Organizzazione Comunista Libertaria di Livorno

 

Organizzazione Specifica e Organizzazione di Massa

Livorno, 1990

 

Premessa

Lavorare per la costruzione di una Organizzazione Comunista Libertaria a livello nazionale significa innanzitutto adoperarsi per definire la fisionomia politica attraverso la individuazione delle sue principali linee di demarcazione. Nostro compito in questa fase è quindi quello di avviare un serio confronto sugli elementi caratterizzanti la nostra politica, analizzando con un corretto approccio metodologico tutti gli aspetti di ordine strategico ed estendendo i temi del dibattito a quanti (organizzazioni e individualità) credono di riconoscersi nel progetto comunista libertario. Un progetto cioè che individua nel dualismo organizzativo un fondamentale strumento di strategia rivoluzionaria, per la cui definizione si rende necessario esaminare i seguenti aspetti:

  1. Natura e ruolo della Organizzazione di massa (di cui una sua componente è il Sindacato)
  2. Natura e ruolo dell’Organizzazione specifica
  3. Loro rapporto

Alcuni cenni storici

Il proletariato nel suo lungo cammino per l’emancipazione è riuscito a far valere la sua forza a partire dal luogo di lavoro. E’ stato dalle fabbriche, alle miniere e dai campi che sono partite le prime associazioni di lavoratori. E’ qui, dove più tangibile era lo sfruttamento, che i lavoratori si sono organizzati, prima in strutture limitate e corporative dal carattere prevalentemente assistenziale, poi in associazioni di mutuo soccorso, subito dopo in strutture, le leghe di resistenza, che intuirono l’impossibilità di battere lo sfruttamento padronale attraverso strutture di aiuto fabbrica per fabbrica, cogliendo la complessità della lotta per il miglioramento delle condizioni di vita. In queste strutture esisteva un connubio tra lotta per migliori condizioni economiche e lotta politica e ideale, ed è da queste organizzazioni che in seguito si avrà la formazione dei partiti e dei sindacati. L’evoluzione di queste strutture (partiti e sindacati) era inevitabile in quanto la classe, allora come ora, era profondamente divisa ideologicamente: esistevano al suo interno le correnti mazziniane, l’internazionalismo anarchico, le prime correnti socialiste e, non va dimenticato, l’enorme massa di operai totalmente spoliticizzati che risentivano fortemente l’influenza dell’ideologia dominante, sia di stampo aristocratico-feudale che della nascente borghesia. La situazione non permise la crescita e l’affermazione dell’Organizzazione Internazionale dei lavoratori come struttura di massa che sintetizzasse in sé la lotta economica e la lotta politica. Il Movimento Operaio non riuscì a darsi neppure uno strumento unitario di difesa e di lotta sul terreno economico.

Attacchi sempre più decisivi alla formazione della coscienza di classe vennero dalla II e III Internazionale.

La II Internazionale, riconoscendo uno stretto legame tra lotta politica e lotta economica, affermava la necessità di un rapporto preciso tra sindacati e partiti socialisti. Ma poneva i due livelli in due sfere di competenze rigidamente separate.

Il primo, il Sindacato, doveva rendere meno gravi i mali del capitalismo, mentre il secondo, il partito, attraverso la predicazione del socialismo e attraverso l’azione parlamentare, dischiudeva le porte all’avvento del socialismo, visto come sbocco meccanico ed inevitabile dei processi sociali ed economici.

La Terza Internazionale ripropone essenzialmente il ruolo del partito. L’azione rivoluzionaria non si produce se il partito si accoda al movimento economico aspettando che da questo scaturisca la coscienza socialista della classe operaia.

Per Lenin la lotta rivoluzionaria significa porsi il problema del potere e dello Stato e quindi delle alleanze.

Significa dunque sviluppo dell’iniziativa politica, possibile solo attraverso una profonda rivalutazione della teoria rivoluzionaria dalla coscienza socialista. Si viene quindi ad affermare il primato della politica e quindi del partito creando la famosa formula che definisce il sindacato “cinghia di trasmissione” tra il partito e le masse.

