Attivo Nazionale sull'intervento sindacale

N°. 1

Genova, 23 ottobre 2003

 

Rilancio della lotta salariale:

Concertazione/contrattazione

Rappresentanza/rappresentatività

 

1. "Se uno degli scopi prioritari del moderno assetto globale dell'economia è la frantumazione dell'avversario di classe, unica condizione per la quale la guerra della concorrenza può dispiegarsi in tutta la propria violenza, senza che la fragilità che ne deriva per il sistema capitalistico possa essere sfruttata per il suo abbattimento cosciente e strategicamente perseguito, scopo di un'organizzazione che si pretende rivoluzionaria è quello di ricostruire l'unità di classe del proletariato. Storicamente il terreno su cui la classe ha sempre costruito la propria coesione, la propria forza, la propria capacità di aggredire l'organizzazione del lavoro capitalistica, la propria possibilità di costruire alleanze con i ceti medi ed il sottoproletariato è stato quello salariale. Proprio l'abbandono della lotta salariale, la moderazione delle rivendicazioni, la subalternità agli obiettivi della controparte, hanno permesso, negli anni '70 ed '80, il passaggio da una fase di attacco ad una fase di ripiegamento, sempre più vistoso della lotta di classe. Occorre quindi una nuova iniziativa nell'ambito del potere di acquisto per ricostruire fiducia, aggregazione e possibilità di invertire la tendenza alla continua perdita di potere del movimento dei lavoratori".

(FdCA, Atti del V Congresso, Firenze 1997)

2. La concertazione, su cui si erano mollemente adagiati i dirigenti sindacali, è nei fatti e ideologicamente completamente diversa dalla contrattazione, cui ora saranno costretti ad adeguarsi; e loro non sono preparati, perché gli attuali quadri dirigenti sono nati e cresciuti, sindacalmente parlando, sotto il segno della triangolazione e non conoscono altra forma di trattativa. La concertazione, infatti, ha nei suoi presupposti l'idea che esiste un bene comune (rappresentato dall'esecutivo), a cui le parti devono addivenire stiracchiando ognuna un po' verso i propri interessi partigiani. Da ciò discendono alcune non banali conseguenze. La prima è che vi è una strada unica per il benessere collettivo e lo sviluppo, e che la funzione degli interessi particolari è solo quella di portare il proprio contributo all'individuazione di questa strada: nella trattativa ognuno cede qualcosa di suo, ma il risultato è tale da compensare tutti ampiamente. La seconda conseguenza è che il Governo (democraticamente eletto) è per l'appunto il garante del bene della collettività e, quindi, si erge quale arbitro imparziale nel conflitto dirigendo la trattativa verso il vantaggio di tutti. E' facile capire come questi presupposti siano filosoficamente falsi (ci voleva proprio Berlusconi per comprendere che chi governa lo fa nell'interesse del più forte?) ed è altrettanto facile capire come da questi presupposti sia discesa una stagione di pesanti arretramenti del tenore di vita e dei diritti dei lavoratori. Si comprende anche come da questa impostazione abbia tratto legittimità il pensiero unico e la falsa idea che i fatti economici abbiano una loro oggettiva interpretazione, da delegare ovviamente agli esperti (era necessario il ministro Tremonti per capire per conto di chi lavorano gli esperti?). La fase della contrattazione che, giocoforza, si sta aprendo è di natura completamente diversa. Le parti sociali si confrontano non sotto l'egida di un'idea superiore di bene collettivo, ma ognuna con la propria forza contrattuale e con i propri interessi ben distinti. Non ci sono più le strettoie della tappatrice che preme da più parti il tappo per farlo entrare nel collo della bottiglia, apparentemente molto più piccolo di diametro. Questo significa che questa stagione può portare anche risultati inferiori di quella precedente, ma anche che non c'è un limite invalicabile (l'inflazione programmata) ai conseguimenti del confronto e della lotta. Presentarsi ad un tavolo di trattativa ora significa non avere atterraggio sicuro perché, comunque, qualcosa si porta a casa, un contentino che risarcisca apparentemente del molto che si è ceduto: si può uscire totalmente a mani vuote e bisogna dare indicazioni chiare per ottenere obiettivi presentabili e mantenere in tal modo alta la tensione tra i lavoratori e conservare la loro fiducia. La contrattazione ha storicamente fornito sconfitte pesantissime, come nei primi anni '50, ma ha anche consentito avanzamenti impensabili e conquiste di assoluto rilievo, come a cavallo degli anni '60-'70. In essa si misurano la vera capacità dei dirigenti sindacali e i rapporti di forza reali tra capitale e lavoro. Su di essa spera il movimento antagonista, il sindacalismo conflittuale per la riapertura di un ciclo di lotte la cui conclusione non abbia già recinti prefissati.

Occorre riflettere su 2 livelli di contrattazione. La CISL, sindacato tipicamente concertativo, cresce negli anni '50 sulla contrattazione aziendale, cioè sulla contrattazione integrativa. Difatti, questo livello si presta più ad accordi meno conflittuali: da un lato una fabbrica con classe operaia forte porta la controparte a cedere più facilmente se solo ce ne sono i margini e facili vittorie si possono ottenere laddove i margini di profitto sono molto ampi per integrare i lavoratori nella logica produttiva aziendale. Il padrone vicino può essere più brutto, ma è un nemico meno mitico ed impenetrabile di una controparte di funzionari impersonali.

Al tempo stesso, il CCNL deve tener conto anche dei margini risicati delle aziende più piccole o meno floride, quindi se fornisce risultati meno eclatanti, li fornisce per tutti, livellando i diritti e creando solidarietà.

Infine, forse non è un caso che con l'allargamento europeo non si parli di un contratto per tutta l'area, ma sorgano invece tentazioni di contratti regionali, che frantumerebbero anche quei pochi residui di aggregazione operaie nazionali.

3. La rappresentatività è il modo di pesarsi dei sindacati per contare al tavolo delle trattative, e come tale ci interessa il giusto. La rappresentanza è il modo in cui i lavoratori si organizzano e delegano i propri interessi, e come tale ha maggiore interesse per gli attivisti sindacali anarchici e libertari.

L'accordo-quadro sulle RSU nel Pubblico Impiego del 1998 risponde solo al primo criterio; questo costituisce il vizio di fondo di tutte le RSU, non solo di quelle del P.I. (basti pensare alle quote riservate).

Per risolvere il problema della rappresentanza, occorre ripartire dalla nostra concezione del Sindacato dei Consigli. Tutti elettori, tutti eleggibili; scheda bianca; revocabilità; rappresentanti di reparto. Soprattutto quest'ultimo che lega indissolubilmente delegato e deleganti.

Il diritto di assemblea deve essere restituito ai lavoratori e la frammentazione delle RSU non va in questa direzione.

E perché non riproporre i delegati di contratto?

Le compagne ed i compagni FdCA presenti all'Attivo