STRATEGIA DI FONDO
fino al PERIODO DI TRANSIZIONE
I - GENERALITÀ
Se nella Teoria abbiamo esaminato la storia della lotta di classe ed abbiamo dedotto su quella base che è giusto essere comunisti-anarchici, nella prima parte di questa Strategia di Fondo abbiamo analizzato i nostri avversari per capire che fare per continuare a sopravvivere, nonostante la repressione che il potere usa nei nostri confronti e per distruggere ogni ostacolo che si interpone alla realizzazione del comunismo-anarchico.
Si tratterà di stabilire i principi informatori della nostra azione, che non sono concetti astratti ma nascono dalle condizioni in cui ci troviamo ad operare e che solo se sono comuni renderanno unitaria e non contraddittoria la nostra prassi. Questa, se da una parte necessariamente sarà legata alle condizioni più particolari e specifiche del tempo e del luogo in cui ci troviamo ad agire, deve sempre tenere presenti questi concetti che sono il prodotto dell'analisi del periodo storico in cui ci troviamo ad agire.
Questo, quindi, non è ancora un programma ma una metodologia corretta, senza la quale nessun programma potrà essere considerato giusto o sbagliato. Sulla base di questa metodologia, dunque, dovremo fare i nostri programmi e giudicare quelli degli altri, visto che ogni programma deve tener presente la situazione politica "di fondo" della nostra epoca.
Questi principi informatori della nostra lotta politica non nascono oggi per la prima volta nella nostra testa, ma sono quegli stessi che, pur in condizioni storiche diverse, i comunisti-anarchici hanno acquisito e sperimentato nel corso della storia.
Oggi tocca a noi riprenderli e riusarli, evitando quello che ieri è successo, cioè evitando che ciascuno sia contraddittorio rispetto agli altri; ciò può essere fatto non eliminando dalla nostra pratica metodi che in passato non hanno ottenuto risultati buoni, ma dando -per quanto ci è possibile- un peso specifico diverso a ciascun "principio" così da utilizzare tutto nella maniera più organica.
II - IL SOGGETTO DEL COMUNISMO-ANARCHICO
La coscienza del comunismo-anarchico nasce dalla conoscenza della storia; essa però sarà vuota e priva di valore se non sarà patrimonio di individui fisici che la inseriscono con la loro presenza nella storia, ed ancora ciò sarà privo di valore efficace se gli individui non si troveranno ad agire ed a tramutare la loro coscienza e la loro esistenza in operosità ed in azioni.
Perché la coscienza del comunismo-anarchico si possa diffondere, i comunisti-anarchici possano aumentare ed agire, è prima di tutto necessario vivere nel sistema di cose attuali il comunismo-anarchico (come coscienza, essere fisico ed azione politica) nel modo meno contraddittorio e più gratificante possibile, utile e bello.
Essere comunisti-anarchici nel secolo XXI vuol dire essere riusciti, in un mondo dominato dalle guerre, dal capitalismo e dalla repressione, a concepire un modo diverso di vivere -con le possibilità produttive di oggi- una vita in cui guerra, violenza ed ingiustizia sociale non esistono più.
Capire questo vuol dire sentire l'ingiustizia di questa società e lottare per abbatterla, ma contemporaneamente vuol dire cercare di migliorare quanto più è possibile la qualità della nostra vita oggi.
C'è stato -da una parte- chi, legandosi all'ideale di una società giusta, ha sentito la sua vita quasi come una missione cristiana per cui ha considerato limiti indesiderabili le esigenze della propria vita ed ha sacrificato tutto al proprio ideale, con la conseguenza di isolarsi dalla realtà e di divenire avanguardia di un movimento di sommi idealisti che on può vivere più di due o tre anni. In questo modo costoro sono vissuti avendo come pane il proprio idealismo e non la realtà sociale di ogni giorno. Si sono così distaccati dalla lotta di classe a poco a poco, cessando di far parte di questa.
C'è stato poi chi - dall'altra parte - di fronte alle difficoltà della lotta politica ha negato la possibilità di raggiungere entro limiti di tempo compatibili con la propria vita la società comunista-anarchica e quindi, pur considerandola giusta, ha preferito lottare per cose più realizzabili anche se non completamente giuste, negando la realizzabilità del comunismo-anarchico e dando una mano al potere per creare strutture di governo più "convenienti" al proletariato, ma che hanno ancora di più deviato la lotta di classe dal suo obiettivo fondamentale: distruggere l'ingiustizia sociale.
