta più difficile.
Si tenta infatti di coniugare la gestione del potere da parte del partito unico, sedicente comunista, con il ripristino, sia pure graduale e parziale del mercato, introducendo garanzie simili a quelle dello stato di diritto. Vi è insomma la ricerca di una via originale, per arrivare ad una soluzione di tipo nuovo - neo-comunista - che attinge a mani basse nell'esperienza maturata dai partiti social-democratici e via via trasfusa nei loro programmi, nella convinzione che da una politica di confronto-competizione con altri Stati quello sovietico non può che avere dei vantaggi. Oggi l'URSS si inserisce a pieno titolo e con piena legittimità nella comunità internazionale e da potenza militare, da Stato che può offrire un immenso e ricettivo mercato appetibile soprattutto per i paesi europei in fase di forte e costante crescita produttiva, chiede contropartite sul piano della sicurezza e dello sviluppo economico, domanda solidarietà ai paesi occidentali, soprattutto europei, per contenere le spinte centrifughe dei suoi popoli, poiché solo il potere centrale russo può garantire le condizioni di stabilità che danno sicurezza ed equilibrio al mercato.
Molto c'è da dire sulla fase nuova della storia dell'Europa e del mondo che questa scelta apre. Basta pensare alla "balcanizzazione" di tutta l'Europa dell'Est fino ai confini della Repubblica Russa e ad alcune situazioni in Asia per capire che siamo all'inizio di una fase di forte instabilità. In questa situazione è certo che i processi in atto non saranno indolori e senza conseguenze per la pace.
IL FALLIMENTO DEL MARXISMO
Ciò che è il caso di rilevare è che alla fine di questo lungo cammino in URSS e nei paesi dell'Est europeo di comunismo non è rimasto niente e la vantata supremazia - come teoria politica - del marxismo sull'anarchismo non ha più fondamento alcuno. Ha oggi mostrato la sua inconsistenza l'affermazione di chi basava la tale supremazia sulla capacità del marxismo di aver dato soluzioni positive e concrete alla "fase di transizione", portando ad esempio il socialismo realizzato dell'Est europeo. Dopo quanto è avvenuto crediamo di poter dire che nulla è più come prima, anche se i problemi dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo e la necessità della costruzione di una società comunista permangono, anzi investono tutto il mondo. L'accentuarsi delle differenze tra nord e sud del mondo, fra paesi ricchi e poveri, l'emergenza ecologica ed ambientale, l'esplodere dei nazionalismi e dei conflitti religiosi e razziali sono indici di situazioni di profonda crisi che rendono urgente l'adozione di soluzioni globali. L'ipotesi marxista, in crisi di identità anche in Cina e nel resto del mondo, non offre ormai soluzioni certe.
Il confronto perciò riparte lasciando dietro le spalle le macerie di una sconfitta storica, forte del fatto che se la crescita del potere del capitale, dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, se il raffinamento delle tecniche di dominio rendono più difficile che mai la liberazione dell'umanità, una teoria che ieri ci aveva diviso, oggi, fallendo, apre la strada all'unità dei rivoluzionari, quell'unità che all'inizio della sua azione caratterizzò positivamente l'Internazionale.
Oggi, finalmente, tra le mura del Cremino, gli eredi del segretario di Londra della I Internazionale hanno esalato l'ultimo respiro. Protagoniste del processo rivoluzionario divengono di nuovo le masse. Perché esse abbiano strumenti di azione politica l'anarchismo comunista deve riprendere a svolgere la sua azione politica, le organizzazioni comuniste anarchiche a dare il loro contributo, aggiornando costantemente la teoria, mettendo a punto una strategia gestita mediante collegamenti internazionali e portata sui luoghi di lavoro e nelle masse, attraverso una articolazione tattica che permetta le più larghe adesioni e la costante verifica.
Ai compagni su posizioni rivoluzionarie che in passato hanno militato o ancora militano in organizzazioni marxiste rivolgiamo un invito al confronto e al lavoro comune a partire dall'intervento di massa e da una prima verifica dei risultati ottenuti.
LE PROPOSTE STRATEGICHE DEL COMUNISMO ANARCHICO
Già nella preparazione dei moti rivoluzionari in Russia gli anarchici ebbero proposte proprie ed originali che in molti casi furono egemoni nel movimento rivoluzionario. La messa a punto nella rivolta del 1905 dei soviet, come strumento di autogestione e autogoverno delle lotte, quale organo di democrazia rivoluzionaria che si sostituisce alle istituzioni e alle forme di democrazia borghese e nobiliari, è frutto diretto della loro teoria politica. Il soviet, infatti, riunisce le forze attive realmente partecipi del processo rivoluzionario in atto e permette la partecipazione di tutti, indipendentemente dal credo politico, sindacale o religioso di appartenenza, sulla base della più assoluta uguaglianza. Questo strumento originale di democrazia proletaria e di partecipazione di massa non nega il ruolo dei partiti e delle organizzazioni politiche, ma realizza l'obiettivo politico della partecipazione di massa, presentandosi come l'unico reale e funzionale strumento - originale - di partecipazione. La piena identificazione delle masse con il soviet, quale strumento di partecipazione politica al processo rivoluzionario, è testimoniato dal fatto che gli stessi bolscevichi furono costretti dal movimento a far propria la parola d'ordine: Tutto il potere ai soviet.
