Commissione Sindacale
Cremona, 8 novembre 2008
presso il CSA Kavarna, Via Maffi, località Il Cascinetto
con la partecipazione di lavoratori/trici ed attivisti/e sindacali dalla Lombardia, Emilia Romagna, Marche. Contributi via e-mail da Liguria, Marche e Toscana.
NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO
ALLARGARE IL CONFLITTO
INTRECCIARE LE LOTTE
VERSO LO SCIOPERO GENERALE
La crisi della finanza mondiale crea ogni giorno nuovi record negativi, mentre i governi ripetono in modo insistente che bisogna avere fiducia perché non è tutto finito, che si risolverà nel miglior dei modi. Intanto gli Stati finanziano le banche per non farle fallire e finanziano le imprese senza nessuna garanzia per l'occupazione e per i salari.
Questa crisi finanziaria da tempo annunciata è stata causata da un mercato privo di regole, completamente in mano alla speculazione, dalla mancanza di controlli nel settore bancario, conseguenze delle scelte neoliberiste a livello mondiale. La politica dei bassi salari, la sconfitta del movimento operaio, hanno ridotto le capacità di espansione del mercato di beni e servizi e la crisi finanziaria è divenuta quella del proletariato che paga già questa congiuntura economica con la riduzione in povertà. La classe media si assottiglia sempre di più e diventa sempre più povera mentre i ricchi diventano sempre più ricchi. In questo panorama disastroso, l'Italia è il paese -tra quelli cosiddetti sviluppati- dove più forte si fa la diseguaglianza e più accentuata è la riduzione in povertà. Mentre il nostro paese è in piena crisi sia finanziaria che reale il governo italiano continua a ripetere che la nostra economia è forte, è sana. Ma una violenta fase recessiva è iniziata e molte aziende chiudono. Le scelte della finanziaria vedi (legge 133/08) approvata col voto di fiducia si caratterizza per tagli a sanità, scuola, università, ministeri, per l'accentuazione delle norme relative alla flessibilità del mercato del lavoro e per l'imposizione di un tasso dell’inflazione programmata particolarmente basso.
C’è stato in questi 15 anni uno spostamento costante della ricchezza dai salari alla rendita e ai profitti, con una dinamica delle retribuzioni nette inferiore a quella inflazionistica – senza ridistribuire la ricchezza prodotta (il PIL) e con un crescente impoverimento relativo dei lavoratori, che si è tradotto in un impoverimento assoluto di tutta la società.
E’ cresciuta in questo modo la sperequazione dei salari e il peggioramento delle condizioni di lavoro a partire dai soggetti più esposti nel mercato del lavoro: le donne cui continua ad essere negata la parità d’accesso, di retribuzione, d’inquadramento; i giovani, gli ultra50enni, i migranti, le aree territoriali di buona parte del Mezzogiorno, ma anche alcune zone delle regioni più ricche sono nella morsa della crisi. Precarietà e povertà salariale mettono in discussione conquiste storiche del movimento sindacale in Italia. Si pone, più di prima, una questione della democrazia e dei diritti nei luoghi di lavoro e non solo. La precarietà è il paradigma del modello sociale neoliberista nell’epoca della globalizzazione, è la chiave di lettura del disagio sociale ed esistenziale della condizione dei giovani, delle donne, degli anziani.
Lo stato di precarietà generalizzata nel mondo del lavoro viene coniugato con un altrettanto stato di precarietà sociale prefigurato nel Libro Verde del confindustriale ministro Sacconi. Qui si intende introdurre un welfare negoziale fortemente legato al principio di sussidiarietà ed innalzare l'età pensionabile, con la collusione del sindacato, il quale viene chiamato - attraverso la generalizzazione degli enti bilateriali - a individualizzare i contratti di lavoro, a favorire l'azionariato aziendale tra i dipendenti, a puntare sul contratto territoriale, a prevenire e sanzionare la conflittualità, limitando il diritto di sciopero in un clima di repressione e fascismo aziendale già all'opera. Su questa strada, del tutto convergente con la revisione della contrattazione imposta da Confindustria, si sono già collocate CISL e UIL in compagnia della UGL.