Oggi noi diciamo LOTTA "SINDACALE" (per lotta sindacale si intende la lotta portata avanti da tutti gli sfruttati a partire dagli interessi immediati del proletariato con possibilità di arrivare agli interessi storici) per migliorare per quanto è in noi le condizioni economiche in cui viviamo e LOTTA "POLITICA" (per lotta politica si intende la lotta portata avanti a partire dalla coscienza degli interessi storici) per raggiungere il comunismo-anarchico.
Ma, se la lotta sindacale produce dei risultati immediati e tangibili -nessuno lo nega- possiamo dire lo stesso di quella politica?
In realtà esiste una grossa differenza tra lotta politica dei partiti di sinistra (con militanti stipendiati e con prospettive di posti di potere) e lotta politica dei militanti del partito comunista-anarchico (non stipendiati e privi di prospettive di potere), tanto è vero che alcuni anarchici nel XIX secolo hanno perfino detto che i comunisti-anarchici non fanno politica!
Come è possibile dunque che un militante comunista-anarchico lotti per il comunismo-anarchico (e non solo per le conquiste sindacali) e continui a farlo senza commettere uno dei due errori precedentemente illustrati e cioè diventare un puro idealista distaccato dalle masse o diventare un grande politico distaccato dagli ideali del comunismo-anarchico?
È necessario, quindi, delineare in termini chiari il concetto e la pratica di militanza in una organizzazione comunista-anarchica perché essa sia in teoria e in pratica una cosa fattibile per chiunque, in quanto riconosce in se stessa la ragione del suo essere e non solo nell'ideale (di là da venire) del comunismo-anarchico.
Militare in una organizzazione comunista-anarchica facendo politica (in antagonismo a quella delle altre forze politiche, ma pur sempre negli stessi modi tecnici e senz'altra motivazione che "lottare" per il comunismo -anarchico) è alienante. Abbiamo escluso da questa problematica la lotta sindacale.
Questo dover fare politica e l'alienazione che ne viene è, di fatto, un ulteriore ostacolo che il capitalismo frappone alla diffusione ed alla penetrazione di una idea contraria a se stesso nella società.
Sarebbe bello poter definire (almeno in teoria) una forma "corretta" di militanza che non sia alienante; ma se un individuo, spinto dalla alienazione che questa società produce, diventa un comunista-anarchico militante -a meno che prima che muoia non nasca la nuova società- stando così le cose non sarà mai ripagato neanche in termini etici delle energie che egli ha profuso in questa lotta.
È però vero che molti compagni hanno fatto questo senza deviazioni, altri invece no.
Delle due l'una: o la militanza politica è (coscientemente o incoscientemente) la trasposizione in termini di sfogo degli istinti materiali ed intellettuali dell'individuo sfruttato e represso indirizzati correttamente contro il potere o, invece, la militanza è il prodotto di una COSCIENZA COMUNISTA che serve all'uomo per sopravvivere e mantenersi tale in questa società.
Il primo modo di concepire la militanza non può che essere il "primo momento" delle iniziazione alla politica e non deve assolutamente perpetuarsi perché altrimenti non vedremmo perché se il potere offrisse a queste avanguardie una "poltrona" di sfruttatore -sotto varie forme- queste non dovrebbero accettare. ESEMPI STORICI SI SPRECANO!
Il secondo modo di concepire la militanza (in termini astratti giusti) è in pratica contraddittorio. Da una parte il fare politica è espressione non solo di un malessere economico (lotta sindacale) ma anche di un malessere emotivo, intellettuale, morale che ci spinge ad essere comunisti; il fare politica ci libera in quanto la lotta al sistema ideologico del capitalismo fa nascere la coscienza di un individuo diverso, di un individuo comunista. Il fare politica in questo modo ci fa diventare in parte "individui diversi" sia dagli oppressori che dagli oppressi che vogliono il potere.