Già nella prima fase del processo rivoluzionario, quella insurrezionale del 1917, l'anarchismo aveva posto le basi per il superamento della democrazia rappresentativa borghese e creati il nucleo di base, la cellula prima per costruire, anche a livello istituzionale, un nuovo tipo di sistema di partecipazione, avviando a positiva soluzione il problema del potere e dello Stato nella fase di transizione al comunismo.
In questa prospettiva l'anarchismo non solo appoggiò ma promosse - erano anarchiche le avanguardie rivoluzionarie che chiusero materialmente la Duma e i bolscevichi ne ratificarono l'operato - la liquidazione delle ultime strutture dello Stato e della democrazia borghese, ma non va dimenticato che nei soviet erano rappresentati oltre ai bolscevichi e agli anarchici, i menscevichi, i socialisti rivoluzionari e, qual che è più significativo, i senza partito, a riprova della capacità complessiva di rappresentanza che tali organismi avevano.
La liquidazione delle opposizioni di destra e di sinistra da parte del PCR(b), egemonizzato dalla componente leninista, marciò di pari passo con l'assoggettamento e lo svuotamento dei soviet e il loro infeudamento al PCR(b). L'affermazione del potere del partito e la costruzione della classe burocratica in URSS dovette necessariamente negare il carattere pluralista e la grande partecipazione popolare e di massa al processo rivoluzionario.
Affermare invece, come fecero i marinai di Kronstadt nel 1921, "Tutto il potere ai soviet non al partito" avrebbe permesso di conservare il carattere genuinamente comunista e rivoluzionario della lotta di classe in URSS.
Gli avvenimenti successivi dimostrarono che quando la dialettica con le forze esterne ad un partito viene meno e l'opposizione sociale è chiamata a svolgere il proprio compito esclusivamente all'interno del partito unico, la partecipazione popolare e di massa e dei soggetti rivoluzionari scompare e le stesse forze di sinistra nel partito soccombono. Esse infatti potrebbero ricevere alimento solo dal movimento rivoluzionario che, privato dei suoi strumenti - i soviet e la dialettica politica tra le diverse forze - inevitabilmente scompare.
Le vicende del primi quattro anni della rivoluzione russa hanno insegnato al movimento rivoluzionario che non vi è comunismo senza democrazia e che la democrazia si esprime non attraverso la forma borghese del parlamentarismo e della delega elettorale, ma mediante la partecipazione capillare e diretta di tutti alle scelte politiche e di governo. L'elemento caratterizzante di tale sistema non è l'assenza di delega - perché anche i membri del soviet venivano delegati ed eletti - ma il controllo costante e militante dei deleganti sui delegati, l'uso sempre possibile della revoca del mandato come strumento di controllo e di governo dei deleganti sui delegati.
La presenza del soviet i cui delegati sono eleggibili e revocabili era nella strategia e nella proposta politica complessiva di gestione della transizione al comunismo, prospettata dagli anarchici, funzionale alla gestione dell'economia. Solo una società basata sui soviet dei produttori - intendendo con tale termine gli operai, i contadini, gli intellettuali, ecc. - poteva far vivere a livello politico e istituzionale una diversa gestione dell'economia mediante l'autogestione della produzione e dei servizi. Gli anarchici, rifiutando il rapporto positivista causa-effetto tra struttura e sovrastruttura proprio dei leninisti, consideravano interagenti i due elementi. Ne consegue che l'elemento della gestione politica - sovrastrutturale - era interagente con quello strutturale della gestione dell'economia. L'uno era insomma condizione dell'altro, al punto che soviet e autogestione dei mezzi di produzione e dei servizi erano due facce dello stesso problema: la gestione comunista della società.
L'affermazione dello stalinismo in URSS incise in modo rilevante sull'elaborazione teorica e strategica dell'anarchismo. Il profondo ripensamento strategico che coinvolse le organizzazioni anarchiche di tutti i paesi ebbe come conseguenza:
L'ESPERIENZA SPAGNOLA
La Federazione Anarchica Iberica adottò il "dualismo organizzativo" affidando al sindacato la funzione di coordinamento di direzione dell'azione di massa e riservò a sé l'elaborazione della teoria, della strategia e del programma. Un costante rapporto dialettico legava le due organizzazioni e si realizzava mediante una verifica costante teoria-prassi-teoria che passava attraverso ogni militante, insieme membro dell'organizzazione politica e di quella di massa. Pertanto le teorizzazioni dell'organizzazione politica, portate e verificate in quella di massa, sottoposte al vaglio democratico di tutte le componenti presenti nel movimento di lotta, ritornavano, verificate, nell'organizzazione politica ad arricchire, oltre alla sua azione politico-strategica-programmatica il bagaglio teorico dell'organizzazione. Una visione dunque dinamica della teoria e dello stesso progetto rivoluzionario che permetteva all'organizzazione di lottare per creare le condizioni per la realizzazione del comunismo, attraverso l'innesco di un processo genuinamente rivoluzionario, pluralista, libertario.
