81° Consiglio dei Delegati della FdCA
Fano, 26 febbraio 2012
presso locali FdCA, Piazza
Capuana
Documento finale
Ripartire dai bisogni, partecipare attivamente alla ricostruzione del movimento anticapitalistico
Stiamo assistendo ad una delle più grandi trasformazioni che il capitalismo ha nella sua ormai lunga storia elaborato e generato. Quella che comunemente viene definita come l'age d'or del capitalismo, che va dal 1945 al 1975, e che ha segnato appunto l'epoca dell'inclusione del proletariato nei processi di accumulazione e di ridistribuzione della ricchezza, con la necessaria sudditanza dei sindacati e dei partiti di quella che fu la sinistra, dopo decenni di asfissiante consociativismo, si può dire conclusa.
Evidente la fine definitiva della dimensione nazionale degli equilibri del capitale, e quindi anche del compromesso sociale che viene ormai consegnato alla storia di questa parte del mondo.
Evidente la modificazione degli equilibri di accumulazione del capitale, che non avviene più solamente attraverso l'estrazione del lavoro vivo ma si mantiene mediante l'esproprio di interi popoli, non più solo nei "paesi terzi" ma ora anche nella (non più) ricca Europa. E se questo segna la fine dell'egemonia eurocentrica, con i danni immani che ha creato attraverso lo sfruttamento dei "paesi terzi," mettendone in crisi per decenni la capacità di sviluppare una qualsiasi dimensione sociale, non significa però la fine del razzismo ma il suo spostamento sulle dinamiche securitarie interne, non significa la fine dello sfruttamento ma lo spostamento geografico degli equilibri economici.
Evidente la tendenza all'esautorazione della democrazia, mantenendone in piedi simulacri che nascondono appena rapporti sociali autoritari che permettano alle elite di comando borghese di esercitare coercizione attraverso il monopolio statale della violenza.
E in particolare in Italia il governo Monti ha avviato un processo, già maturo in altre parti di Europa, che induce profonde trasformazioni strutturali mediante l'uso eversivo della legislazione ordinaria, con pesanti ricadute sul piano di diritti, del welfare, della agibilità sindacale, sancendo di fatto la fine della contrattazione e aprendo le porte all'aziendalismo più sfrenato.
Evidente la disintegrazione sociale a causa della fuoriuscita repentina dai sistemi di Welfare, con conseguenze disastrose sul proletariato: la povertà diffusa che ci accompagnerà per qualche decennio, causa del ripristinato dominio di classe del grande capitale.
Sempre più minacciosa la tentazione al ritorno della guerra su grande scala nel più classico ruolo dell'imperialismo.
Di fronte a scenari simili il nostro compito, quello dei comunisti anarchici e dei rivoluzionari è quello di non lasciare nulla di intentato, dalla partecipazione alle esperienze sindacali conflittuali a tutte quelle esperienze di classe che attraverso la ricomposizione del mondo precario, ma non solo, si stanno affacciando sulla scena sociale, e con le quali è indispensabile formalizzare interventi comuni, arrivare alla definizione di aree politico economiche con le quali sviluppare il più profondamente possibile le risposte di classe, in un contesto federale.
E' necessario che aree omogenee, sia dal punto di vista produttivo che politico, possano analizzare le proprie realtà per un approccio più diretto a contrastarne le strutture di comando locali.
Dovremo impegnarci a ragionare sul collegamento tra i grandi ed i piccoli sistemi di dominio politico e sfruttamento economico ed a rispondere alle violenze del capitale a livello locale, nazionale ed internazionale. Il ricorso al localismo per individuare gli anelli della catena di comando non deve in nessun caso farci sfuggire l'obiettivo generale della lotta al capitale ed allo Stato.
Tutte le esperienze di base che vedono il coinvolgimento dei compagni in modo diretto sul livello del consumo, attraverso forme solidali, o di recupero parziale, come la campagna per l'acqua pubblica, di beni collettivi sottratti alla speculazione finanziaria, sono indispensabili ma non sufficienti. Indispensabili sia perché creano forme autorganizzate di resistenza e sopravvivenza e sia perché sviluppano sperimentazione di condivisione e autogestione delle risorse, ma non sufficienti se non vengono collegate ad un comune intento di superamento globale dell'attuale sistema economico.
Il nostro compito resta quello di lavorare per una società comunista e libertaria, e sappiamo bene che non basterà invocarla nei nostri scritti perché ciò si avveri, non sarà un mantra che distruggerà il capitalismo e lo Stato, ma l'azione di uomini e di donne che riusciranno ad immaginarsi una uscita dalle maceria prodotte; dobbiamo ripartire, verso la costruzione di una nuova prassi rivoluzionaria, fatta di idee e di analisi critica dell'esistente aperta a quanti condividano con noi l'analisi e le finalità dell'impegno rivoluzionario.
Ripartire dai bisogni, intrecciare la nostra presenza nei bisogni e nella contraddizione sociale amplificata dalla crisi, partecipare attivamente alla ricostruzione del movimento anticapitalistico, senza facili entusiasmi ma con perseveranza e serietà, con la consapevolezza dei rapporti di forza attuali e con la stessa voglia di sempre di sovvertirli, coscienti che l'attuale basso livello del conflitto non può essere sostituito da alcuna pretesa rappresentanza avanguardistica.
I tempi saranno necessariamente lunghi, le crepe sistemiche non bastano a confermare le nostre teorie rivoluzionarie, il capitalismo non cadrà da sé, la società borghese ed il suo sistema di potere non si arrenderanno spontaneamente, la risposta autoritaria è in atto.
Non servirà dire che lo avevamo previsto se non saremo, tutte/i, capaci di mettere in campo risposte efficaci a contrastare questo percorso.
Consiglio dei Delegati
Federazione dei Comunisti AnarchiciFano, 26 febbraio 2012