Dall'altra parte però, i sacrifici e le privazioni, gli sforzi che la lotta politica, per volontà del capitalismo, impone, TENDONO -alcune volte ci riescono altre no- a rendere non comunista il compagno, cioè a fiaccare i suoi ideali, a ridurre i suoi spazi vitali, a peggiorare le sue condizioni economiche e non dobbiamo essere tanto idealisti ed illusi da credere che tutti possano essere comunisti anche e nonostante tutto.
Se vogliamo un'organizzazione di eroi, è meglio preparare i simpatizzanti del comunismo-anarchico a scrivere poesie, perché di eroi ne nascono pochi in un secolo.
In pratica il primo modo di concepire la militanza porta all'autoritarismo, ai compromessi, allo stalinismo; il secondo è indubbiamente il metodo di lotta politica dei comunisti-anarchici, ma bisogna eliminare quanto più è possibile le contraddizioni reali che si creano, perché da questo dipenderà la possibilità più o meno grande per chi non è proprio un eroe di essere comunista-anarchico.
La risoluzione del problema sta in due fattori:
IL PRIVATO
La divisione fra privato e politico si produsse storicamente con il sorgere del "politico" che di fatto significò e significa, al di là dei falsi ideologismi, "potere". Esiste una divisione tra ciò che è privato e ciò che è pubblico, tra ciò che è politica e ciò che è potere, ma la società oggi distingue solo privato da politico inteso come potere.
Il privato di un comunista-anarchico è politico due volte:
Introdurre il privato nel concetto di politica comunista-anarchica vuol dire semplicemente riportare in termini di teoria e di analisi della realtà ciò che è: il privato come fatto essenziale di un essere vivente e come fatto qualificante la vita i un comunista-anarchico.
La delicatezza con cui sempre -GIUSTAMENTE- questo problema viene trattato, nasce dalla constatazione che né ordini del giorno, né congressi, né mozioni riusciranno mai a trasformare o a migliorare il nostro privato.
Pubblicizzare il privato o trattarlo come tutte le altre cose politiche non serve proprio perché l'intervento nel "privato" può e deve essere ancora una volta "privato".
Si vuol dire in sostanza che bisogna avere coscienza che la politica determina ed è determinata dal privato, ma -d'altra parte- solo l'intervento di compagni, tra compagni con caratteri particolari, servirà ad aiutare a costruire a ciascun compagno il suo privato nel modo migliore privato possibile.
È necessario sottolineare "NEL MODO MIGLIORE POSSIBILE", perché proprio per il fatto che la società determina necessariamente il privato, esso non potrà mai essere "giusto", se non in una società giusta; ciò non ci esime naturalmente dal profondere in questo campo le nostre energie.
È necessario essere coscienti fino in fondo dell'importanza che "le condizioni di vita privata" hanno nella formazione, nello sviluppo e nella realizzazione sia di un compagno, sia di una società.
Tutti i fatti politici sono importanti o meno, giusti o sbagliati, piacevoli o non, se non quando si traducono in miglioramenti dell'ambito privato di un soggetto.
I miglioramenti delle condizioni materiali di vita, la vita famigliare ed emozionale, i rapporti fra compagni nella vita quotidiana sono il privato e dovrà essere cura principale, forse essenziale in alcuni casi, di ciascun compagno aiutare l'altro.
SOLIDARIETA' la chiamò Kropotkin e così la chiameremo noi. Un concetto che egli tentò di scientificizzare riscoprendolo nella natura "animale" delle altre specie viventi, che forse non sarà mai scientificizzabile, ma che in cambio è decisamente e sicuramente INTUIBILE in tutti i suoi aspetti ed in tutte le sue "leggi" segrete e facili da imparare.
Non tocca ad un documento di Strategia di Fondo entrare nei particolari di questo problema; il suo sviluppo e le cose che devono cambiare saranno chiarite altrove; qui ci tocca ricordare che il chiarimento in termini pratici di questo problema DEVE ESSERE FATTO.
IL COMUNISMO QUANTO PIÙ È POSSIBILE
Quello che di innovatore e di giusto hanno in comune tutte le ideologie di sinistra lo chiameremo, in questa parte del documento e forzando un po' il vocabolario, comunismo, volendo distinguere in questo modo prassi politica e ideologia politica da quello che di istintivo e primordiale c'è in ogni ideologia di sinistra.