Questa scelta permise di realizzare in Spagna - malgrado la congiuntura internazionale avversa, testimoniata dall'intervento militare dei regimi fascisti, malgrado l'azione di rottura del fronte interno e della compattezza rivoluzionaria svolta dagli stalinisti , nonostante l'indifferenza colpevole e complice delle democrazie borghesi - un'esperienza rivoluzionaria esemplare per i molti risultati positivi che essa ha dato relativamente allo sviluppo dell'economia, alla partecipazione delle masse popolari alla gestione della produzione e della distribuzione dei beni, alla creazione di strutture di auto-governo, all'elaborazione di nuovi istituti di partecipazione dei produttori e dei cittadini che implicano una diversa e più avanzata concezione dello Stato, del diritto, del benessere sociale, dell'arricchimento culturale, della qualità della vita, dei diritti dei singoli e delle donne in particolare, della liberazione dalla schiavitù religiosa, realizzando, nel contempo, piena libertà di coscienza. In una parola furono create le condizioni per dar vita ad un originale ed efficace modello di transizione verso una società comunista.
In risposta alla politica di piano e alla militarizzazione delle forze del lavoro, volute dallo stalinismo; in risposta all'autarchia, alla depressione dei salari e dei consumi e alla politica di riarmo, voluta dai regimi fascisti, che avrebbe avuto come sbocco inevitabile la guerra; in risposta all'ampliamento del ruolo dello Stato in economia e al drenaggio di risorse dai salari, attraverso una massiccia svalutazione per rilanciare successivamente -dopo una redistribuzione ineguale e forzosa delle risorse - i consumi, perseguita attraverso il New Deal e la politica keynesiana, l'anarchismo comunista propose e realizzò in Spagna -malgrado la guerra civile - una economia a misura d'uomo.
Furono valorizzate le risorse del paese, mobilitandone le energie umane. Escludendo il profitto di impresa, le risorse furono destinate allo sviluppo della collettivizzazione. In agricoltura gli sforzi furono concentrati nel superamento dei metodi arretrati di coltura, mentre la collettivizzazione restituì alle imprese dimensioni competitive ed economicamente convenienti. Furono eliminate le distorsioni presenti nella distribuzione, i profitti parassitari, le rendite, i benefici e i privilegi ecclesiastici.
L'intervento fu così efficace che, malgrado lo stato di guerra civile, le imprese agricole collettivizzate poterono chiudere i bilanci in attivo, assicurando lavoro, prodotti, rifornimenti alimentari. Nel settore industriale, penalizzato dallo sforzo bellico si realizzarono investimenti e innovazioni tecnologiche, le imprese tornarono in attivo ed incise positivamente sul profitto di impresa e sui consumi la ristrutturazione della distribuzione, mediante l'eliminazione dell'intermediazione.
Nei servizi, malgrado i ripetuti danneggiamenti causati dalla guerra, si verificarono vistosi successi. Essi vennero estesi e resi accessibili mediante una politica popolare delle tariffe a tutti, realizzando risultati aziendali positivi ed assicurando standard di funzionamento elevati. Grande sviluppo ebbero poi i servizi sanitari e sociali, anche grazie al reperimento di risorse parassitarie quali quelle appartenenti alla Chiesa e agli ordini religiosi, alla nobiltà.
L'azione dei comunisti anarchici in Spagna dimostrò nei fatti le capacità di realizzazione dell'anarchismo e dovette perciò essere stroncata. A questo compito si dedicarono, con uguale accanimento, tanto i regimi fascisti che lo stalinismo, con la complicità dei regimi democratici.
ATTUALITA' DEL COMUNISMO ANARCHICO
Se la guerra civile spagnola sembrava aver sepolto il comunismo anarchico, la seconda guerra mondiale sembrò suggellarne definitivamente la sconfitta. La rivoluzione e il comunismo sembravano arrivare non dalla lotta partigiana - nella quale peraltro gli anarchici di tutti i paesi si impegnarono con tutte le loro forze - ma portati dalle "baionette dell'armata rossa". In realtà i regimi comunisti installati nelle aree di influenza sovietica furono forme degenerate di socialismo di Stato che spesso si imposero a positive esperienze che in molti di questi paesi erano state portare avanti dal proletariato. Anzi, lo stalinismo provvide ad eliminare i leader e i militanti più capaci ed autonomi per imporre i propri uomini, fu complice della liquidazione di molti dei movimenti di classe che agivano all'esterno della sua area di influenza. Così l'instaurazione del socialismo in molti paesi europei fu funzionale all'espansione dell'imperialismo russo che non disdegnò la politica delle annessioni nell'area baltica come in quella balcanica ed asiatica. L'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche aveva ereditato ed applicava con successo la politica imperialista di Caterina II e di Pietro il Grande, a danno dei popoli, delle etnie e delle nazionalità dell'Europa e dell'Asia.
A coprire sotto il profilo ideologico l'operazione si invocava l'internazionalismo che, in un significato distorto, aveva la sola funzione di assicurare e garantire il potere sul movimento comunista internazionale del PCR(b).
