ALBANIA ON MY MIND

 

Fate di cognome Albani o Albanesi? Avete amici, conoscenti, parenti con questi cognomi? Vi piacciono i mitici fratelli Belushi, o magari il bravo attore Albanese? E il vino Albana? Lo sapete, no, che allora è un pezzo che avete a che fare con l'Albania!

Tracce indelebili lasciate dalla storia, dal processo di ominazione (migrazioni, meticciato genetico, culturale, enologico…) che per fortuna ancora continua, per forza, per scelta, per destino.

Alla fine del 1200 i Veneziani pensarono bene di deportare gli albanesi dalla loro terra in Italia per ripopolare le italiche campagne spopolate dalle periodiche pestilenze; nel 1500 furono loro a venire in massa sospinti (push factors…) dalle invasioni ottomane. Potete trovare decine di comuni, dal Molise alla Sicilia, abitati da nuclei di origine albanese (arbaresch). Molti altri vennero al seguito di una figlia di Skanderbeg (l'eroe della resistenza albanese al turco invasore) che andava in sposa a un principe calabrese.

Relativamente poco fa ancora l'Albania intrecciava i suoi destini con la politica estera italiana:era la volta del Protettorato e poi dell'annessione fascista. E della guerra.

Dopo 50 anni di Radio Tirana (contro le cricche revisioniste dell'URSS e della Cina, doyouremember?) e di stands alla Fiera del Levante di Bari, nel 1991 la fine del regime Enver porta ben 50.000 albanesi verso l'Italia, i primi 25.000 a marzo, accolti calorosamente dalla popolazione pugliese, dalla stampa, dal volontariato, i secondi 25.000, ad agosto, rinchiusi nello stadio di Bari e poi respinti dalla popolazione, dalla stampa, dal presidente Cossiga, in conflitto con il sindaco di Bari di allora.

Si parlò di push factors per la prima ondata (scappavano da un regime in agonia, dalla mancanza di libertà, dal comunismo, compiangeva l'italica stampa) e di pull factors per la seconda ondata (vogliono venire qui perché attratti dalla televisione, dal benessere -?- per impiantare attività criminali…sbraitava l'italica stampa).

Ma in realtà i due effetti spinta-attrazione si combinano sempre in tutti gli spostamenti di genti da un territorio all'altro e tutte le politiche di contenimento/respinta o di disincentivazione possono ben poco di fronte alla ricerca di soddisfacimento dei bisogni individuali, materiali o culturali. E qual è la politica peggiore, quando non si intende cercare altre strade? Armare un esercito e mandarlo nel luogo infetto. L'esercito italiano & Co. è in Albania per difendere gli interessi italo-tatarelliani ed europei, o in Albania per portare la cooperazione? Certo, il neomilitarismo post-muro si è specializzato in interventi di pace e sviluppo che producono esattamente l'effetto opposto (né pace, né sviluppo), ma forse occorrerebbe riflettere su una funzione più subdola: impedire/ridurre/contenere lo spostamento di genti verso l'occidente. Genti che non fuggono più dal comunismo o da una dittatura, ma dalla miseria, dall'inesorabile peggioramento delle condizioni che oggi spinge verso…il capitalismo…che respinge!

Si tratta di PROFUGHI ECONOMICI! Nel 1995 in Albania più dell'8% della popolazione è disoccupata. Il salario di un operaio si aggira intorno ai 50-60 dollari, 60 dollari per un insegnante, 80-120 per un impiegato del settore privato, 30 per un pensionato o un cassaintegrato, 160 per un docente universitario. Un miliardo di dollari, cioè un terzo del PIL albanese, di cui circa 400 milioni di dollari di rimesse dall'estero, è stato rastrellato dalle "piramidi" in cui aveva investito di tutto l'80% degli albanesi ed il partito di Sali Berisha nel corso delle elezioni legislative del 1996 aveva giusto uno slogan al di sopra di ogni sospetto: "Votate per il Partito Democratico e tutti guadagneranno".

L'intervento armato a sostegno di Berisha, dei finanzieri-spremi&fuggi, delle cosche armate, delle condizioni di sfruttamento imposte dagli imprenditori euro-italo-pugliesi-tatarelliani (ma ci sono anche interessi marchigiani, abruzzesi…) soddisfa le destre e fornisce alibi a chi la considera la precondizione per sviluppare la cooperazione.

Ma la cooperazione è strategia che necessita di politiche di sostegno, quali la riduzione del debito, l'aumento dei fondi, il coinvolgimento del terzo settore senza fini di lucro, il reinvestimento di reddito in loco…altrimenti sono solo chiacchiere.

Non c'è cooperazione senza libera circolazione di persone, oltre che di merci; gli albanesi, (ma questo vale per tutti i paesi a forte flusso migratorio), non saranno trattenuti in Albania dalle presunte virtù dell'equazione PIU' INVESTIMENTI-PIU' OCCUPAZIONE-MENO EMIGRAZIONE, poiché finora i minimi investimenti italiani non hanno creato occupazione aggiuntiva, ma hanno solo decentrato la produzione e realizzato il massimo profitto.

Per questo vanno ripensate le politiche di accoglienza, di ospitalità, di cittadinanza, per muoversi in direzione di una SOCIETA' DEI DIRITTI, in cui sia praticata una cittadinanza sociale senza distinzione di razza e di colore.

Gli stessi servizi, gli stessi spazi garantiti a tutti coloro che vivono/abitano in un territorio.

Il processo di mondializzazione sta ridefinendo la dimensione del luogo di vita quotidiana: in questo luogo la distaccata tolleranza deve cedere il campo alla solidarietà e questa deve preparare la società dei diritti.

Non può essere una direttiva del governo o un'ordinanza prefettizia a sollecitare questo salto di civiltà; la solidarietà che si fa accoglienza ed estensione dei diritti può provenire solo dalla comunità, con atti autonomi e scelte liberamente prese.

Una comunità, e un'amministrazione locale, che si fosse offerta per accogliere i profughi albanesi, anziché aspettare l'ordinanza prefettizia, avrebbe fatto fare un passo avanti, piccolo ma avanti, alla civiltà.

Donato Romito

(Articolo pubblicato in "Contaminazione", bollettino della Rete per l'Autogestione di Pesaro/Fano, 1997)