Le donne e la costituzione europea 

Un passo in più nel consolidamento di vecchie diseguaglianze

 

La prima cosa che richiama l’attenzione del testo costituzionale è l’insistenza nel proclamare la sua nascita grazie alla volontà dei cittadini. Sembra come se tutte e tutti avessimo occupato le strade per chiedere ad alta voce ai nostri governanti una Costituzione.

Niente di più lontano dalla realtà. Dalla sua nascita la UE è stata un progetto vincolato agli interessi del capitale produttivo e finanziario. Il suo obbiettivo non è mai stato di migliorare le condizioni di vita delle persone, anche se i redattori del testo si sforzano di affermarlo. Sicuramente la "carta magna" ha chiaramente lo stampo economico neo-liberale, 
che è in maniera speciale lesivo verso le donne. Oltre alla retorica sbandierata sul trattamento dell'"Uguaglianza" o la "violenza domestica", le politiche che la Costituzione pretende legittimare rappresentano per le donne la precarizzazione della vita, un taglio drastico delle libertà, l’aumento delle diseguaglianze e una garanzia di continuità per una organizzazione sociale patriarcale. Siamo coscienti della complessità che si ha nell’abbordare questi argomenti, però dato il limite di questa pubblicazione, cercheremo di concentrarsi sugli aspetti che riteniamo più importanti.

La Costituzione Europea (CEu) riconosce ai cittadini dell’Unione "la libertà di trovare un impiego e lavorare" (Art II-75). Da un lato, questa affermazione ignora che le donne non accedono al lavoro da una situazione egalitaria rispetto agli uomini. Dall’altro, permette di occultare e nascondere tutto il lavoro domestico e di cura che realizziamo quasi in esclusivamente noi donne e che è assolutamente necessario perché la società funzioni. In quanto all’impiego, siamo il gruppo che subisce di più la disoccupazione, la precarietà e i salari più bassi. Si può dire che in Europa la povertà e la esclusione sociale sono 
fondamentalmente femminili. La CEu senza dubbio permetterà l’aggravarsi di questa situazione aumentando la divisione sessuale del lavoro che storicamente esiste nell’UE, i tagli allo stato sociale che derivano dalla sua applicazione, distruggeranno l’impiego pubblico nei settori (servizi) di cui noi abbiamo più bisogno.

La Carta Magna da "la libertà, senza nessun tipo di gabbia, al funzionamento del mercato" (Art. III-177 e 178), ciò suppone che i sistemi di protezione e i servizi sociali, come le pensioni, l’educazione e la sanità, funzioneranno sotto la logica del profitto privato. L’accesso a questi servizi quindi dipenderà dal potere acquisito individualmente perdendo il suo carattere di universalità. Lo stato così si sbarazza dei gruppi meno abbienti, tra cui le donne. In più l’aumento delle spese militari previsto nella CEu (Art. I-41.3) contribuirà al taglio delle spese sociali facendo aumentare la non-protezione sociale. La necessità di nascondere queste necessità (la gente comunque continuerà a nascere, ammalarsi e invecchiare) avrà delle ripercussioni sempre più gravi sulle famiglie. Certo non è una contraddizione per loro avere nella Costituzione il diritto a contrarre matrimonio e fondare una famiglia come base dell’organizzazione sociale (Art. II.69). Probabilmente, in un futuro non molto lontano, si imporrà ai nuclei familiari la responsabilità di gestire e soddisfare da soli le necessità che adesso, più o meno bene, ricoprono gli stati. La logica della cura e del benessere umano è sempre stata in contraddizione con la logica del mercato. Il taglio delle prestazioni sociali, colpirà in pieno le donne che si ritrovano a ricoprire ruoli che socialmente ci sono assegnati dentro e fuori dell’ambito familiare.

La CEu è una chiara minaccia ai diritti sociali conquistati in Europa nelle ultime decadi. Lo "Stato di benessere" si riduce proprio nei punti in cui si era sviluppato. Questa regressione calcolata e l’individualismo sociale, mette in pericolo le conquiste fatte dal movimento femminista nello spazio europeo, maggiormente se teniamo in conto le difficoltà reali delle donne nell’esercitare i diritti individuali come il divorzio e l’aborto.

L’"uguaglianza formale" che apparentemente funziona negli stati dell’Unione, impedisce molte volte di percepire la relazione di potere che si stabilisce su di noi e che per esempio si manifesta nella scarsa partecipazione delle donne nella vita pubblica, l’insufficiente autonomia economica e la mancanza di riconoscimento sociale delle attività che ci sono assegnate culturalmente.

Una delle manifestazioni più chiare di questa realtà la vediamo nella violenza maschile. Questa costituisce uno dei problemi più gravi che ci sono nell’UE (più del 20% delle donne in Europa soffre o ha sofferto di qualche maltrattamento al meno una volta nella vita). Senza dubbio la Costituzione non tratta delle cause di detta violenza, di fatto la tratta come violenza domestica. Si limita a considerarci vittime, soggetti deboli bisognosi di appoggio e "mezzi di protezione" (dichiarazione relativa all’Art. III-116). Questa retorica costituzionale unita alla "Non discriminazione sessuale" entrano in contraddizione quando si parla poi di un’Europa più militarizzata e si rafforza la struttura famigliare. Se la prima da forza ai valori del machismo e la soluzione violenta dei conflitti, la seconda costituisce il luogo in cui le donne incontrano più spesso morte e aggressione.

