COMUNISTI ANARCHICI: UNA QUESTIONE DI CLASSE

 

3. Perché comunisti: cosa ci accomuna alla sinistra
 

Esistono frange all’interno della storia del movimento anarchico che, partendo da una difesa tutta filosofica dei diritti dell’individuo (visto come una monade autosufficiente), sono sfociate in un disprezzo delle masse dal marcato odore reazionario. Ma nella sua stragrande maggioranza (quasi totalità) l’anarchismo, come movimento storico, si è collocato sempre a sinistra, a difesa dei più deboli, degli sfruttati, battendosi con intransigenza per la loro liberazione.

Una parte degli anarchici, pur dichiarandosi di sinistra, nel supporre che la propria teoria fosse liberatoria per l’intera umanità (servi e padroni), è venuta supponendo che le buone idee marcino da sole, basta che vengano comprese; quindi il loro compito principale è finito nel consistere in una pura propaganda ideale, col conseguente rifiuto della lotta di classe.

Da un lato quindi hanno rifiutato l’organizzazione, come principio autoritario in sé, e dall’altro, spinti da un odio cieco (al di fuori cioè di un’analisi puntuale) per il marxismo, hanno supposto che la società divisa in classi non fosse una realtà, ma un invenzione del filosofo di Trier. L’inazione e la sterilità sono stati il frutto di questa impostazione.

Delle correnti autenticamente di classe del movimento anarchico, ben tre filoni hanno assunto il termine comunista nelle proprie definizioni teoriche (comunismo libertario, anarco-comunismo e comunismo anarchico), mentre altri filoni si sono richiamati al sindacalismo (sindacalismo rivoluzionario, anarcosindacalismo in varie forme). Ci soffermeremo su tutte queste distinzioni in un capitolo successivo.

Qui preme sottolineare che il termine comunismo sta a significare in modo palese l’adesione a principi di classe che contraddistinguono tutta la sinistra rivoluzionaria, indipendentemente dalle scuole di pensiero.

Di fatto gli anarchici per primi lo hanno adottato su larga scala. La sua assunzione cosciente anzi ha rappresentato una maturazione precoce del movimento anarchico, che è passato dalla fase collettivista, cui era ancora legato Bakunin (da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno in misura del proprio lavoro), alla fase veramente egualitaria (da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni).

Prima che sul finire del XIX° secolo gli anarchici adottassero l’aggettivo comunista, esso era relegato ad alcune sette utopistiche prive di importanza, quali gli icariani che si rifacevano a Étienne Cabet.

I marxisti lo avevano assunto inizialmente, tant’è che Marx ed Engels, proprio per il piccolo gruppo di tedeschi emigrati in Inghilterra uniti nella Lega dei Comunisti, scrissero nel 1848 il Manifesto del Partito Comunista. Ma successivamente ripiegarono in tutti i paesi sul termine socialdemocrazia, in parte per gli accordi con i lassalliani, che stanno alla base della nascita del partito socialdemocratico tedesco, ed in parte perché il programma comunista era giudicato troppo avanzato per dei movimenti politici che dovevano pur sempre agire all’interno di società borghesi non ancora pienamente sviluppate (per il marxismo ortodosso prima della rivoluzione sociale la borghesia doveva sviluppare tutto il proprio potenziale progressista, ed il proletariato doveva collaborare a ciò, perché solo quando questo compito delle classi proprietarie si fosse esaurito e la società borghese si fosse avvitata su se stessa, le contraddizioni che essa portava in seno potevano scoppiare, dando origine alla nuova era del dominio del proletariato).

Solo dopo la rivoluzione russa dell’ottobre 1917 nei partiti marxisti di tutto il mondo tornerà l’aggettivo comunista, quando i comunisti anarchici lo avevano già utilizzato da mezzo secolo all’incirca in totale analogia con anarchismo di classe..

 


3.1. Metodo (materialismo storico)

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