Si coglie così l'occasione della crisi finanziaria per accentuare le politiche di deregolamentazione di diritti e tutele dei lavoratori, per accentuare gli effetti già negativi delle privatizzazioni nei servizi pubblici, per spingere in uno stato di soggezione economica e precarietà occupazionale la classe lavoratrice. Gli scioperi ed il movimento composito di lavoratori insegnanti-studenti-lavoratori genitori che dal 15 settembre sta attraversando le scuole e l'università, le mobilitazioni spontanee nelle fabbriche in mobilità e in Alitalia indicano chiaramente che la direzione da prendere è quella di sottrarsi all'abbraccio mortale di una sottomissione sindacale alle scelte governative e di Confindustria, di respingere soluzioni quali la detassazione degli straordinari e dei premi di produttività individuali, di impedire che la chiusura delle aziende diventi l'orlo del baratro della precarietà generalizzata per i lavoratori italiani e motivo per ritirare il permesso di soggiorno ai nuovi cittadini.
Si tratta di imboccare un percorso decisamente opposto, un percorso indicato già dagli scioperi del sindacalismo di base e dal movimento della scuola/università nel mese di ottobre. Su questa strada, sembra fare di necessità virtù la CGIL, all'interno della quale stanno maturando scelte e indicazioni di discontinuità con la linea precedente, che costringeranno anche la burocrazia sindacale ancora legata alle ricette concertative a fare i conti con i morsi della crisi. La mobilitazione nella scuola, il sostegno alle manifestazioni nelle fabbriche in mobilità, il rifiuto di firmare il contratto del commercio ed il lodo sul pubblico impiego, l'indisponibilità a sottoscrivere le norme sulla contrattazione imposte dalla Confindustria, costituiscono atti di una ritrovata autonomia -non è mai troppo tardi- che fanno dello sciopero dei metalmeccanici della FIOM del 12 dicembre una scadenza su cui far convergere quanta più energia di lotta possibile e ridare fiducia ad una prassi sindacale conflittuale e partecipativa.
Occorre fare del 12 dicembre, data di per sé emblematica della strage di Piazza Fontana di 39 anni fa, una giornata di lotta, di mobilitazione e di sciopero che coinvolga tutte le categorie, tutti i settori lavorativi, tutti i sindacati che si oppongono ai costi della crisi ed ai provvedimenti del governo, tutto il mondo dell'associazionismo alternativo e di base, dei centri sociali autogestiti, delle organizzazioni politiche della sinistra comunista e del movimento anarchico, in una dimostrazione di solidarietà tra lavoratori ancora stabili e precari, tra italiani e nuovi cittadini, una dimostrazione di unità di classe e di democrazia diretta. Uno sciopero generale sindacale e sociale, politico e di classe che imponga i rapporti di forza per
il ritiro della Legge 133 e delle sue nefaste applicazioni nel mondo del lavoro e del welfare
la salvaguardia e la redistribuzione delle risorse pubbliche a favore dello stato sociale, del taglio delle spese militari e del ritiro dell'Italia da tutte le missioni militari di finta pace
il sostegno ai salari, agli stipendi, alle pensioni tramite il recupero dell'eccesso di tasse pagate sui redditi (drenaggio fiscale), la riduzione del carico fiscale sulle retribuzioni, aumenti salariali sganciati dalla produttività, aumenti salariali al livello del tasso interbancario Euribor (+1!!)
la salvaguardia dei posti di lavoro per tutti i lavoratori/trici a tempo indeterminato e a tempo determinato, migranti ed italiani, rifinanziamento ed utilizzo della Cassa Integrazione Guadagni (CIG) e del sussidio di disoccupazione con assegno al 100% senza limiti di tempo; la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario
controllo dal basso sulla contrattazione e vigilanza contro il fascismo aziendale attraverso strutture assembleari nei posti di lavoro.
La FdCA sostiene lo sciopero del 12 dicembre della FIOM ed invita le altre organizzazioni di categoria, le camere del lavoro e la confederazione della CGIL, le organizzazioni confederali e di categoria del sindacalismo di base ad indire lo sciopero generale per la stessa data e per riaprire una nuova stagione di conflittualità e di partecipazione popolare per maggiore uguaglianza sociale in maggiori spazi di libertà.
Commissione Sindacale dell'FdCA
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