7° Attivo Nazionale sull'intervento sindacale

Fano, 9 dicembre 2012

 

Crisi, intervento sindacale oggi, ruolo dei comunisti anarchici

 

Alla presenza di attivisti sindacali provenienti da Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Sicilia, Veneto, si è svolto nella sede del Centro di Documentazione "Franco Salomone" il settimo attivo sindacale nazionale della Federazione dei Comunisti Anarchici.

Nella prima sessione, sono stati presentati interventi sulla situazione del settore privato, del settore pubblico, del precariato, della CGIL, del sindacalismo di base e su realtà di intervento sindacale a carattere locale.

Nella seconda sessione sono stati affrontate le linee di intervento degli attivisti sindacali comunisti anarchici, comunisti libertari e dell'anarchismo di classe.

Settore privato

La decostruzione del CCNL ha permesso l'eliminazione di ogni vincolo contrattuale all'azione deprimente da parte del padronato su salari, orari, flessibilità, mansioni, produttività, diritto alla malattia. Gli accordi separati, escludenti sindacati dissenzienti, hanno reso progressivamente inefficaci le tutele previste dal CCNL. Il quadro normativo che ne è uscito ha reso sanzionabile ogni azione autonoma dei lavoratori all'interno dei luoghi di lavoro, che cerchi di reagire all'insieme di deroghe e di processi di distruzione di siti produttivi con conseguente attivazione di ammortizzatori sociali in crescita esponenziale (+315% ore di CIG dal 2008) a fronte di una crisi economica che sta modificando profondamente il tessuto produttivo e la composizione organica della forza lavoro.

Settore pubblico

L'azione combinata del governo Berlusconi e del governo Monti ha condotto al congelamento del CCNL con effetti destrutturanti su diritti, tutele e retribuzioni. La progressiva riduzione delle piante organiche con creazione di centinaia di migliaia di lavoratori precari, insieme ad esternalizzazioni e processi di privatizzazioni, resi possibili dalla diffusione della sussidiarietà, ha posto i lavoratori ed i loro sindacati in una situazione di progressivo ricatto occupazionale e di difficoltà di risposta sul piano delle lotte.

Precariato

La necessità di accumulazione flessibile da parte capitalistica - iniziata ben prima della attuale crisi economica - ha previsto, costruito e diffuso una condizione di precarietà nella ricerca del lavoro, nel rapporto di lavoro e nell'azione sindacale sul posto di lavoro, strettamente collegata ad un progressivo calo dell'offerta di lavoro. Ne è scaturita una endemica deregolamentazione giuridica e di fatto sia sul piano delle forme contrattuali, retributive (stipendio diretto e differito) che normative (licenziabilità, subordinazione incondizionata alle esigenze padronali e statali, ricattabilità).

CGIL

La scelta ventennale della CGIL di porsi solo come sindacato di servizi l'ha portata a rinunciare ad ogni ruolo conflittuale di breve/media durata a favore della concertazione. Si è sviluppato così al suo interno un ceto burocratico poco interessato al conflitto ed alla prassi della democrazia interna. Questo ha condotto il maggiore sindacato italiano in una situazione di difficoltà, nel momento in cui la crisi economica richiedeva una più decisa azione sul piano del contrasto delle scelte capitalistico-statuali. La FIOM, dopo un decennio in cui ha cercato di adempiere al ruolo di sindacato rivendicativo e conflittuale, si trova oggi in una situazione di grave difficoltà a fronte del non giungere a maturazione delle sfide che aveva lanciato sul piano industriale, tanto all'interno della CGIL quanto nel territorio.

Sindacalismo di base

La mancanza di esiti sul piano unitario alla concreta possibilità di costruire un credibile soggetto di massa alternativo al sindacalismo concertativo, ha posto il sindacalismo di base in una situazione di frammentazione che ne mina l'azione sindacale sia sul piano dell'efficacia che delle adesioni. L'esistenza di normative liberticide che impediscono alle organizzazioni sindacali di base l'accesso alla rappresentanza ed alla rappresentatività influiscono decisamente sulla loro capacità di radicamento e di sindacalizzazione, ma al tempo stesso non sembrano indurre processi di risposta sul piano della alleanza/coordinamento/unificazione delle varie realtà di base.

Intervento degli attivisti sindacali libertari

In questa situazione di grave difficoltà per l'azione sindacale di massa, conflittuale ed auto-organizzata, il ruolo degli attivisti sindacali libertari non può prescindere da due obiettivi di fondo:

Oggi l'esistenza nelle organizzazioni sindacali di una ancora rigida organizzazione in categorie di lavoratori a tempo indeterminato rimanda ad una concezione del lavoro omogeneo sul piano delle mansioni, del salario e dello status contrattuale, ancora esistente ma non più prevalente. Il rischio è quello di non cogliere come la diffusione della precarietà - tanto sul piano del rapporto di lavoro quanto sul piano della distruzione di autonomia di scelte nella vita - rappresenti un processo in cui occorre andare a ricostruire legami di appartenenza collettivi, in cui occorre alimentare un processo di ricomposizione di interessi materiali, all'interno di un sindacato industriale intercategoriale, rappresentativo delle varie figure lavorative contemporanee.

L'azione sindacale degli attivisti libertari non può essere vincolata ad una scelta precostituita di sigla sindacale, ma deve rapportarsi ove possibile alle situazione relazionale, organizzativa e di lotta di ogni singolo posto di lavoro, dal momento che la priorità è la scelta di appartenenza, di inserimento e di azione all'interno dei lavoratori come tali.

In questo senso è decisivo stimolare tutte le forme di ricostruzione di un tessuto sindacale democratico ed antiautoritario che favorisca la piena partecipazione ed autodeterminazione dei lavoratori, tramite i loro organismi assembleari ed elettivi.

In questo periodo storico denso di difficoltà sul piano dell'attività sindacale, è raccomandabile che gli attivisti sindacali libertari si rendano protagonisti della promozione e dello sviluppo di strutture di coordinamento territoriali di lavoratori e di altri soggetti sociali, per impedire che la "questione lavoro" nella sua declinazione sindacale e sociale venga relegata a questione minore e non centrale; per impedire che - all'interno di una lotta di resistenza e di lunga durata - prevalgano scorciatoie elettorali e nazionalizzatrici che distolgano i lavoratori dalla lotta anticapitalista per la nostra emancipazione.

Fano, 9 dicembre 2012