COMUNISTI ANARCHICI: UNA QUESTIONE DI CLASSE

 

5. Perché comunisti anarchici: cosa ci distingue dagli anarchici
 

Molte sono le forme che l’anarchismo ha assunto nel corso della sua evoluzione storica, una quantità davvero enorme di rivoli diversi. Il comunismo anarchico si distingue nettamente da tutte queste incarnazioni ed il presente capitolo tende a delineare i suoi connotati distintivi, marcando le differenze con le altre scuole di pensiero. Di queste ultime non ne considereremo solo due. Gli educazionisti e gli individualisti puri; e questo perché entrambe non rientrano neppure nella categoria delle correnti rivoluzionarie.

I primi, faceva già rilevare Malatesta, reputano che con l’educazione si possa mutare la natura dell’uomo, prima di mutarne le condizioni materiali di esistenza. Ovviamente contestare ciò non significa reputare non essenziale il problema educativo, ma solo pensare che non basta un buon programma di educazione per passare senza colpo ferire al comunismo, per il semplice fatto che tutti si convincono che esso è il solo sistema razionale di organizzazione della società.

L’evoluzione del pensiero individualista merita un breve esame, in quanto è oltremodo istruttiva. Il loro primo teorico ufficiale, Johann Kaspar Schmidt noto come Max Stirner, era un mite insegnante in un liceo femminile e la sua carica pretesa dirompente si esplicava solo nella radicalità degli scritti: fu aspramente criticato nel capitolo san Max da Marx ed Engels nell’Ideologia tedesca, insieme a tutti gli altri esponenti della sinistra hegeliana. L’idea di fondo, che poi fece strada filosoficamente nel pensiero di Friedrich Nietzsche e divenne la bandiera degli individualisti anarchici, era che la misura della libertà era quella dell'indipendenza dell’individuo, nel totale disprezzo della banale considerazione che l'uomo è un animale sociale e che tutte le sue conquiste storiche (quelle stesse che hanno permesso lo sviluppo del pensiero astratto e quindi anche le fantasie di Stirner) sono state ottenute solo grazie alla sua vita associata, hanno le loro basi solo sul lavoro collettivo di tutti gli uomini, sono frutto di miliardi e miliardi di anonimi apporti alla costruzione del benessere e dell'evoluzione della specie. La specie umana vive oggi in una così spessa trama di rapporti tra tutti i suoi appartenenti presenti e passati, che la totale libertà di un essere isolato quale singolo individuo è una categoria filosofica del tutto avulsa dalla realtà. Partendo da questo improbabile presupposto gli individualisti hanno cominciato a staccarsi da ogni raggruppamento sociale, a disprezzare le masse, a loro avviso asservite pecorilmente al potere, e hanno finito così per scambiare l'anarchismo come la lotta contro l'autorità e lo Stato e non come la lotta per la conquista di una società egualitaria. Nelle loro teorie l’uguaglianza sociale è scomparsa dall'orizzonte per lasciare posto ad una ricerca sfrenata della libertà del singolo, che spesso sconfina con la lotta di tutti contro tutti, già teorizzata dal capostipite del liberalismo sociale Thomas Hobbes, e tanto cara al capitalismo aggressivo del momento storico che stiamo vivendo. Non a caso vengono classificati quali anarchici teorici del liberalismo estremo e della competizione quale unica fonte di progresso sociale come gli austriaci della prima meta del XX° secolo Friedrich August von Hayek e Ludwig von Mises; non a caso negli Stati Uniti d’America alligna una corrente di sedicenti anarcocapitalisti (Friedmann) che vedono l’unico nemico nell'accentramento statale, colpevole, forse, ai loro occhi di limitare le possibilità di intrapresa dei singoli più spregiudicati ai danni della grande maggioranza dei loro simili, e che vedono la soluzione di ogni problema sociale nell’affidamento a mani private, sollecitate dal profumo del profitto, di ogni iniziativa economica, di ogni servizio collettivo, di ogni aspetto della vita della specie umana. Su questa china gli individualisti, o meglio gran parte di essi, sono finiti a combattere non lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma ogni ostacolo che a questo sfruttamento si opponga. Altri, pochi, hanno però mantenuto un ruolo di militanza attiva tra le file del proletariato, che, seppur non strutturato, ha portato e porta contributi di assoluto rilievo.

 


5.1. L’organizzazione

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