Convegno sui "Contratti"

Cremona, 20 giugno 1982

Organizzato dall'ORA-Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica e dal PAI-Partito Anarchico Italiano

 

Intervento di Franco Salomone

Ogni ipotesi di intervento nel mondo del lavoro deve, innanzitutto, avere chiaro una serie di fattori che caratterizzano lo sviluppo del quadro generale economico e politico.

All'interno del processo produttivo è in atto una sorte di rivoluzione tecnologica che sta preannunciando la civiltà dei calcolatori, della robotica, della telematica, con la relativa scomparsa e cancellazione di interi settori produttivi, a cui assisteremo nel prossimo decennio. Tutto ciò comporta la necessità di rinnovare gli impianti obsoleti e di dare nuovo sviluppo alla ricerca ed alla formazione di nuove professionalità.

A livello politico siamo in presenza di una serie di tensioni internazionali in Sud America, in Medio Oriente, in Polonia, che determinano dei contraccolpi sui tradizionali equilibri ed alleanze economiche e politiche (in un mondo con una domanda calante ed una competitività crescente), favorendo il riemergere di nazionalismi nuovi e protezionismi.

Così anche l'impresa europea non affronta con una politica unitaria i livelli competitivi delle tecnologie giapponesi e statunitensi, non combatte come impresa europea, ma come Italia, Francia, Germania, ognuno per proprio conto. Lo SME è in crisi, come dimostrano le continue svalutazioni ed allineamenti delle parità monetarie, così come appare in crisi la libera circolazione di merci e capitali (vedi vino e mobili).

Sul piano sociale la diffusione di tecnologia avanzata, che impone modifiche radicali degli impianti che invecchiano con velocità sempre più grande, determina il progressivo sviluppo del fenomeno della disoccupazione giunto ormai a livelli ragguardevoli.

Il confronto internazionale impone alle imprese la riduzione dei costi di produzione e l'aumento della produttività: mentre si richiede la creazione di un nuovo terziario "intelligente", appare sempre più difficile, nella aree ad industrializzazione più avanzata, la creazione di nuovi posti di lavoro e la difesa di quelli esistenti.

Da questi tre dati, la ristrutturazione tecnologica / la modificazione degli equilibri internazionali / il ridimensionamento della struttura occupazionale, deriva un'evidente necessità di trasformazione dello Stato, che da assistenziale deve divenire Stato industriale moderno.

Due sono i fattori essenziali su cui fa perno questa trasformazione:

La creazione e l'uso delle risorse in Italia risente pesantemente della crisi del settore pubblico che vede un contraddittorio fenomeno di distribuzione crescente in una fase di risorse calanti.

Ciò incide direttamente su 4 aspetti:

  1. il rifinanziamento delle imprese (nel senso di trasferimento di risorse);
  2. la gestione dei servizi di base (trasporti, telecomunicazioni, energia in rapporto all'industria, che sono pubblici e quindi in mano ai partiti);
  3. l'efficienza dell'industria di Stato (vedi l'attuale lotta per la trasformazione delle partecipazioni statali);
  4. il sistema delle garanzie sociali (è saltato il meccanismo dei prezzi politici - si intende, oggi, comprimere le spese sanitarie, assistenziali e previdenziali).

L'assetto istituzionale a sua volta non marcia con i tempi del mondo industrializzato. C'è la necessità di accorciare i tempi delle decisioni (delle leggi) e sempre di più si parla di riforma istituzionale, intesa come: rafforzamento del governo in senso politico-amministrativo; razionalizzazione del Parlamento; definizione più puntuale delle autonomie locali; responsabilità personale dei pubblici funzionari.

Tutto ciò viene finalizzato allo sviluppo dell'industria, alla priorità degli investimenti sui consumi, alla efficienza dei grandi sistemi (pubblica amministrazione, credito, distribuzione, servizi sociali, scuola).

Il raffronto di questo quadro permette di definire più puntualmente alcuni connotati della "crisi".

