L'UNIONE FA' LA FORZA

Immigrazione e lotta di classe

 

La presenza massiccia di immigrati in Italia e in generale in Europa è un aspetto dello sviluppo del capitalismo odierno che deve essere esaminato attentamente e con un'ottica di classe, pena il cadere nell'acritica posizione a favore o contro la chiusura delle frontiere agli " extracomunitari", che da sola non fa' fare un passo avanti al problema. Basti pensare che molti ambienti cattolici, anche per nulla progressisti sono a favore di una società "multietnica", dove però i poteri attuali non siano per nulla in discussione, ma semmai ci sia la possibilità per il capitalismo di giocare su più piani, divisione dei cittadini per religione, razze, per ottenere il maggior profitto possibile dall'utilizzo della forza lavoro.

Bisogna invece partire dalla constatazione che il terzo e quarto mondo bussano alle porte dell'Europa ricca, non soltanto per scelte autonome degli individui che vogliono migliorare il loro livello di vita, ma perché è stato ed è interesse di questa struttura economica avere un esercito di manodopera di riserva che permetta maggiori profitti, ricattando costantemente la massa dei disoccupati e dei lavoratori organizzati sindacalmente dei vari paesi.

D'altronde le contrapposizioni fra aree arretrate e aree sviluppate è uno dei cardini di funzionamento della società basata su una struttura produttiva di tipo capitalistico.

Quindi l'arrivo pluridecennale di immigrati in Europa è stato uno strumento di questa politica ed è stato coscientemente utilizzato per stroncare la classe operaia (basti pensare alle prime assunzioni di "extracomunitari" in Italia proprio nel settore Fiat), fino al punto di svolta della seconda metà degli anni '80, quando il movimento di opposizione è stato messo in ginocchio un po' in tutte le nazioni europee attraverso politiche recessive e thatcheriane.

Oggi quindi la maggioranza dei paesi europei è riuscita ad ottenere la deregulation del mercato del lavoro, in parole povere la gestione della forza lavoro a condizioni di massimo sfruttamento; o come forza lavoro precaria e stagionale, con un continuo ricambio di braccia e con una rigida selezione all'ingresso, spezzando in contemporanea ogni possibilità di organizzazione dei lavoratori "extracomunitari" mediante la politica delle espulsioni, o direttamente come in Svizzera con quella della non ammissione senza contratto di lavoro a termine e condizionato alla scelta della non introduzione del nucleo familiare, con sistemi ancor più raffinati di ghettizzazione.

L'Italia presenta una situazione contraddittoria rispetto al problema della forza lavoro immigrata. Per lungo tempo l'arrivo di masse consistenti di slavi, di nord e centro africani è stata accettata e spesso incoraggiata dal sistema produttivo che ha impiegato questi lavoratori come forza lavoro sottopagata e supersfruttata sia nel settore industriale che in quello agricolo, attraverso il lavoro nero, orari e condizioni di lavoro disumane.

Anche nel settore della distribuzione la presenza di lavoratori non garantiti, i cosiddetti "vu cumprà" ha permesso l'aumento di profitti attraverso fenomeni di evasione fiscale, di lavoro a nero, di supersfruttamento da parte di piccole e medie aziende, senza distinzione di zona e colore politico degli imprenditori - dalla camorra napoletana, alle aziende che si affidavano a missionari e ambienti cattolici per avere il "negro buono" fino alle aree rosse del centro Italia -, il piccolo e medio produttore o commerciante che ha garantito l'approvvigionamento delle merci da vendere ha lucrato a dismisura su questi lavoratori, salvo poi partecipare alle campagne di stampo razzista perché i "vu cumprà" sporcano l'ambiente.

Le forze politiche che stavano preparando il cosiddetto passaggio dalla prima alla seconda Repubblica hanno poi abbondantemente sfruttato i problemi derivanti dall'arrivo e dalla presenza di "extracomunitari" per fare le loro prove di controllo poliziesco del territorio, fino all'uso degli stadi per il controllo e la repressione di masse come quelle albanesi sbarcate in Puglia nel 1991. Il fenomeno del presunto assalto alle coste pugliesi da parte degli albanesi è stato uno dei momenti cardine di questa politica che ha visto fianco a fianco socialisti alla Boniver con golpisti, o capi di Gladio come Cossiga.

Riflettiamo sul fatto che con i normali sistemi di avvistamento via satellite l'assalto degli albanesi era conosciuto fin dall'inizio e poteva essere quindi prevenuto, o comunque, adeguatamente affrontato, anche senza i metodi che poi furono usati.