Eppure l'anarchismo aveva ammonito sui pericoli dell'ideologia panrussa e dell'imperialismo russo, usando come piano di riflessione la questione slava e aveva proposto concrete soluzioni. Lo stesso Bakunin aveva approfonditamente studiato la questione slava e rielaborando il concetto de federalismo, aveva posto le basi per una visione originale dello Stato tendente alla sua progressiva negazione e superamento. La proposta dell'anarchismo poteva concretamente realizzarsi mediante un radicale mutamento della proprietà dei mezzi di produzione che dovevano passare alla gestione diretta dei produttori - autogestione economica - e mediante un nuovo sistema di partecipazione politica. Questo diverso assetto istituzionale aveva come cardine:
L'IMPERO RUSSO TRA CRISI E RISTRUTTURAZIONE
Da alcuni mesi la crisi dei paesi satelliti dell'URSS in Europa occupa le pagine di tutti i giornali dai quali si riversa sui lettori un fiume di propaganda anticomunista di una intensità che non ha eguali rispetto al passato. D'altra parte bisogna riconoscere che quel che sta avvenendo può essere utilizzato per screditare qualsiasi tipo di comunismo e offre l'occasione, da lungo tempo agognata, di liquidare per sempre ogni opposizione al capitalismo. Tuttavia ci si guarda bene dal dire che c'è e c'è sempre stato chi ha detto che da sempre i sistemi che oggi crollano hanno avuto ben poco di comunista.
Ma al di là delle ripercussioni - certo importantissime - di questa propaganda sul piano ideologico la crisi di questi regimi introduce in Europa una situazione di instabilità che merita attente riflessioni proprio da parte di chi, come noi, ha a cuore lo sviluppo della lotta di classe e i problemi della pace.
Nell'analizzare la nuova situazione, noi comunisti anarchici abbiamo le carte più che in regola per aver incessantemente criticato - e da sempre - il "socialismo reale" di questi paesi, a cominciare dalla soluzione leninista data al problema della fase di transizione al socialismo. Oggi le nostre critiche - che tanti compagni comunisti anarchici hanno pagato con il sangue, in Russia durante la rivoluzione e dopo, nella guerra civile spagnola, in Bulgaria, in Germania, in Italia e in tutti i paesi in cui l'anarchismo è stato presente nella lotta di classe - trovano la conferma della storia. Si tratta di una ben magra consolazione perché non vi è dubbio che oggi riprendiamo la lotta in una situazione di maggiore difficoltà per il discredito gettato sull'idea stessa di comunismo, per la sfiducia seminata nei popoli, per la falsa coscienza che pervade oggi le masse spinte all'identificazione tra quel "comunismo realizzato" ora in liquidazione e il comunismo anarchico per il quale le chiamiamo a battersi e a lottare. Ci vorrà forse una generazione perché quanto è avvenuto possa essere analizzato con obiettività, comprendendo le cause di quanto è successo e la necessità di riprendere la lotta per il comunismo.
Ma gli avvenimenti di questi mesi offrono anche un altro importante insegnamento: niente è immobile ed immutabile e tutto può cambiare in un breve spazio di tempo solo che vi siano alla base motivazioni di carattere strutturale e il sostegno della lotta dei popoli. E' nelle fasi di crisi dell'accumulazione che si innesca la trasformazione dei rapporti sociali e produttivi e oggi ne stiamo vivendo una di notevole intensità caratterizzata, oltre che dalla crisi dell'impero sovietico, certo appariscente, da quella altrettanto profonda, ma per il momento in parte sommersa, dell'impero americano. E' in corso una battaglia senza esclusione di colpi che vede emergere il Giappone e l'Europa occidentale alla conquista di sempre nuove quote di mercato e oggi il baricentro della storia del pianeta ruota di nuovo, dopo molti anni, intorno all'Europa.
In questa situazione è compito delle avanguardie sviluppare un lavoro di massa che renda coscienti strati sempre più ampi di lavoratori dei loro obiettivi strategici adeguando la strategia politica ai mutamenti della situazione, stimolando l'aggiornamento della teoria in rapporto all'evoluzione della struttura economica e all'innovazione tecnologica che, soprattutto nel campo della comunicazione del sapere e dell'informazione, ha sconvolto le vecchie regole. Strumento essenziale per far ciò è l'analisi che offre un primo concreto mezzo per operare. Le annotazioni che seguono vanno in questa direzione.
L'EQUILIBRIO DI YALTA
Alla fine della seconda guerra mondiale la divisione dell'Europa in sfere di influenza saziava gli appetiti delle potenze belligeranti e al tempo stesso poneva fine ad una situazione di perenne instabilità nell'area centro-europea. L'impenetrabilità dei passi montani, la diversità fino all'incomunicabilità delle lingue, la differente religione, le diverse tradizioni che in altre parti del continente avevano costituito elemento essenziale per la costruzione dell'identità nazionale e la definizione dei confini, nell'Europa centrale erano assenti o disegnavano incerti confini. Da qui all'indeterminatezza delle frontiere che aveva spinto Hitler a coltivare il sogno della Grande Germania e gli aveva permesso di trovare non pochi alleati tra fragili monarchie e piccoli tiranni che governavano i paesi dell'area balcanica e danubiana. Con Yalta al controllo tedesco si sostituiva l'egemonia russa, accettata dagli americani, fortemente voluta dagli inglesi - e negli anni a venire dai francesi - in funzione anti-tedesca. Le frontiere diventavano sicure e certe, cementate dall'ideologia del comunismo stalinista, sostenute in alcuni casi dall'entusiasmo popolare. Le ragioni di questo consenso, che certo non vi fu ovunque, ma fu vasto e profondo in una prima fase, vanno cercate nell'esistenza in molti di questi paesi di forti e radicati partiti e sindacati di sinistra di cui Stalin aveva asservito i quadri dirigenti in anni di dittatura cominfomista, per quanto riguarda quelle marxiste (significativo ad esempio il massacro de quadri e della direzione del partito comunista polacco). Delle altre formazioni politiche Stalin aveva provveduto a far eliminare i quadri dirigenti mano a mano che avanzava l'armata rossa (valga per tutti ricordare la liquidazione del movimento comunista anarchico bulgaro, volutamente ignorata in ogni ricostruzione storica).