Siamo in presenza di una crisi sociale ed economica che proietta i suoi effetti su tutto un ciclo che andrà dispiegandosi nel prossimo futuro. I disoccupati sono oggi più di 2 milioni (più degli abitanti di Milano) ed i giovani che entreranno sul mercato del lavoro alla ricerca di un inesistente sbocco occupazionale, nei prossimi anni, saranno oltre mezzo milione (300mila le donne).

Il tasso di inflazione è, in Italia, da 2 a 3 volte superiore a quello dei paesi a capitalismo avanzato e la stretta creditizia in atto continua a mantenere il costo del denaro ad un livello elevatissimo.

Il risparmio si dirige verso i beni rifugio (casa) e verso i titoli di Stato. Le perdite economiche delle Partecipazioni Statali sono in incremento mentre ad ogni accenno di ripresa produttiva aumentano pesantemente il deficit della bilancia dei pagamenti e commerciale.

Inflazione, stagnazione degli investimenti, mancanza di politiche energetiche e di ricerca, disoccupazione crescente (che ci toglie sempre più potere di classe): sono questi i problemi sul tappeto, rispetto ai quali nulla è stato fatto per limitarne la portata.

Il governo Spadolini, che aveva programmato la strategia sulle 4 emergenze, in realtà si è mosso unicamente contro i lavoratori. Le Organizzazioni Padronali, dal canto loro, disdettando l'accordo del '75 sulla scala mobile e rifiutandosi di aprire la discussione sui rinnovi contrattuali, nonostante siano già andate a buon fine per le loro grosse operazioni di ristrutturazione aziendali, la legge sulle liquidazioni, l'enorme fiscalizzazione degli oneri sociali, dimostrano di voler proseguire sulla strada della rivincita anti-operaia.

Le Confederazioni Sindacali dimostrano ancora una volta di non essere all'altezza dello scontro, sempre più occupate nelle liti fra di loro, liti che rispecchiano fedelmente la loro dipendenza dai partiti politici tesi alla conquista di un Esecutivo chiacchierone ed inconcludente (che ha impiegato oltre 7 mesi a varare una legge finanziaria e che aveva previsto di contenere il deficit pubblico nel ridicolo tetto dei 50.000 miliardi, ormai sfondato e galoppante, alla faccia del contenimento programmato dell'inflazione al 16%, verso i 65.000 - 70.000 miliardi).

Il governo continua a confermare pienamente la propria linea di pesanti tagli alla spesa pubblica, che determinano uno scadimento della qualità della vita (tickets - compressione delle spese previdenziali) soprattutto per gli strati meno abbienti e più bisognosi, alimentando il dissesto dell'INPS (nonostante il rilancio del piano quadriennale di ristrutturazione), oggi amministrata in prevalenza dalle Confederazioni Sindacali (Ravenna ne è il presidente).

In fondo sugli "investimenti ed occupazione" previsto dalle legge finanziaria, servirà solamente a ripianare le perdite di aziende in crisi, senza cogliere nessuno degli obiettivi che si era posta (le legge stessa si è ridotta a comprendere 15 articoli dei 90 con cui era stata inizialmente elaborata).

In questo quadro di compatibilità stabilite le vertenze contrattuali si dovrebbero muovere, contenendo nel famigerato tetto del 16% tutte le componenti del costo del lavoro (dirette, indirette, differite) e, quindi, comprendenti la scala mobile, la liquidazione, gli automatismi esistenti, la riduzione dell'orario, gli aumenti sui livelli, le riparametrazioni sulle professionalità emergenti.

I margini di contrattazione, come si poteva prevedere, sono quindi scarsi: ciò nonostante le Confederazioni Sindacali hanno firmato, il 28 giugno 1981, il famigerato patto anti-inflazione con Governo ed Organizzazioni Padronali, il cui effetto è quello di comprimere ulteriormente il costo del lavoro (tema su cui hanno litigato per 11 mesi le Confederazioni), per spostare ulteriori riserve dai lavoratori al profitto.


(Tratto da: "Aspettando..." n°5, bollettino dei comunisti libertari liguri, Genova, settembre 1982. Documento originale presso il Centro di Documentazione Franco Salomone, Fano.)