A completare questo velocissimo excursus storico non può mancare un accenno al sindacalismo rivoluzionario e all’anarcosindacalismo, che esercitarono una larga influenza nel Movimento Operaio e che ingiustamente vengono identificati.

Del sindacalismo rivoluzionario, con le sue teorie di violenza per la violenza, di bagni di sangue epuratori, ci interessa poco, se non per i danni che ha provocato alla formazione della coscienza di classe, e al di là del suo “rapporto” con l’affermarsi di una ideologia autoritaria, non riveste alcun carattere di attualità.

Diversa attenzione ha per noi l’esperienza anarcosindacalista e l’esperienza dei Consigli, che perlomeno nella fase storica in cui si svilupparono avevano una notevole affinità più con le concezioni libertarie proprie degli anarchici e degli anarcosindacalisti, che non con le concezioni stataliste proprie del socialismo riformista, del socialismo massimalista e del nascente movimento comunista internazionale.

In effetti nella teoria dei Consigli si possono ricondurre alcune formulazioni proprie del Movimento Anarchico: ad esempio la pratica dell’azione diretta, intesa soprattutto come partecipazione in prima persona alla organizzazione e alla lotta politico-sindacale; la federazione delle unità di produttori che si costituiscono liberamente; il problema del potere; il problema dell’instaurazione del socialismo, che sia per il Movimento Anarchico che per i Consigli non sarà atto burocratico, “necessaria conquista del potere politico e dello Stato”, come sostengono tutti i partiti di estrazione marxista-leninista, ma un reale processo di trasformazione nascente dal basso che espropria il potere statale a partire dalla produzione e dalla organizzazione sociale.

L’esperienza dei Consigli affina ulteriormente gli strumenti teorici per molti versi assenti nell’elaborazione anarchica, sfrondandola dei residui romantico-utopistici; inoltre delineandosi come struttura di gestione sia della produzione che della società e dandosi gli strumenti adatti per questi compiti, i Consigli dimostrarono di comprendere la complessità della trasformazione rivoluzionaria; comprensione che di fatto risulta assente in chi ha come mito la “conquista del potere politico”, la “dittatura del proletariato” e lo “Stato operaio”.

Organizzazione di Massa

L’Organizzazione di Massa è in ultima istanza il soggetto rivoluzionario, essa infatti rappresenta l’organizzazione generale ed unitaria di tutta la classe, ed è il nesso attraverso il quale la classe si appropria di tutti gli strumenti di gestione della società decretando di fatto la liquidazione del potere statale.

Affermare questo non significa dimenticare che la borghesia ha nello Stato e nel suo apparato militare il più tenace difensore, ma questo non basta a convincerci della necessità dell’intervento dell’organizzazione specifica. Né per conquistare il potere, come sostengono i marxisti, né per distruggere il meccanismo di “coazione e di sanzione” rappresentato dallo Stato.

In pratica, da un lato si continua a non aver fiducia nelle capacità di auto-organizzazione della classe, per cui si ricorre a strumenti, l’Organizzazione Specifica, che agendo in tal modo di pone all’esterno e al di sopra della classe; dall’altro non si avverte la vastità dei rivolgimenti che anche all’interno dell’apparato statale, sia burocratico che militare, avvia un processo di trasformazione sociale che passa attraverso l’esproprio dei mezzi di produzione. Inoltre bisogna ricordare che l’Organizzazione di Massa non rappresenta solo la struttura organizzativa dei lavoratori in quanto tali, infatti il proletariato presenta una vastità di aggregazioni sociali e culturali che determinano una varietà di organizzazioni nel sociale e nel territorio; ancor di più l’Organizzazione di Massa non unifica esclusivamente i lavoratori e il proletariato, ma deve rappresentare una esigenza più vasta di unità, collegando al Movimento Operaio tutti quegli organismi che esprimono realtà e richieste di trasformazione sociale. Una Organizzazione di Massa all’interno della quale agiscono, su un terreno di assoluta parità e coordinati fra loro, tutti i movimenti anticapitalisti.

L’Organizzazione di Massa rappresenta il punto di arrivo primario nello sviluppo della coscienza di classe e il punto più elevato dello sviluppo e del determinarsi del superamento di tutte quelle strutture che il proletariato e gli altri movimenti si sono dati: sindacati, associazioni, circoli, ecc., che hanno come dato oggettivo di partenza per i propri organizzati, esclusivamente la coscienza del proprio stato.