La storia del ruolo del COMINFORM nell'Europa orientale e la persecuzione dell'opposizione di sinistra in questi paesi va interamente riscritta se si vogliono capire le ragioni di un iniziale consenso popolare, solo in parte spiegabile con la rottura anti-nazista e la liberazione portata dall'armata rossa, e comprendere il perché della progressiva caduta del consenso popolare che non fu tuttavia indolore.
E' bene ricordare a chi lo ha dimenticato, i moti operai di Berlino del '53, che furono ispirati al comunismo di sinistra, la rivoluzione ungherese e polacca del '56, che accanto alle spinte filo-occidentali largamente minoritarie vide consumarsi l'esperienza dei consigli operai, quella polacca del '70 che fu caratterizzata da un analogo orientamento. Si trattò - e questo ne fu il limite certo non voluto da coloro che le portarono avanti - di esperienze consumate nel sangue della repressione che, proprio per le modalità con le quali di svolse, dette spazio alle forze di destra, al punto che fra le masse si diffuse la sfiducia sulla possibilità di evoluzione del "comunismo" voluto da Mosca. I governi sedicenti comunisti furono visti sempre più come regimi di occupazione e vissero all'ombra del grande fratello quando non si trasformarono in dittature personali, come nel caso rumeno. Anzi proprio il carattere di regime impedì loro quella dialettica interna di evoluzione e sviluppo dei sistemi capace di permettere il necessario e fisiologico avvicendamento in seno alla classe dirigente, quella politica di ricambio dei quadri che avrebbe potuto assicurarne la sopravvivenza. Dove questa operazione fu tentata, come in Cecoslovacchia nel 1968, la rigidità del sistema costruito da Stalin impose la repressione armata di un partito comunista vitale e con un seguito di massa, minandone in modo irreversibile la credibilità. Le classi dirigenti dei paesi dell'Europa orientale - sull'esempio di quella sovietica e in certi casi ancor più di essa - furono ben presto afflitti da problemi gerontologici poiché risultava estremamente difficile la selezione dei nuovi gruppi dirigenti.
LA CRISI POLACCA E LA TEORIA DEL DOMINIO
Nel '78 un elemento nuovo si inserì nel panorama internazionale già sottoposto a forti sollecitazioni da una profonda fase di ristrutturazione dei rapporti produttivi e di divisione dei mercati sviluppatasi a livello mondiale.
La nomina a pontefice di un polacco spostò improvvisamente l'equilibrio delle forze. Va dato atto a quest'uomo, ispirato da una visione politica che fu quella di Gregorio VII, sostenuto dalla finanza cattolica mediante affari non sempre limpidi (vedi per tutti l'affare IOR-Calvi), di aver agito con spregiudicatezza su tutti i fronti e movendosi nel quadro di un disegno coerente di restaurazione del potere temporale della Chiesa cattolica, di aver saputo sostenere la componente di destra che nel suo paese conduceva la lotta contro il regime, non solo ai fini di un mutamento della situazione polacca ma quale leva per innescare una fase di profonda instabilità in tutta l'area dell'Europa centrale. Per far ciò è stato necessario costruire un sistema di alleanze che portasse la guerra fino a dentro l'impero russo. Per farlo egli ha gradualmente trasformato il dialogo ecumenico in alleanza politica in funzione anti-russa; per raggiungere questo fino è giunto ad una intesa cordiale con ogni altra forza alla sola condizione che essa fosse anti-comunista (vedi ad esempio lo scambio di messaggi con Komeini caratterizzato dalla lotta comune di islamismo e cattolicesimo contro l'ateismo marxista).
Mentre i cattolici all'interno di Solidarnosc portavano avanti la battaglia in Polonia e in Lituania, la Chiesa luterana si è assunta il compito di fare da punto di riferimento dell'opposizione nella Repubblica Democratica Tedesca, in Estonia e Lettonia e fra quella vasta minoranza di tedeschi sparsi nelle pianure danubiane. L'area dell'Est europeo e dell'URSS veniva sottoposta ad un attacco concentrico.
Così quando la situazione polacca è precipitata, si sono verificati gli effetti della cosiddetta teoria del dominio, avanzata da Kissinger ai tempi della guerra in Vietnam, secondo la quale crollato un paese dell'area tutti gli altri sarebbero inevitabilmente seguiti.
