Chiesa e Stato insieme contro la libertà delle donne
sul referendum sulla Legge 40
Era un pasticciaccio questa faccenda dei Referendum per la parziale abrogazione della legge 40 del 2004, quella che si riferisce alla Procreazione Medicalmente Assistita.
Ora, la Corte Costituzionale ha deciso e, come temevamo, non esiste più la possibilità di cancellare completamente questa legge, proibizionista e integralista tutta votata a vietare e ad impedire, a decidere sul corpo delle donne, a delimitare e limitare il principio dell’autodeterminazione femminile.
Coloro i quali manifestano sollievo per la fine di un fantomatico far-west riproduttivo in cui, senza regole, il desiderio femminile di maternità suscitava scandalo, e preferiscono una brutta legge a nessuna legge, non dicono che quello che conta per loro, ed è sancito da questa legge, è ricacciare tutte le donne in un regime di minorità e di tutela. Non dicono inoltre che quello che conta sono i principi sanciti dalla legge e non la loro effettiva applicazione, molto difficile in un’Europa senza frontiere in cui solo la capacità economica di spostarsi fa la differenza tra chi può e chi invece rimane bloccato dalla normativa liberticida italiana.
L’eventuale vittoria del primo quesito referendario (presentato solo da 12 parlamentari, tutte donne), che chiede di abrogare l’articolo che contrappone al diritto della donna il diritto dell’embrione, consentirebbe di evitare un conflitto gravissimo tra diritto della donna e diritto dell’eventuale figlio, bloccando quello che per ora è un puntello posto contro la legge 194.
La vittoria ai tre quesiti restanti, condivisi dalla sinistra moderata e dai laici della maggioranza così come dalle lobby mediche e dalle associazioni che si battono per la ricerca genetica, non potrebbe che cercare di mitigare gli effetti più mostruosi della legge, quelli che nei fatti la rendono ingestibile e indigeribile.
Forse ancora prima che a tutela della libertà della scelta e a protezione della salute delle donne alcuni di essi vanno a tutelare la categoria medica e la lobby della ricerca farmacologica delle industrie che offrono a pagamento servizi alla salute della persona.
La richiesta di tutela della salute fisica e psichica delle donne, che possono scegliere di accedere alle tecniche di fecondazione assistita, non maschera la percezione di trovarsi di fronte a un ricatto odioso: quello di cedere i diritti di tutte per poter, almeno, garantire la salute di alcune/i.
Riteniamo infatti che, anche vincendo i 4 referendum parzialmente abrogativi, questa legge continuerà a limitare la libertà personale. Infatti vietando l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita a soggetti diversi da coppie eterosessuali, questa legge continuerà a violare il diritto alla salute andando pesantemente contro la definizione di malattia data all’infertilità dall’OMS, e impedirà l’autodeterminazione negando la libertà di maternità assistita a tutte le donne, indipendentemente dalle loro scelte sessuali e affettive. La schedatura prenatale dei nati con tecniche di fecondazione assistita, che rimarrà prevista dal testo della legge, contribuisce a mantenere alta la preoccupazione sulla gravità di questa normativa.
La definizione di regole attorno alla PMA e alla ricerca genetica non può passare per una legge imposta dallo Stato, frutto di compromessi reciproci tra preti e medici, ma semmai essere determinata dalle pratiche di condivisione maturate nel settore dei centri dove si svolgono interventi di fecondazione assistita, deve garantire una pluralità di indirizzi e una concezione laica e rispettosa delle scelte riproduttive, individuali e di relazione di ciascuna/o di noi.
Come dimostra l’esperienza italiana in relazione all’aborto, le regole imposte come leggi dall’alto e non condivise, sono disattese anche a costo di pesantissimi prezzi pagati individualmente da chi ritiene, con ragione, di dover scegliere per sé e per la propria vita. Se le donne non hanno per il momento saputo esprimere, come già in altri momenti della storia recente, una chiara e netta opposizione, non per questo sono inconsapevoli dei pericoli che questa legge, sia pure edulcorata nei suoi aspetti peggiori, presenta.
Perciò, se l’azione immediata non può che essere quella di rispondere positivamente all’appello referendario, consapevoli del gioco al ribasso condotto ancora una volta dalla politica istituzionale sulla nostra libertà, restiamo con la consapevolezza che la parola definitiva debba venire dalla costruzione di una condivisione dal basso, che parta dalle relazioni e rimetta in discussione la necessità stessa di una legge che pretende di decidere della nostra vita e che limita i nostri diritti, in primis quello dell’uguaglianza e della salute delle donne e degli uomini.
Consiglio dei delegati della
FEDERAZIONE DEI COMUNISTI ANARCHICI
Firenze, 29.01.2005