Nelle ideologie (precisiamo non nella prassi) di ogni "compagno" c'è qualcosa di vago: un bisogno, un desiderio di giustizia, di egualitarismo, che accomuna tutte le ideologie. Le differenze nei metodi e nei fini sono poi un'altra cosa, che però può inibire quegli stessi bisogni al punto che spesso tutte le ideologie (tranne la teoria del comunismo-anarchico), nello sviluppare ed articolare questi bisogni, li negano.
Questa considerazione per contrasto ne suggerisce un'altra: che il comunismo-anarchico nello sviluppare i bisogni dei compagni, non li nega.
Sviluppare significa non soltanto elaborare una ipotesi di società comunista-anarchica, ma anche permettere la realizzazione PARZIALE ed il soddisfacimento PARZIALE di ciò che è il comunismo e dei benefici che ne derivano.
Gli esperimenti "utopistici" tentati in passato da parte di alcuni compagni non sono altro che il tentativo acritico di sviluppare e di concretizzare l'esigenza su esposta in modo frettoloso ed ascientifico.
L'idea di formare le comuni e le esperienze che ne sono derivate rappresentano da una parte l'esigenza lampante di cominciare a "fare" il comunismo in modo irrazionale, dall'altra la impossibilità di cavare un ragno dal buco con questi metodi.
Per reazione a queste forme sbagliate di procedere in una direzione che tutto sommato è giusta, c'è chi contrappone a questo modo di procedere l'idea del TANTO PEGGIO TANTO MEGLIO, cioè meno comunismo c'è, più desiderio di comunismo nasce.
Nasce la paura di veder morire la spinta alla lotta con il sorgere di innovazioni che appaghino, sia pur parzialmente, questo bisogno di comunismo.
NIENTE DI TUTTO QUESTO.
L'appetito vien mangiando -diceva a questo proposito Fabbri- cioè più comunismo si sperimenta più se ne vuole ed una volta tanto vale la pena si fidarsi dell'egoismo degli uomini che non si accontentano certo di un po' di comunismo ma lo vorranno tutto.
Si tratta quindi di capire che cosa non è utopistico, cercando di realizzarlo partendo dai bisogni reali che hanno bisogno per sopravvivere di potersi riconoscere nella realtà pratica di ogni giorno.
Fino ad ora ci è stato facile esprimere l'idea; quando si tratta di tradurla in forme concrete però subentrano problemi di natura economica, giuridica, pratica che essendo al di fuori della problematica della strategia di fondo non ci permettono di procedere oltre nella elaborazione di questa tesi.
Ma idee praticabili ce ne sono molte:
L'importante è che non siano irrealizzabili, che siano misurate con le condizioni di vita presenti e che diano tutte le garanzie possibili. Il che non significherà mai la certezza che non possano essere recuperate dal potere e ritorte contro chi le ha usate.
A questo punto il dibattito si apre a livello di strategia politica e di tattica.
GRADUALITÀ
Il concetto di gradualità sta nella considerazione che tutte le forme di avanzamento improvviso delle condizioni socio-economiche di una nazione sono improvvise solo a guardarle con i paraocchi, sono lo sviluppo esplosivo di una miscela fatta di rabbia e di coscienza politica che si sono aggregate in un lungo periodo di tempo.
Spesso accade che nella mente dei militanti della lotta di classe si strutturi un pensiero molto utile a perpetuare lo stato di cose attuali:"le cose cambieranno con la rivoluzione", e fino ad allora?
Il riformismo fa schifo, le innovazioni sono recuperate dal sistema, solo la rivoluzione può sconvolgere tutto.
Sembra tanto di confrontarsi con chi dice che la colpa della pioggia torrenziale risiede nel fatto che ancora non è avvenuta la rivoluzione.
Tutto o nulla, fascismo o comunismo, pioggia o sole.
Il comunismo-anarchico non nasce con una rivoluzione improvvisa ed inaspettata che sorge inavvertitamente per volontà dello spirito di Lenin o di Bakunin: la sua costruzione è già cominciata; la rivoluzione è già in corso da quando più di 100 anni fa il primo anarchico è stato ucciso e continua ora, gradualmente, a svilupparsi.