Del resto la situazione a livello strutturale ben si prestava a questa operazione. Esaminando i dati relativi all'andamento dell'economia nei paesi di quest'area è agevolmente verificabile la crisi dell'economia di piano, la crescita del costo dell'apparato necessario a sostenere il consenso in rapporto alle risorse disponibili. Nessun mutamento di carattere strutturale ha potuto verificarsi nei paesi dell'Europa dell'Est, ma un discorso a parte andrebbe fatto per la struttura produttiva della RDT e in parte dell'Ungheria. Il fallimento del COMECON e l'incapacità di realizzare una integrazione dei sistemi produttivi dei paesi associati è stata causata dalle scelte egemoniche e di rapina imposte dall'URSS nell'assegnazione dei settori di sviluppo e della divisione del lavoro, dalla struttura stessa dell'organismo che non prevedeva una effettiva integrazione economica e monetaria che avrebbe imposto comportamenti paritari all'URSS. Il ricorso al debito estero e a rapporti dei singoli paesi con il mercato internazionale è stato perciò inevitabile ed ha introdotto anche in quest'area la dittatura della Banca Mondiale e imposto le scelte inflative per rimborsare il debito estero contratto. Da qui le cause strutturali della crisi economica spaventosa che ha travolto l'Est europeo. Fin dal 1980 l'economia sovietica aveva cominciato a reagire alla crisi attraverso un'accentuazione dell'accentramento creando una serie di "gruppi" di imprese, di fatto degli oligopoli, interessati per le loro dimensioni ad un mutamento del sistema economico e all'introduzione del mercato.
Tuttavia le cause oggettive alle quali abbiamo fatto riferimento non bastano a spiegare la rapidità del mutamento, le cui ragioni vanno anche ricercate nel progetto strategico che guida le scelte di Gorbaciov e della classe politica che egli esprime, costituita dai nuovi manager, dai grandi dirigenti degli oligopoli di stato, molti dei quali provenienti dalle file dell'esercito, e che poggia sul consenso di una classe media costituita da intellettuali, lavoratori altamente professionalizzati e tecnici con alto tasso di scolarità.
I PROBLEMI DI GORBACIOV
Al momento del suo insediamento al potere Gorbaciov ha trovato una situazione già molto deteriorata.
Il pantano della guerra afgana divorava risorse accentuando i motivi di crisi nelle repubbliche di confine con una popolazione interna di religione e tradizione musulmana. Il vento del grande Islam, alimentato da Komeini, soffiava impetuoso fin dentro la Russia ad alimentare le aspettative di etnie in forte crescita demografica, desiderose di contare di più nel paese o comunque di assumere una propria autonomia rispetto alla classe dirigente costituita in prevalenza da russi bianchi. Da qui il rinascere di scontri secolari con altre etnie quali quella georgiana e armena, portatrici di forti tradizioni e animate da una radicata coscienza nazionale.
A questa situazione faceva da contraltare, ma con richieste simili,la domanda di autonomia proveniente dall'area baltica, caratterizzata da un notevole sviluppo economico. In essa infatti hanno sede molti di quegli oligopoli di cui abbiamo parlato e certamente notevole è il livello di informatizzazione del sistema produttivo di quest'area. Ciò ha permesso una facilità di comunicazione (si pensi ad esempio che i militanti dei Fronti Nazionali comunicano utilizzando la rete di computer delle aziende in cui lavorano!), un interscambio che ha dato modo di superare i rigidi steccati e le incomunicabilità imposte dal piano, rendendo auspicabile e credibile la possibilità di inserimento di queste repubbliche, una volta resesi autonome, magari anche parzialmente da Mosca, nell'area produttiva dei paesi scandinavi nella quale esse sono oggettivamente integrabili. Le motivazioni nazionali, etniche, linguistiche, religiose hanno fatto il resto.
Questa instabilità si estendeva all'area slava rimettendo in discussione la collocazione di repubbliche che fanno parte dell'URSS, importanti sia sotto il profilo strategico che economico, quali l'Ucraina rispetto alla quale tra l'altro la rinata autonomia degli stati dell'Europa dell'Est esercita una innegabile attrazione. Da sempre i confini tra gli stati in queste regioni sono stati incerti. Hanno pesato e ritornano oggi a pesare le rivendicazioni pan-tedesche verso l'area danubiana e baltica, le rivendicazioni polacche verso la Lituania, l'Ucraina, quelle ungheresi sulla Transilvania e quelle rumene sulla Moldavia. Altrettanto intense sono le reciproche rivendicazioni tra tutti i paesi dell'area, compresa la Jugoslavia che a sua volta rischia la disintegrazione.
C'è insomma il rischio reale che le rivendicazioni dei paesi confinanti tendano al ripristino delle frontiere precedenti alla II guerra mondiale introducendo così nell'area una instabilità che si ripercuoterebbe negativamente su tutto il continente al punto da poter essere, come in passato, fonte di conflitto armato (gli scontri in quest'area hanno portato a ben due guerre mondiali!).
LE RAGIONI DI UNA SCELTA STRATEGICA
Oggi l'Unione Sovietica è consapevole della propria crisi con una lucidità che raramente ha caratterizzato l'azione dei dirigenti di Mosca. E' altresì consapevole della crisi degli Stati Uniti e perciò ha proposto con successo una politica di disarmo e di disimpegno contrattato che ridimensiona notevolmente il ruolo delle due superpotenze globali. Restano così delle aree scoperte nelle quali sono possibili forti instabilità e non improbabili i tentativi di inserimento di altre potenze.
Al tempo stesso URSS e USA vedono con preoccupazione la crescita della potenza economica del Giappone e dell'Europa. E' convinzione comune che con il 1992 si sarebbe avviato in Europa un processo di integrazione molto solido che invano e da sempre gli USA hanno cercato di ostacolare mediante la politica dell'Inghilterra, la quale ha pagato questo suo tentativo con una integrazione di fatto irreversibile nella C.E.E. e un ridimensionamento del suo ruolo di potenza sia militare che economica.