In contrapposizione al diritto al matrimonio no c’è il diritto al lavoro. Ma si ha una menzione fatta apposta che permette a Malta di mantenere il divieto di aborto, inclusa prima di possibili modificazioni del testo costituzionale (Protocollo n° 7). In tutti gli stati dell’Unione esistono mezzi di restrizione del diritto all’aborto. Però in alcuni come la Polonia o l’Irlanda questi mezzi impediscono di fatto la sua pratica. Il Protocollo n° 7 della CEu, suppone inoltre una referenza legale nefasta, una negazione espressa del diritto delle donne di decidere sulla nostra sessualità e sulla maternità. Dall’altro canto la vulnerabilità dei diritti umani e delle libertà che concerne soprattutto i gruppi più stigmatizzati e deboli come le prostitute o le donne immigrate sarà rinforzata con la CEu. La cittadinanza nell’UE sembra associata alla nazionalità di uno stato membro (Art. I.10). Questo implica, per esempio, che una persona immigrata, che non viene riconosciuta come cittadina, non avrà ad esempio il diritto di "libertà di cercare lavoro". Ciò peggiorerà ancora di più le condizioni di lavoro delle donne immigrate in Europa (impieghi precari al massimo sfruttamento).

La libertà di cui godranno i capitali e la circolazione delle merci non potranno essere sfruttate dalle persone. Il concetto di cittadinanza quindi resta ridotto alle funzioni di elettrici e consumatrici. I diritti più elementari sarebbero già vietati se nonché la Unione aderisce al Convegno Europeo per la Protezione dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali quando non modifichino le competenze dell’Unione che si definiscono nella Costituzione (Art. I-9). Non bisogna dimenticare che gli stati agiranno secondo il principio di un’economia di libero mercato e di libera competizione (Art. III-178). Cioè si devono eliminare tutto ciò che da fastidio al buon funzionamento del mercato. Ci sembra molto importante ribadire il fatto che le rivendicazioni femministe non vanno d’accordo con gli obiettivi dell’Unione.

Ma forse uno degli aspetti più sorprendenti della CEu è il trattamento che da alle chiese. Per nostra grande sorpresa e stupore nell’articolo I.52 si stabilisce senza dubbi che "Riconoscendo l’identità e il contributo specifico, l‘Unione mantiene un dialogo aperto, trasparente e regolare con tali chiese e organizzazioni". Già nel Preambolo della carta figura il riconoscimento del "patrimonio spirituale e morale europeo" . Un patrimonio che nella storia del continente si avvale già di un gran saldo di morti e torture in nome di guerre religiose, crudeltà e roghi. secondo l’Art. I-52, "L’Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui godono negli Stati membri, in virtù del diritto nazionale, le chiese e le associazione e le comunità religiose". Non è quindi importante considerare il fatto che queste possano ledere i diritti umani o i diritti delle donne. Si esclude il principio di laicità della giurisdizione europea. Al contrario si pretende istituzionalizzare la ingerenza delle chiese nelle questioni pubbliche, ponendole allo stesso livello delle organizzazioni rappresentanti la società civile. (Art.I-47).

Per le donne questo significa un chiarissimo attentato contro il diritto di decidere della nostra vita, l’uguaglianza fra i sessi, il divorzio, l’aborto, gli anticoncezionali (incluso il preservativo nella lotta contro l’AIDS), i diritti degli omosessuali e delle lesbiche, in definitiva è una regressione grottesca delle libertà conquistate dal movimento femminista e dagli altri movimenti sociali. Poi non bisogna dimenticare che la gerarchia ecclesiastica cattolica, fortemente fondamentalista, giustifica senza ambiguità la sottomissione delle donne agli uomini come qualcosa di naturale. Accettare che queste istituzioni religiose siano legittimate nell’interferire nella vita pubblica, è un affronto ai più elementari principi di uguaglianza e laicità.

In definitiva, La Costituzione rappresenta la norma giuridica che serve al progetto europeo per rafforzare le sua posizione attuale. Pretende di legittimarsi "in nome dei cittadini e Stati d’Europa" e dare così semaforo verde alla consolidazione di un sistema sociale e politico che garantisce il beneficio economico e l’accumulazione del capitale, tutto ciò retto dalla logica suprema della competitività. Da questo punto di vista si sente la difesa ad oltranza delle istituzioni e dei valori che perpetuano la subordinazione delle donne agli uomini, dato che questo è perfettamente funzionale ai suoi propositi.

D’altro lato, vista la retorica impiegata, la CEu minaccia molto seriamente le conquiste sociali e individuali delle donne.

Non ci sono dubbi sulla gravità delle politiche che la CEu pretende di portare a termine. Però, a parte il rifiuto che abbiamo da un punto di vista femminista nei confronti della Costituzione, crediamo che lo sviluppo di questo Progetto non avrà vita facile. Ci riferiamo non solo al problema della legittimità che accompagna la CEu, ma anche alle resistenze di differente sorta che provoca, anche nelle donne. La politicizzazione che abbiamo appreso nel campo privato e il montare dei conflitti già esistenti nelle società e nelle famiglie per ciò che riguarda il lavoro e il diritto al tempo libero e lo sviluppo personale, servirà solo ad aumentare il senso di rifiuto e la contestazione contro questo Progetto. Non in vano il femminismo è ed è stato un movimento ben radicato socialmente in Europa. 

 

Ana Hernando e Luisa Acevedo (Assemblea Femminista di Madrid)

 


Articolo comparso in LIBRE PENSAMIENTO, aprile 2005

Traduzione a cura di Zilvia