A questa considerazione da una parte si oppone -di fatto- la prassi di chi crede nei "colpi di mano", nei "salti di qualità", nelle possibilità di rapide e facili soluzioni ai problemi della vita di una popolazione, e dall'altra chi crede che solo un lunghissimo processo di presa di coscienza possa cambiare le cose; così lungo che nel frattempo tanto vale adattarsi.
Nella metodologia della gradualità non si può inserire l'ideologia progressista dei colpi di stato, come neanche l'evoluzionismo biologico verso una società più giusta.
Ogni lotta, ogni esplosione di rabbia, ogni rivolta e persino ogni sconfitta è un passo avanti nel graduale svilupparsi delle condizioni che porteranno alla rivoluzione; purché ogni atto politico sia produttore di coscienza e purché ogni atto politico diventi memoria di ogni rivoluzionario.
Gradualismo non è fiducia irresponsabile nel lento avanzamento della lotta di classe, ma è coscienza che le cose avvengono quando ci sono le necessarie premesse e quando soprattutto la premessa più importante (cioè il crescere della coscienza di classe) non venga dimenticata durante una lotta.
La gradualità presenta dei punti di contatto col riformismo e sostanzialmente concorda con questo nel considerare che le conquiste politiche non possono e non debbono venire tutte insieme, ma si possono ottenere una dopo l'altra; se ne differenzia violentemente quando si passa a considerare il luogo in cui si ottengono queste conquiste: PARLAMENTO O LOTTA DI CLASSE, ed il modo con cui si ottengono: ACCORDO COI PADRONI o IMPOSIZIONE AI PADRONI, e la metodologia con cui si mantengono le conquiste: RESPONSABILITÀ ALLO STATO o AUTOGESTIONE.
La gradualità presenta dei punti di contatto con il leninismo rivoluzionario e sostanzialmente concorda con esso nel fatto che una rivoluzione può concludere la fase storica del capitalismo, ma se ne differenzia violentemente quando considera che è necessaria una coscienza di classe a produrre un periodo post-rivoluzionario correttamente indirizzato verso il comunismo-anarchico e non una classe di burocrati autorizzati e delegati a costruire il comunismo-anarchico.
Noi non vogliamo usare né la conquista graduale del parlamento per essere gradualisti, né la conquista rivoluzionaria dello Stato per arrivare alla fine del nostro gradualismo; noi vogliamo, indipendentemente dallo Stato e dal parlamento, ma contro l'uno e l'altro, costruire gradualmente le premesse per la rivoluzione sia sotto forma di conquiste sociali, la cui gestione rimane nelle mani del proletariato, sia sotto forma di organismi politici di massa e "specifici", in cui la coscienza di classe permanga e si evolva e si accresca senza capi che abbiano la delega della sua gestione.
Noi siamo gradualisti sino alla rivoluzione ed anche dopo, durante tutto il periodo di transizione, però sappiamo che la velocità del nostro graduale procedere in avanti è DIRETTAMENTE PROPORZIONALE alla nostra forza ed alla nostra capacità di essere "sovversivi".
La gradualità non è un alibi per procedere lentamente, anzi; è però la consapevolezza che una evoluzione verso il comunismo-anarchico non deve confondersi con le illusioni di una lotta.
E che anzi ogni lotta deve sedimentare coscienza e forza soprattutto nel più vasto disegno della evoluzione verso il comunismo-anarchico, e più lotte ci saranno, più si avvicinerà il momento della rivoluzione a patto che non si pretenda di considerare ogni lotta come l'ultima.
Questo per la certezza che abbiamo che la coscienza di classe è la stessa cosa della coscienza del comunismo-anarchico.
III - L'AUTOGESTIONE
Se tutti coloro che fanno politica si autogestissero, saremmo in una società comunista-anarchica proprio perché l'autogestione di tutte le attività è possibile solo se manca un potere costituito che determina l'andamento della vita sociale in funzione di un interesse che è estraneo anche a chi attua le decisioni del potere costituito.
Nessuno può mettere in dubbio l'abissale differenza che esiste fra la chiarezza di significato che questo termine evoca e la nebulosità della pratica corretta dell'autogestione.
Se mai il problema della attuabilità pratica di un'idea, di un principio giusto ha rappresentato il fulcro della problematica più di quanto non lo sia la valutazione della sua giustezza, questo è soprattutto valido per il principio dell'autogestione.