Per l'URSS si trattava dunque di scegliere se misurarsi in posizione antagonista con i paesi della comunità europea o costruire con questi una partnership sulla base di comuni interessi, la cosiddetta "casa comune europea". E' noto che l'URSS necessita di innovazioni tecnologiche che l'Europa possiede ampiamente; può offrire materie prime senza limiti, un mercato potenziale enorme, una forza lavoro qualificata capace di accogliere l'innovazione tecnologica senza problemi. E' infatti il paese che nel mondo ha il più alto numero di ingegneri, di matematici, di scienziati. Un matrimonio è dunque possibile a patto di eliminare le potenziali ragioni di conflitto, di indebolire la compattezza politica dell'aggregazione europea riconducendola ad aspetti più marcatamente economici.
Per far ciò Gorbaciov prende atto della crisi dei paesi dell'Est europeo e cerca dialetticamente di governarla anche perché altrimenti questi paesi sarebbero comunque persi. E allora ben venga la caduta del regime in Germania Est e che si parli pure di riunificazione tedesca, così la Germania Occidentale sarà meno disponibile all'integrazione politica europea e guarderà prioritariamente alla riunificazione che, oltre a permettere l'unità della nazione tedesca, ha il pregio di mettere insieme un mercato interno di 80 milioni di consumatori e di sommare le capacità produttive della quarta e della decima potenza economica mondiale. Quando le iniezioni di capitale tedesco occidentale avranno risanato e rilanciato l'economia dell'altra Germania, chi potrà contrastarne le spinte egemoniche soprattutto verso le popolazioni tedesche che risiedono al di fuori dei confini dei due stati? E quale sarà il residuo interesse della Germania per l'unità politica europea?
Ecco allora i primi contraccolpi positivi. La Polonia prosegue nel suo processo di reintroduzione del mercato ma giura e rivendica fedeltà al Patto di Varsavia in difesa dei suoi confini. Altrettanto farà molto presto la Cecoslovacchia che certo non vuole vedere ripetere l'avventura dei Sudati. Più libera l'Ungheria ma vi sono anche qui popolazioni tedesche e poi una grande Germania preclude alla collaborazione con l'area austriaca e danubiana alla quale l'Ungheria punta come spazio vitale (vedi ad esempio il recente accordo politico-commerciale stipulato con Austria, Italia e Jugoslavia). Che dire poi delle repubbliche baltiche che presto dovranno ricordare di quante amorevoli attenzioni furono oggetto nel ventennio precedente alla seconda guerra mondiale da parte tedesca.
Allora meglio stimolare il cambiamento in Bulgaria prima che avvenga in modo spontaneo e aiutarlo in Romania costringendo la massoneria internazionale a scaricare Ceausescu, ormai non più utile quale oppositore della politica sovietica nell'area dei paesi comunisti neanche agli occidentali. Inoltre meglio che il cambiamento avvenga prima che si possa creare in questo paese un ceto politico di opposizione e che proprio nell'opposizione possa crescere la classe politica di ricambio a quella attuale, come è avvenuto in Polonia e Cecoslovacchia.
Se questo è - e lo è - il progetto politico complessivo gorbacioviano, è marginale guardare se questo o quel dirigente del passato regime era un ladro - forse che i governanti democristiani o socialisti del nostro paese lo sono meno? - o collezionava film pornografici e ville, oppure se il tale generale è o era amico dei russi, o ancora se il nuovo dirigente ha studiato in un certo periodo a Mosca. Sarebbe come dedurre dalla comune frequentazione di college inglesi o di università americane una congiura politica nei paesi occidentali poiché è scontato che chi voleva accedere a studi superiori nei paesi dell'Est europeo doveva e non poteva che recarsi a Mosca. E' dunque al progetto politico complessivo che occorre rivolgere la nostra attenzione.
AD EST SI RISTRUTTURA
Oggi l'URSS offre ai paesi della C.E.E. il mercato sovietico interno, costituito da 250 milioni di potenziali consumatori, ai quali vanno aggiunti i 100 milioni di paesi dell'Est europeo. Ma perché gli investimenti e i mercati siano sicuri c'è bisogno della stabilità politica dell'area centro-europea che solo la riconferma del ruolo egemonico dell'URSS può garantire. Una prima significativa conferma della validità di questa affermazione viene dalle richieste occidentali di intervento in Romania e dal ruolo svolto dall'URSS in quel paese per rendere possibile la caduta di Ceausescu e avviare là la ristrutturazione che lo riporti nell'ambito di un'area politicamente omogenea. L'URSS ottiene dunque un primo risultato che è quello di veder riconosciuto dagli avversari di sempre il suo ruolo rispetto ai paesi dell'Est europeo e, quel che è più importante, acquisisce la possibilità di dare in futuro sostegno strutturale al suo ruolo egemonico nell'area.
Ma perché la ristrutturazione avviata abbia concrete possibilità di successo occorre correlare l'economia dell'URSS e quella dei paesi dell'Est europeo con l'economia occidentale e per farlo Gorbaciov non può che porre fine all'anomalia costituita da quel che rimane della Russia post-rivoluzionaria. Perciò egli ha messo definitivamente in liquidazione la "terza via" leninista e l'esperienza russa ritorna nell'alveo della socialdemocrazia dalla quale in realtà non si era mai troppo allontanata.