Pertanto è l’auto-organizzazione delle masse ad essere il soggetto principale nel processo di trasformazione sociale, deve cioè essere il soggetto che fa propria e contemporaneamente arricchisce e definisce ulteriormente la strategia e la teoria rivoluzionaria, questo perché per l’Organizzazione di Massa la strategia e la teoria non rappresentano un fatto intellettuale, ma pratica rivoluzionaria.

Il Sindacato

Le organizzazioni dei lavoratori rappresentano da sempre una importante e fondamentale componente del movimento di massa, ricoprendo nella dinamica dello scontro di classe il ruolo predominante di tutela e difesa economica del proletariato. Sin dal suo nascere, comunque, il Sindacato, a causa del suo rapporto ombelicale con le direzioni politiche dei partiti della sinistra storica, ha cercato di conciliare la lotta economica con le velleità politico-istituzionali del riformismo. La storia del movimento sindacale è quindi anche la storia delle sue oscillazioni fra queste due tendenze, la cui prevalenza dell’una sull’altra ha di volta in volta dato spazio a corporativismi e a collaborazionismi di classe. Il Sindacato degli anni ’90 ha decisamente imboccato la strada della subalternità alle esigenze del capitale attraverso la proposizione di strategie cogestive e interclassiste, mostrando così tutta la sua incapacità a contrastare processi quali: la ristrutturazione ed il progressivo decentramento produttivo generatore di disoccupazione, lavoro nero e divisione fra i lavoratori; l’attacco generalizzato alle condizioni di vita della classe operaia; il ristabilimento dell’ordine padronale dentro e fuori il posto di lavoro. Ci troviamo di fronte cioè ad un organismo sindacale non più velleitariamente ed utopisticamente riformista (vedi sindacato anni ’70), bensì saldamente ancorato ai capisaldi istituzionali dell’apparato statale e borghese.

Nostro compito in questa fase deve perciò essere quello di mobilitare tutte quelle forze teorico-progettuali e strategico-organizzative che ci consentano di sviluppare un intervento politico sul terreno del lavoro che svincoli la classe lavoratrice dalla logica perdente del Sindacato. Lo sforzo dei comunisti libertari deve quindi essere teso alla costruzione di momenti di auto-organizzazione della classe, a partire dalla rinascita delle realtà consiliari (di fabbrica, di zona, di quartiere). Operare questo sforzo significa dare una caratterizzazione di classe alla presenza dei militanti comunisti libertari all’interno del movimento sindacale; significa in ultima analisi ridare al movimento sindacale quel ruolo di organizzazione di massa, sede privilegiata di sviluppo del dibattito politico.

Organizzazione Specifica

Se da un lato non riconosciamo la separatezza fra lotta economica e lotta politica, dall’altro riteniamo non meccanica l’acquisizione della coscienza di classe dallo sviluppo della lotta economica.

Da ciò deriva il compito fondamentale per i comunisti-libertari e per la loro organizzazione politica: fornire alla classe (non crediamo all’organizzazione politica unica della classe; la classe attraverso l’Organizzazione di Massa ha momenti propri di elaborazione), o meglio, contribuire a fornire alla classe tutti gli strumenti per l’analisi dello sviluppo economico e sociale, fornendo contemporaneamente la chiave interpretativa per definire la strategia e la teoria rivoluzionaria.

Nessun compito politico dunque per l’Organizzazione Specifica nei confronti dello Stato: né quello del graduale cambiamento, né quello della conquista, né quello di liquidarlo.
Il dualismo organizzativo rappresenta quindi per noi comunisti libertari lo strumento strategico più idoneo a rendere percorribile la strada della costruzione di una società senza classi. Più idoneo in quanto garantisce attraverso la dialetticità del rapporto fra le due istanze il controllo popolare in un processo di auto-emancipazione che tenga lontano qualsiasi tentativo di egemonia dell’organizzazione politica.

Livorno, 1990

(Dal Bollettino Interno della FdCA, n°40 del dicembre 1990)