AUTOGESTIRE LA POLITICA CHE SI FA è una pratica politica che si qualifica immediatamente, istintivamente e senza equivoci, come comunista-anarchica; il guaio più grosso è che è difficile essere comunisti-anarchici soprattutto perché è difficile gestire la politica che si fa.
Autogestirsi vuol dire rifiutare l'ideologia e la prassi del capitalismo (di stato o di mercato che sia) e la falsa convinzione che ciò sia impossibile provoca le più grosse contraddizioni in seno al proletariato.
La sfiducia nella possibilità dell'autogestione, la deformazione del suo concetto, la repressione delle lotte autogestite, è stato, è e sarà il cardine della strategia di fondo del capitalismo.
La nostra lotta come compagni deve tendere a esercitare ogni tipo di pressione, di manovre, di violenze affinché l'autogestione rimanga alla base di ogni lotta e, quand'anche fosse sostituita da vari tipi di centralismi più o meno democratici, a conservare, raggruppare ed educare chi rifiuta il centralismo attorno alla bandiera dell'autogestione.
La nostra lotta come organizzazione deve tendere a far trionfare dovunque, a tutti i livelli (ideologici, educativi, di lotta, sindacali, di stampa, di violenza e di "coraggio politico") l'ideologia e la pratica dell'autogestione.
La nostra organizzazione deve essere l'emblema, il portabandiera dell'autogestione e deve essere la rappresentazione pratica e l'esempio evidente che è possibile autogestire la trasformazione della società capitalistica in una società comunista-anarchica.
E di fatto, nonostante la strategia del capitale, la prima forma spontanea, istintiva della lotta anticapitalistica ha sempre assunto la caratteristica di essere autogestita se non altro perché, partendo dalla realtà sociale e da chi vive la realtà di sfruttamento, presupponeva una partecipazione ed una decisionalità condizionata solo dai partecipanti e dalle esigenze: il che significa AUTOGESTIONE.
Prima o poi nascono però i leader, i capi, la burocrazia, ecc.: cioè il potere che se si identifica col proletariato, lo fa solo per convenienza e lo turlupina in un modo o nell'altro.
BASTA GUARDARSI INTORNO.
La sopravvivenza dei comunisti-anarchici deve rappresentare agli occhi di tutti la sopravvivenza dell'autogestione, nonostante il sistema di potere verticistico dominante oggi; e ciò che non ci deve essere assolutamente è una deviazione all'interno dell'organizzazione in senso non autogestito e una critica dall'esterno su questo argomento.
Se da una parte l'autogestione è la condizione indispensabile per condurre avanti la nostra pratica politica, essa non è tuttavia sufficiente.
Autogestione non significa corporativismo, né settarismo; senza coscienza di classe né memoria storica -che vuol dire poi senza ideologica comunista-anarchica- essa può trasformarsi in oppressione delle componenti più deboli (numericamente e per altri motivi) del proletariato che pure si autogestiscono correttamente; autogestione può voler dire portare avanti i propri interessi al di sopra delle altre componenti del proletariato.
Autogestione come condizione indispensabile, ma non sufficiente, significa che con l'autogestione e senza organizzazione non si ottiene nulla.
L'autogestione è una luce che rende comunisti-anarchici coloro che vogliono esserlo, ma è inerme contro chi comunista-anarchico non è.
La battaglia per l'autogestione è la più dura fra le battaglie che i comunisti-anarchici si trovano a combattere. L'importante è che ogni nostra lotta sia autogestita, questo è assolutamente necessario.
IV - I RAPPORTI CON LE ALTRE FORZE POLITICHE
Abbiamo analizzato e considerato che in seno al proletariato esistono ideologie controrivoluzionarie pseudo-socialiste e le abbiamo condannate, ma non possiamo dimenticare che nella pratica politica è inutile rifiutare alleanze con chiunque non sia identico a noi.
È necessario prima di tutto distinguere i nemici dagli avversari e questi dagli alleati e questi ancora dai compagni a noi più vicini.