Mentre in politica si sostiene il ritorno del parlamentarismo e dello stato di diritto, i grandi oligopoli, cresciuti sotto l'ombrello del GOSPLAN, importano non solo tecnologia ma anche sistemi di organizzazione aziendale e del lavoro al fine di rendere competitivi sul mercato i costi di produzione sovietici. Significativi accordi in tal senso sono stati presi anche in occasione del viaggio di Gorbaciov in Italia e riguardano tutti i settori, dall'industria di base alle infrastrutture. Accanto a questi gruppi che costituiscono e costituiranno anche in futuro la struttura portante dell'economia dell'URSS si tenta di far crescere l'iniziativa privata con il compito di sviluppare aziende di servizi , utilizzare sul mercato la ricerca tecnologica attraverso la produzione di beni di largo consumo. Questo dualismo di percorso caratterizza anche l'intervento in agricoltura dove accanto agli investimenti su vaste aree condotti anche in collaborazione con multinazionali alimentari occidentali (vedi ad esempio l'accordo con la FerruzziMontedison) si stimola la rinascita della media proprietà contadina e la formazione di cooperative.
Indubbiamente questa scelta costituisce una vittoria del modo di produzione capitalistico e segna un ripristino dell'organizzazione del lavoro e di valori che i proletari di tutto il mondo hanno sempre combattuto. Perciò nell'immediato al grande sconcerto di chi aveva visto nell'URSS il paese del socialismo reale si somma l'oggettivo rafforzamento del controllo delle multinazionali su scala planetaria.
Tuttavia occorre esaminare attentamente i possibili scenari che a livello internazionale si profilano per effetto di queste scelte.
I paesi CEE si presentano senza alcun dubbio come i maggiori beneficiari di questa politica. La RFT, in particolare, è destinata a veder aumentato il suo PIL entro il 1995 a livello pari di quello francese e inglese. I suoi maggiori investimenti si dirigeranno certamente verso le infrastrutture e l'apparato produttivo della RDT, rafforzando i legami economici tra i due paesi, al punto da attuare, nei fatti, la riunificazione. I paesi occidentali in genere volgeranno la loro attenzione al risanamento dei conti con l'estero dei paesi dell'Est per farne dei consumatori affidabili. Nell'area del Pacifico e sullo scacchiere mondiale resterà spazio per lo scontro sempre più aperto tra USA e Giappone e non vi è dubbio che assisteremo ad una crescita del debito dei paesi poveri nei quali certamente so ridurrà il volume degli investimenti dei paesi dell'OCSE per effetto del dirottamento dei capitali verso l'Europa centrale.
Il movimento operaio e i lavoratori dell'Europa occidentale potranno forse impostare lotte volte al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro in ragione della probabile costante crescita dell'economia, ma la loro azione a livello strategico non potrà che risentire della sfiducia che il fallimento, ormai provato, dell'esperienza leninista ha seminato. Non è anzi escluso che il capitalismo internazionale approfitti ancor più di quanto ha fatto fino ad oggi per stroncare ogni forma di opposizione organizzata. Gli stessi partiti socialdemocratici saranno spinti verso scelte di maggiore compatibilità con il sistema.
IL RUOLO DEI COMUNISTI ANARCHICI
Se per i militanti della lotta di classe è certamente importante capire costa sta avvenendo è certo ancora più importante mettere a punto una strategia sul che fare come comunisti anarchici. L'analisi prodotta, la sua discussione con i militanti della sinistra ci aiuta a fare chiarezza, a liquidare miti bolscevichi o tardo-leninisti residui. Vanno poste le basi per un grande confronto e dibattito ideologico per recuperare ad un progetto organizzativo che abbia alla base una comune analisi della realtà quei compagni che fino ad oggi hanno subito il mito del leninismo, e sono francamente tanti.
Bisogna continuare a sviluppare negli organismi di massa e fra i lavoratori sul posto di lavoro la nostra azione, sforzandoci di dare ad essa una dimensione e una portata strategica, elaborando concrete linee politiche alternative, dimostrando così l'attualità e la percorribilità dell'alternativa politica da noi proposta.
E' necessario sviluppare l'analisi teorica aggiornando le nostre elaborazioni soprattutto in relazione alla gestione della società futura e alla "fase di transizione", all'organizzazione economica e produttiva. Abbiamo appreso dalla storia che non vi è possibilità di cambiamento con successo se non si dà soluzione ai bisogni. La storia insegna infatti che proprio quando la crisi è più acuta e la soluzione dei problemi incerta si crea lo spazio per la reazione di inserirsi ed imporsi.
Occorre sviluppare una vasta azione di sostegno ai compagni che operano nei paesi dell'Est Europeo per aiutarli a ricostruire quella memoria storica cancellata da tanti anni di falsificazioni e di riscrittura della storia operata dalla controrivoluzione leninista. Da parte nostra dobbiamo intensificare l'impegno nella lotta di classe sforzandoci di dare un respiro strategico alla nostra azione di opposizione al capitalismo e alle multinazionali nella prospettiva di poter saldare le lotte dei compagni dell'Est e dell'Ovest con quelle che nel terzo mondo e ovunque si battono per una società libera dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Segreteria Nazionale della Federazione dei Comunisti Anarchici
(Da "Quaderni per la lotta di classe, n°3" - Ed. C.P., Lucca, aprile 1990.)