E' ormai dimostrato però che la scelta della ghettizzazione di così larghe masse, chiuse in uno stadio, alla mercé di forze di polizia infiltrate da servizi segreti, servì a fare dell'occasione che si presentava un esperimento di controllo sociale di masse di dissenzienti da parte delle forze dell'ordine. Basti pensare che il cibo sotto forma di alimenti liquidi veniva lanciato da elicotteri sulla folla per vedere le reazioni esasperate che ciò determinava, con atti di provocazione da parte dei servizi segreti denunciate financo dalle forze di polizia. Eppure sarebbe stata possibile un'accoglienza più umana e civile tramite le strutture della Protezione Civile e degli enti locali, di fatto esautorati dalle scelte del Ministero degli Interni, che fece dell'operazione un'ottima prova generale di repressione e di "manomissione" della pubblica opinione.

Tant'è che la militarizzazione delle coste italiane messe in atto successivamente non ha poi suscitato tanta opposizione né nel Parlamento né nel paese. In fin dei conti, s'è detto, rientra nelle scelte politiche delle altre nazioni europee. Come se la politica delle "frontiere sicure" a difesa del ghetto europeo potesse tenerci fuori sia materialmente che moralmente dai problemi degli altri popoli afflitti da un ritardato sviluppo economico o problemi drammatici di guerra come nei Balcani dove gli scontri etnici e religiosi si intrecciano con un duro scontro tra potenze economiche rivali!

 

CHE FARE

Di fronte a questa realtà un movimento che voglia ricucire la possibilità di azione anticapitalista a livello europeo deve avere fra le priorità nella sua strategia politica quello di eliminare la contraddizione all'interno della classe rappresentata da forme di razzismo, sfruttando invece le contraddizioni che la presenza di un vasto serbatoio di manodopera introduce, a fini di cambiamento radicale della società capitalistica.

L'esperienza storica ci dimostra che non è attraverso l'inseguimento della socialdemocrazia o di scelte di politica di sviluppo nazionale, con il legarsi a una parte della borghesia invece che a un'altra, come pensano di fare gli ex-comunisti del PDS, che si può cambiare la struttura dell'attuale società.

Solo un movimento operaio che abbia una coscienza di classe elevata, che punti all'unità degli obiettivi di lotta, che sappia unificare attorno a questi gli occupati, i disoccupati, gli immigrati, i marginalizzati in una logica di opposizione anticapitalista, può battere il controllo totale del capitale.

Riportare all'attenzione delle masse il problema del possesso dei mezzi di produzione e dell'estrazione del plusvalore, puntare come obiettivo di un programma minimo alla massima occupazione, ad aumenti salariali, a condizioni di vita e di lavoro sempre migliori deve accompagnarsi all'inserire tra questi obiettivi anche i lavoratori immigrati. Questo significherà assumere come obiettivo minimo per loro possibilità e necessità di uscire dalla clandestinità per essere riconosciuti a tutti gli effetti come lavoratori uguali agli altri. Si potrà così spezzare la catena della contrapposizione fra garantiti e non garantiti e quindi si romperà la possibilità di giocare su questa contraddizione da parte del capitalismo.

Le divisioni, le rotture, le contrapposizioni fra lavoratori italiani e stranieri, servono solo a mantenere il dominio di una struttura economica che provoca queste lacerazioni, che ha bisogno di un mercato del lavoro debole, frastagliato, con figure di lavoratori forti e un settore debole rappresentato principalmente da immigrati, donne e giovani.

Compito dei lavoratori che vogliono dare forza, rivitalizzare una reale opposizione a questo sistema economico che spezza realtà sociali, che crea divisioni e contrapposizioni fra lavoratori, è quello di unire il più possibile lavoratori di razza, religione, sesso diversi.

L'unione fa' la forza, hanno detto spesso i lavoratori organizzati; la forza di cambiare questo mondo, di arrivare a crearne uno dove l'uomo abbia valore in sé, e non come merce, dove i popoli possano valorizzare le loro risorse culturali, ma soprattutto si liberino dall'oppressione economica capitalistica e possano gestire liberamente, in maniera autogestita, una società più libera ed egualitaria.

La solidarietà fra i popoli e l'internazionalismo per noi comunisti anarchici non sono parole vuote, semplici slogan; sono gli elementi indispensabili della nostra teoria dalla quale quindi deriva un approccio con i problemi dei rapporti fra i popoli diverso dalla visione solidaristica che oggi accomuna settori della società e forze politiche così diversi, dagli ex comunisti, ai cattolici, fino ai vari tipi di integralismi che oggi purtroppo prosperano in tutte le società.

Bisogna quindi che il movimento di opposizione anticapitalistica italiano ed europeo faccia chiarezza su questo problema; ne verrà sicuramente rafforzata la possibilità di azione politica unitaria e la rinascita di un'opposizione di classe in Europa, ma anche i legami internazionali fra forze anticapitalistiche, i soli che possono permettere un cambiamento reale della società attuale.


A.D.