Spesso succede di commettere grossolani errori di valutazione: sia perché spinti dalla foga polemica siamo disposti a condannare chi è molto vicino a noi per una sola cosa ingiusta peccando di troppo purismo, sia perché spinti dalla nobile volontà di unire le forze, siamo disposti ad accettare e lodare ci da noi è molto lontano per una sola cosa giusta peccando di troppo semplicismo.
È purtroppo vero che spesso con chi ci è vicino esaltiamo ed accentuiamo le differenze, mentre con chi ci è lontano siamo disposti ad esaltare le somiglianze sembrandoci troppo ovvie le differenze.
Se fare politica significa anche essere emotivi, il punto su cui maggiormente l'emotività ci porta a commettere errori e proprio quello dei rapporti con le altre organizzazioni.
È necessario essere sempre molto severi con noi stessi su questo punto e bisogna quasi adattarsi alla ineluttabilità di commettere errori su questo campo; con questo "animo" saremo certamente più ben disposti sia a fare autocritica che a comprendere gli errori dei compagni.
È necessario in ogni occasione essere molto attenti a chi -al nostro fianco- opera nella lotta di classe per essere pronti a smascherare i nemici anche quando si ammantano di frasi e parole libertarie per ingannare e turlupinare, e per essere altrettanto pronti a riconoscere come amici coloro che privi di esperienza e di machiavellismo, con la loro ingenua onestà sembrano molto lontani dall'essere nostri compagni.
È questo un compito arduo e difficile; in questo campo ogni errore, ogni fretta, ogni incertezza e persino ogni sicurezza è infida e può essere duramente pagata, però è ASSOLUTAMENTE NECESSARIO sia lottare perché si fondano insieme forze diverse solo in apparenza, per non disperdere energie, sia evitare di allearci con chi poi ci tradirà.
È IMPORTANTISSIMO RICORDARE che moltissime sconfitte dei comunisti-anarchici sono da imputarsi ad eccesso di fiducia e ad errori politici in questo campo.
I comunisti-anarchici tanto bravi nel combattere frontalmente il capitalismo sono stati vinti quando questo si è mascherato da falso comunismo.
I NOSTRI FRATELLI
Ovvero il rapporto con gli anarchici.
Il movimento anarchico viene definito dalle sue caratteristiche fondamentali che sono:
Noi non accettiamo di sintetizzare in un'unica organizzazione politica le eterogenee formulazioni in cui questi principi si possono strutturare; nostro scopo è di rappresentare una tendenza cui tutti si possono aggregare quando coscientemente riterranno giuste le nostre tesi.
Nella consapevolezza che il nostro modo di concepire il comunismo-anarchico è il più scientifico possibile, dobbiamo considerare i compagni che fanno parte dei fratelli come persone che solo approfondendo le proprie analisi possono divenire col tempo e con l'esperienza militanti della nostra organizzazione.
Dobbiamo ricercare la pratica comune, il confronto, la polemica.
Sapendo questo e con la coscienza che molto dipenderà dalla chiarezza con cui riusciremo a motivare le nostre scelte e le nostre convinzioni.
Nessuna paura, nessuna esitazione deve esistere.
Questo però non ci deve esimere dallo smascherare con la massima fermezza chi infiltrandosi nelle fila del movimento anarchico ne vuole snaturare i contenuti e deviare i compagni!
Tanto più forte è la tendenza a collaborare, tanto più forte deve essere la vigilanza nei confronti degli infiltrati e dei provocatori, ma non dobbiamo mai per nessun motivo usare metodi violenti o provocatori nei confronti di coloro che sono portati a sbagliare dalle false credenze, dalle menzogne e dalle tristi esperienze, perché prima o poi o andranno via dal nostro movimento o diventeranno dei nostri.
La polemica deve essere decisa, ma non castrante; la condanna -quando si tratta di provocatori- deve essere motivata e fermissima.
Questo vale sia per la strategia che per la tattica.
I NOSTRI ALLEATI
Consideriamo nostri alleati dal punto di vista strategico (strategia politica) solo quelle organizzazioni politiche che di fatto, pur non considerandosi parte del movimento anarchico, portano avanti prioritariamente obiettivi che fondamentalmente non si discostano dai nostri, anche se sono influenzati da metodi e pratiche di potere che ingenuamente considerano di transizione.
Tranne chi in perfetta coscienza e conoscenza condivide i principi del marxismo-leninismo, senza alcuna critica.
