Gli anarchici e la libertà religiosa



CONTRO L’USO POLITICO DEL CROCIFISSO

Il dibattito in corso sull’esposizione del crocefisso pare sempre più poco legata alla religione, alla religiosità e alla fede (come sembrano credere anche gli editorialisti della Civiltà Cattolica, 5 gennaio 2002) e invece strumentalmente utilizzata da alcuni politici di destra e di sinistra per marcare il territorio, per dare alle popolazioni che rappresentano un segnale di identità a fronte del venir meno o dell’inesistenza di questa.

Però la delibera della Provincia di Verona che dispone l’acquisto con denaro pubblico di mille crocefissi da affiggere nelle scuole e altre delibere di Comuni, soprattutto del Nord- Est, di analogo contenuto hanno reso opportune alcune considerazioni. 

Rilevo preliminarmente che quasi tutti gli interventi finora letti sembrano dettati dal bisogno di trovare motivazioni “più profonde”, filosofiche, etiche, storiche a tale pratica, rifuggendo dall’approfondire le ragioni tecnico-giuridiche che imporrebbero o giustificherebbero questa prassi, ad eccezione dell’amico e collega Coppola che cita le norme che tale possibilità prevedono. (su queste norme mi riservo di tornare in seguito). Chi persegue questa linea usa argomentare che la presenza del crocefisso discenderebbe logicamente dal fatto che tale simbolo religioso fa parte del “patrimonio storico del popolo italiano”. E pertanto posto che l’affermazione che “il cattolicesimo fa parte del patrimonio storico del popolo italiano,” è parte dell’accordo concordatario si avrebbe una copertura concordataria e quindi costituzionale a tale pratica.

Mi limito a constatare che una tale affermazione utilizza un numero notevole di sillogismi e procede per affermazioni successive, in realtà confliggendo con altri valori giuridicamente tutelati, come hanno fatto notare altri prima di me – da ultimo Ceccanti nel suo intervento – ribadendo il valore “supercostituzionale” del principio di laicità.

Eppure è il caso di richiamare l’attenzione su altri aspetti del problema. 

Oggi – e non ieri – la presenza del crocefisso nelle aule scolastiche, giudiziarie, negli ospedali e negli uffici pubblici offenderebbe il pluralismo religioso e la sensibilità di altri, appartenenti a fedi diverse da quella cristiana.

E’ mia opinione che chi come la maestra di La Spezia ha rimosso il crocefisso dalle aule scolastiche o da uffici e locali pubblici con tale motivazione ha una visione errata e limitata della libertà religiosa e di coscienza e dello stesso principio di laicità dello Stato. Non è infatti accettabile rimuovere un simbolo religioso per compiacere fedeli di altri culti, e far questo significa avere forse “sensibilità” nell’affrontare i problemi posti dall’integrazione culturale degli immigrati o di appartenenti a altre fedi, ma testimonia certo della totale incultura giuridica relativamente al diritto di libertà di tutti – tutelato dal nostro ordinamento - di sottrarsi ad un messaggio religioso imposto, qualsiasi esso sia. Non si è infatti più rispettosi della laicità dello Stato se al crocefisso si sostituisce “l’altarino dei simboli religiosi”, tanto più che ogni religione ha posizioni giustamente diverse rispetto alla simbologia religiosa.

A volte la distanza da esigenze e bisogni di altri culti induce ad applicare a tutti le stesse categorie di pensiero, scambiando, ad esempio, come fa Guazzarotti, il simbolo della mezzaluna per un simbolo religioso dell’Islam, quando invece esso è elemento identificativo posto sui sepolcri, sulle moschee e perché no sulle bandiere come segno di appartenenza all’Islam, ma mai rivendicato ed esibito dagli stessi islamici nell’ottica che è propria della simbologia cristiano-cattolica o ortodossa, ovvero come simbolo religioso (v. Cooper J., Enciclopedia illustrata dei simboli, Padova, 1987). Peraltro se ci riferiamo ad alcune confessioni protestanti dovremmo fare un discorso in parte diverso.

Posto allora che il problema non è risolvibile ricorrendo ad una sorta di “sincretismo espositivo” di simboli religiosi, né tanto meno giustificando, come alcuni ancora fanno, l’esposizione del crocefisso con l’appartenenza della maggioranza della popolazione alla religione cattolica, vista anche la sempre maggiore incertezza nel definire i criteri di appartenenza confessionale (v. Botta R., Appartenenza confessionale e libertà individuali in Q.D.P.E., 2000/I ), riteniamo utile ritornare alle norme che riguardano l’esposizione del crocefisso negli uffici e locali pubblici e nelle scuole.

E’ utile partire dalla sentenza ultima della Cassazione, la 439-2000, che ci pone di fronte a un’efficace ricognizione e ricostruzione di tutte le norme concernenti l’affissione del crocifisso e pertanto la sentenza assume portata generale. (in tal senso: De Oto A., Presenza del crocifisso o di altre immagini religiose nei seggi elettorali: la difficile affermazione di una “laicità effettiva“ – Osservaz. a Cass.Pen. n. 439 del 2000, “Q.D.P.E.”, 2000/III).

L’ottimo lavoro dell’estensore della sentenza, rigoroso e puntuale nella ricostruzione normativa, correttamente inserito nel più generale clima politico istituzionale nel quale quelle norme ebbero vita, permette di rilevare:

Sulla base delle considerazioni su esposte mi chiedo se sono proprio sicuri i credenti di servire Dio e la fede chiedendo di perpetuare l’esposizione di un simbolo ricco di significati religiosi che per le modalità e le motivazioni per le quali avviene risulta in ultima analisi essere strumentale. Non sarebbe meglio lasciare ai crocifissi i luoghi di sempre, le chiese e, ancora, la funzione di segnare una tomba, di indicare un luogo di devozione in campagna o in una strada, di lasciare che ciò che il simbolo rappresenta venga richiamate alla memoria dalle opere d’arte e letterarie?

Devo confessare che mi da fastidio leggere affermazioni - condivise dal filosofo Cacciari nella proposta di finanziamento della scuola privata cattolica in Veneto da lui sottoscritta (Progetto di legge n. 54, 19 sett. 2000. Atti del Consiglio Regionale, Regione Veneto) - che giustificano l’erogazione di denaro pubblico ad una attività confessionale con la motivazione che la cattolicità è uno dei caratteri distintivi del popolo veneto (!) e penso al crocefisso un’altra volta utilizzato, in nome della ricerca di una “identità” inesistente se intesa come “diversità” di una Regione che in passato si distinse per la sua resistenza al papato e all’inquisizione e oggi vuole distinguersi dalle altre, marcando i confini con l’appartenenza religiosa, per invocare il federalismo!

Ho sempre ritenuto e ritengo che la società civile, l’associazionismo libero, debbano potersi difendere da simili speculazioni politiche, mobilitandosi, ricorrendo anche a provvedimenti cautelari e d’urgenza, (V.: Proto Pisani A., Lezioni di diritto processuale, Napoli 1999, 669 ss.) tutelando la laicità delle istituzioni pubbliche, consapevoli che il rispetto della libertà individuale non impone solo allo Stato ma anche alle istituzioni religiose e confessionali l’obbligo di fare un passo indietro e ritirarsi di fronte alla libertà di coscienza.

Tutto ciò premesso della delibera della Provincia di Verona segnalata all’inizio di questo intervento, farebbe bene ad occuparsi la Corte dei Conti e la magistratura penale.

cimbalo@giuri.unibo.it