Sussidiarietà e dottrina sociale della Chiesa: 

da cittadini, a clienti, per tornare ad essere gregge

 

Da tempo la FdCA segue e denuncia l'introduzione del principio di sussidiarietà nel tessuto sociale italiano; non ci stupisce la presentazione di un documento bipartisan, di parlamentari di Forza Italia e Margherita, sulla "sussidiarietà per cambiare il Paese" proprio al meeting ciellino di Rimini.

Infatti la dottrina sociale della Chiesa, come illustrato nel nuovo Compendio edito nel 2004, ha sempre cercato di cavalcare i movimenti sociali facendo in modo che il clero rimanesse una categoria protetta e funzionale al sistema economico capitalista "Né il capitale può stare senza lavoro, né il lavoro senza il capitale" (Leone XIII, enc. Rerum novarum, 1891).

Proteggendo con la propria benedizione i capitalisti come se essi rappresentassero una entità sempre esistita in natura ed addirittura necessaria alla classe lavoratrice, povero gregge la cui sorte al massimo può essere quella di pattuire un salario decente.

Al di là di iperboliche affermazioni, che vorrebbero salvaguardare il basamento evangelico della Chiesa con termini come "solidarietà", "equa distribuzione dei beni terreni" ecc., la realtà della dottrina sociale della Chiesa cattolica si staglia con chiarezza con la definizione di Sindacato data dal Compendio; questi dovrebbe promuovere "il giusto bene", senza però combattere il capitalismo come sistema di produzione (Compendio, 306). Il "bene comune" della società è quindi un quadro complessivo di coesistenza tra capitalisti, sfruttatori del lavoro fisico ed intellettuale altrui, e lavoratore-gregge bisognoso di giustizia.

Il "Bene comune", come raggiungimento "della perfezione propria di ogni soggetto del corpo sociale" è inoltre da vedersi in luce confessionale, poiché secondo la Chiesa il "Bene" è solo rintracciabile in "un ordine etico-religioso, il quale incide più di ogni altro valore materiale sugli indirizzi e sulle soluzioni da dare ai problemi della vita individuale ed associata nell'interno delle comunità nazionali..." (Giovanni XXIII, enc. Mater et magistra, 1961). Non ci stupisce che oggi, crollata la Democrazia cristiana e con alla ribalta i nuovi imprenditori leader delle privatizzazioni, Comunione e Liberazione sostenga documenti atti a dare una qualche dignità alla sfrenata ricerca di settori da privatizzare e dai quali ricavare lucro (salvo poi chiamare in causa i soldi pubblici quando il limone è stato spremuto). "È illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità" (Pio XI, enc. Quadragesimo anno, 1931): già negli anni '30 la Chiesa chiedeva che si sostenessero le proprie associazioni, negli anni '80 è tornata alla ribalta la battaglia per il finanziamento pubblico alle scuole private ed a tutte quelle imprese orientate religiosamente che potessero rilevare attività prima gestite dal pubblico (vedi Compagnia delle Opere, avida usufruttrice di finanziamenti UE). Si è tentato di far passare i guasti provocati dal clientelismo e dalla burocratizzazione, frutto del momento d'oro della DC, in guasti provocati dallo... Stato (vedi: enc. Centesimus annus. GPII, 1991), come se questi appunto non fosse stato gestito per decenni da una classe politica che andava a messa tutte le mattine.

"Il principio di sussidiarietà protegge le persone dagli abusi delle istanze sociali superiori..." (Compendio, 187), ecco che si tenta di far passare l'impresa privata per salvezza dei diritti dei cittadini.

Ma quali diritti, poi? Pensiamo alla firma del Concordato Craxi-Casaroli del 1984: un testo che facendosi beffe delle regole della stessa democrazia borghese non è mai passato in Parlamento se non per presa visione, ad accordi avvenuti, ma ha modificato grandemente il meccanismo di finanziamento del clero, tramite l'otto per mille.

Eppure è proprio la Chiesa cattolica nel suo Compendio ad affermare che "ogni democrazia deve essere partecipativa. Ciò comporta che i vari soggetti della comunità civile, ad ogni suo livello, siano informati ascoltati e coinvolti..." sembra di leggere un documento catto-comunista. Eppure la realtà è un'altra. Quando si tratta di difendere i propri privilegi e di aprirsi nuovi mercati, la struttura clericale ed i suoi imprenditori non guardano in faccia a nessuno.

Non c'è bisogno di parlare di sussidiarietà e di imprese cielline per capire che la libertà di azione che essi invocano è solo finalizzata al lucro. Pensiamo alla battaglia per la scuola privata cattolica: quale sarebbero la libertà ed il pluralismo, in una scuola dove i programmi, gli insegnanti e gli studenti sono filtrati dai vescovi?

Cosa studieremmo nella scuola privata cattolica? "Senza famiglie forti nella comunione e stabili nell'impegno i popoli si indeboliscono. Nella famiglia vengono inculcati fin dai primi anni di vita i valori morali, si trasmette il patrimonio spirituale della comunità religiosa e quello culturale della Nazione. In essa si fa l'apprendistato delle responsabilità sociali e della solidarietà" (Catechismo della Chiesa cattolica). Ecco dunque il modello pluralista proposto dalla Chiesa: dalla famiglia cattolica alla scuola cattolica al lavoro (imposto da Dio creatore) evitando accuratamente ogni confronto con una diversità culturale che potrebbe instillare il dubbio che etica, moralità, e spiritualità esistono anche senza religiosità e fede. Al riparo da un pluralismo "materialista" e dal confronto-incontro-mescolanza con altre culture. È questo ciò che ha chiesto Ratzinger al recente incontro giovanile di Colonia, dimenticando che è stata proprio questa omogeneità e questa paura del diverso, a dare origine al nazismo ed al fascismo. Basta ricordare l'analisi dell'anarchico Daniel Guérin nella sua opera "Fascismo e gran capitale".

Ma infine, per mostrare come le affermazioni del Compendio della dottrina sociale della Chiesa possano apparire fantasiose e strumentali anche alla luce di fatti recenti:

"Strumento di partecipazione politica è anche il referendum, in cui si realizza una forma diretta di accesso alle scelte politiche. L'istituto della rappresentanza non esclude, infatti, che i cittadini possano essere interpellati direttamente per le scelte di maggior rilievo della vita sociale" (Compendio, 413). Ma... cosa succede? Se con la sussidiarietà i cittadini diventano clienti, per il referendum sulla procreazione assistita sono tornati ad essere pecore smarrite! Non era lecito votare per qualcosa sul quale non avevano abbastanza studiato a scuola di catechismo.

Federazione dei Comunisti Anarchici

28 agosto 2005