Un'alleanza strategica si basa sulla consapevolezza che essere comunisti-anarchici è difficile, che il capitalismo con la sua ideologia crea barriere spesso invalicabili che impediscono a molti di essere comunisti-anarchici.
Un'alleanza strategica non richiede necessariamente contropartite, essa si basa sulla consapevolezza che i nostri alleati, portando avanti la loro battaglia contribuiscono di fatto al nostro progetto.
Nel valutare queste organizzazioni dobbiamo operare una distinzione fra coscienza e conoscenza dei vertici e coscienza e conoscenza media della base, ed affidarci nel nostro giudizio definitivo alla reale possibilità che ha la base di sconfiggere con una lunga esperienza le teorie imposte dalla storiografia marxista, per la presenza più o meno vivace di una componente libertaria.
Una valutazione attenta che porti a considerare un'altra organizzazione politica come nostra alleata ci deve spingere a ricercare momenti strategici unificanti solo se sostenuti da una possibilità reale di confronto politico.
Consideriamo alleati dal punto di vista tattico tutte quelle organizzazioni politiche la cui stabilità ideologica ci permette di evidenziare una evoluzione in senso libertario della sua base e dei suoi vertici, complessivamente o in parte.
L'alleanza tattica viene attuata solo se esistono vantaggi pratici per la nostra organizzazione o se esistono fondati motivi per ritenere che la pratica di un metodo libertario comunemente usato serva a mettere in discussione i principi politici che informano la teoria politica dei nostri alleati.
Nessuna alleanza deve essere portata avanti se si hanno fondati motivi per ritenere che sia dannosa alla nostra organizzazione.
I NOSTRI AVVERSARI
Consideriamo nostri avversari quelle organizzazioni che di fatto portano avanti una politica che ha intenzione di fare gli interessi del proletariato ma che poi non li fa, e che non hanno nessuna intenzione né nessuna possibilità di cambiare le loro posizioni di fondo autoritarie e verticistiche.
Con queste organizzazioni nessuna alleanza strategica è possibile; sul piano tattico invece si possono portare avanti lotte in comune sempre che ciò giunga utile alla nostra organizzazione, purché si abbia consapevolezza piena che bisogna essere SETTARI ed attenti ad ogni possibile danno che queste alleanze rischiano sempre di arrecare alla nostra organizzazione.
Il criterio guida deve essere:
È importante questo proposito ribadire quello che l'esperienza storica ci ha insegnato e cioè che gli avversari sono sempre pronti a propensi ad eliminare quelle forme di organizzazioni politiche che si rifanno a pratiche libertarie ed è necessario che i comunisti-anarchici si assumano il compito ideologico e pratico di difendere non solo la nostra organizzazione ma l'intero movimento anarchico e, se è possibile, anche i nostri alleati da queste pratiche che -ripetiamolo- l'esperienza ci ha insegnato essere TIPICHE di coloro che abbiamo definito come avversari.
Questa considerazione però non deve impedirci di trarre vantaggio dalla loro forza quando ciò giunga tatticamente utile alla nostra organizzazione.
I NEMICI
Nostri nemici sono coloro che hanno tradito la causa del proletariato e che rimangono nel suo interno non essendo riconosciuti come traditori.
Il nostro compito è combatterli con tutti i mezzi e su tutti i piani purché questa lotta non provochi una retrocessione o una perdita di forza della lotta di classe.
Nostro compito è di difenderci da costoro in qualsiasi modo, a qualsiasi prezzo, perché la sopravvivenza del comunismo-anarchico nella lotta di classe è essenziale affinché ci sia almeno una possibilità che questa un giorno finisca.
Nostri nemici inoltre sono tutti i capi, tutti coloro che detengono una forma di potere anche quello cosiddetto socialista; contro costoro bisogna attuare una lotta continua e costante, aspra e strisciante a seconda delle circostanze, senza lasciare tregua e senza mai dare a intendere di accettare questo dato di fatto.
Ridicolizzare il potere, anche quello rosso, non significa far arretrare la lotta di classe, ma in ogni caso e purché ciò non sia lesivo per la nostra organizzazione o per gli interessi immediati del proletariato, farla avanzare.
(documento assunto al 1° Congresso della FdCA del 1985)