In marcia per la libertà

Accanto ai lavoratori dell'ILVA, che non cedono il loro diritto alla salute

Accanto ai cittadini di Taranto, che rivendicano il loro diritto a lavorare per vivere, non per morire

 

Taranto è l'emblema del fallimento della classe imprenditoriale italiana che ha cercato di galleggiare sulla crisi riducendo i costi del lavoro e delle tutele ambientali, invece che investire per ammodernare impianti e tecnologie, contando sulla complicità dello Stato.

Taranto è l'emblema del fallimento di una classe politica nazionale, incapace di occuparsi del paese reale, incapace di ogni politica industriale e di ogni parvenza di pianificazione e indirizzo della cosa pubblica, pronta a favorire padroni e padroncini, ed è l'emblema di una classe politica locale preoccupata nella migliore delle ipotesi delle proprie compatibilità.

Taranto è il simbolo del fallimento della scelta legalitaria, del pensare che le leggi bastino a se stesse, anche se non ci sono rapporti di forze utili a farle rispettare.

Taranto è l'emblema dell'impossibilità di sopravvivere al presente, anche da parte dei lavoratori e dei sindacati, se non si riesce a immaginare un futuro diverso.

E da Taranto bisogna ripartire.

Quello che si farà all'ILVA di Taranto dipende da quanto i lavoratori dell'ILVA riusciranno a imporre la loro presenza, la loro competenza, la loro conoscenza dei cicli produttivi nelle scelte di bonifica e di messa in sicurezza degli impianti, la loro partecipazione al percorso decisionale e di controllo. Da quanto in questo saranno capaci di coinvolgere i loro compagni dell'ILVA nel resto d'Italia, perché se a Taranto si muore di lavoro non è che in Liguria si festeggi. E dall'infame e scontato ricatto padronale bisogna uscire, tutti insieme. E se, o visto che, alcuni sindacati questo non riescono proprio a capirlo, solo i lavoratori possono farglielo capire.

E anche se come probabile quello che si è fatto a Taranto continuerà a seminare morti per i prossimi dieci anni, quello che i cittadini di Taranto riusciranno a fare per modificare le politiche sanitarie regionali potrà forse farlo. Visto che si muore di più, a Taranto, se si abita a Tamburi, in un quartiere popolare, e non si può andare a farsi curare al nord. Altro che tagli alle spese regionali per la sanità! Perché oggi si sa quello che succede a causa dell'ILVA di Taranto, e di tante altre realtà produttive che producono sulla pelle dei lavoratori e delle lavoratrici, e delle loro famiglie, a Taranto come a Priolo, come anni fa a Bagnoli e all'Acna di Cengio, e sono i numeri a dire che se si è poveri si muore di più, perché si è curati di meno, o si curati peggio.

Quello che succede a Taranto, non è solo un problema di Taranto, quello che succede all'ILVA non è solo un problema dei lavoratori e delle lavoratrici dell'ILVA e delle loro famiglie. E' tutto un paese che deve ripartire dal basso, riguadagnare salute, diritti, lavoro.

Perché se un futuro diverso è possibile, va costruito insieme. E intanto che a Taranto si lavori per vivere, all'ILVA come altrove, e non per morire.

FdCA Puglia

15 dicembre 2012