F.d.C.A.
62° CONSIGLIO dei DELEGATI
Pesaro, 4 giugno 2006

La metà di niente

 

In questi giorni di nuovo governo e di anniversari si moltiplicano discorsi retorici sul ruolo delle donne nella vita politica e sociale italiana. Ricorrono 60 anni dal voto alle donne e tra tante ipocrite voci imbarazzate per la miseria della rappresentanza delle donne in questo nuovo governo "progressista" spetta certamente a noi anarchiche fare un po' di chiarezza su quello che è la presenza pubblica delle donne in questo paese. Le elezioni amministrative nelle grandi città hanno eletto ai consigli comunali, quindi al governo delle amministrazioni, pochissime donne (a Milano 10 su 60 eletti in tutto, a Torino 8, a Roma 5, a Napoli 0). Perché? Questi dati non sono che l'immagine più appariscente ma anche più vuota di una realtà sociale desolante. La rappresentanza politica è legata, come il voto, ad un meccanismo di trasferimento di responsabilità individuale e collettiva su qualcun'altro che avrebbe il compito di lavorare per l'interesse di tutti, e su questa delega si fonda una delle più grandi mistificazioni della democrazia borghese. Le donne sono socializzate sin da piccole a rinunciare a gestire la propria indipendenza e la propria responsabilità, se non nei ruoli biologici che sono loro accordati da una società profondamente patriarcale che culturalmente si sposta sempre più a destra. Pertanto l'immagine del potere politico è sempre maschile e la figura dell'eletta (quando c'è) non coincide con quella della donna libera e responsabile, ma con quella della madre di famiglia: per questo alle donne vengono solo affidati ministeri di cura.
Il dibattito sulla "rappresentanza" politica delle donne o sulle "quote" è vuoto ed inutile perché in un paese dove culturalmente si inneggia alla figura della madre biologica o simbolica come riferimento massimo per il femminile, il posto delle donne è la casa, il privato e non il pubblico.

Intanto si fanno leggi che penalizzano la possibilità di superare il solo ruolo materno delle donne, come l'affido congiunto che solo apparentemente sembra responsabilizzare i padri ma in realtà sta già togliendo per legge il sostegno economico alle donne che devono accollarsi la crescita dei figli. Se consideriamo, inoltre, che la parità salariale è solo una lettera morta e inapplicata, che le donne non raggiungono mai o quasi mai i gradini di dirigenza nel privato e nel pubblico (a meno che non siano mogli o madri o sorelle di), e che le tanto vantate politiche di conciliazione tra vita privata e vita pubblica si risolvono spesso con il caldeggiare il part-time, il quadro è già evidente.

Così le donne rappresentano le nuove povere, soprattutto se sole perché sono anche prive degli ammortizzatori sociali in quanto l'welfare è impiantato soprattutto sul sostegno alle famiglie.

E ciò è ancora peggiorato dalla violenza della legge 30/2003. La precarietà inserita da questa legge provoca il degrado della qualità della vita dei lavoratori e delle lavoratrici giovani, di coloro che perdono un lavoro a tempo indeterminato e diventano flessibili, insomma di tutti i nuovi poor workers, coloro che pur lavorando sono poveri e che sono soprattutto e sempre di più donne.

Noi comuniste anarchiche denunciamo l'indifferenza e il silenzio su tutte quelle politiche di welfare che impoveriscono le donne e le rendono meno libere, silenzio che appartiene anche a tutti i partiti della sinistra di governo e a molta parte del sindacato che non tutela il salario delle donne, perché spesso escluse dai benefici della contrattazione decentrata basati essenzialmente sulla produttività e sull'incremento dei ritmi di lavoro. 

Denunciamo la banalità di ogni discorso sulla rappresentanza politica e sulle quote o sul voto delle donne perché sappiamo che non è mai stato questo, e mai sarà questo, il tema che porterà le donne ad una piena cittadinanza e ad una piena libertà sociale in una società migliore dove non ci sia riservata che la metà di niente.

Federazione dei Comunisti Anarchici
62° CONSIGLIO dei DELEGATI
Pesaro, 4 giugno 2006