La maledizione di luglio
In pochi giorni abbiamo assistito alla fine di fatto del lungo ciclo segnato dagli accordi del luglio 1993. I contratti nazionali del Pubblico Impiego (seguito dalla prima applicazione per i ministeriali), dei chimici, delle Poste e le ombre che da questi rinnovi si proiettano su quello dei metalmeccanici ed altre categorie, segnano un superamento - in peggio - dei già pessimi e famigerati accordi di 14 anni fa, senza attendere quel de profundis ufficiale che da tempo Confindustria chiedeva.
Triennalizzazione dei contratti, scomparsa degli arretrati nel computo degli aumenti, crescente e scambievole flessibilità salariale ed oraria, meritocrazia salariale individuale e di azienda, naturalizzazione della Legge 30, deroghe ai CCNL, decisionismo degli apparati dei sindacati di categoria al di fuori ed in mancanza di una strategia contrattuale intercategoriale, hanno portato in poco tempo all'abbandono di quel sistema di riferimento che ormai funziona solo come modalità di calcolo al ribasso degli aumenti contrattuali per il dannato meccanismo dei tetti di inflazione programmata.
Poco male, dato che da tempo certa sinistra sindacale chiedeva il superamento della cosiddetta concertazione, per restituire autonomia alla vera contrattazione. In realtà, se la concertazione era già finita durante il governo di centro-destra, appare del tutto inutile oggi, dal momento che l'obiettivo degli apparati delle organizzazioni sindacali di vertice era ed è quello di svolgere un ruolo di vero e proprio partneriato con la classe politica di centro-sinistra e quella padronale, come in un grande consiglio di amministrazione d'azienda.
Se l'accelerazione di questi ultimi tempi era già annunciata dalla normalizzazione in casa CGIL (ai danni della FIOM e di delegati troppo ligi al ruolo di rappresentanti reali dei lavoratori e delle loro decisioni assembleari), il suo sfociare in accordi così condivisi da sorrisi e comune soddisfazione delle parti, è stato possibile grazie al diffondersi di un progetto e di un processo di aggregazione interclassista che sta attraversando le organizzazioni sindacali di vertice, i partiti del centro-sinistra, e che si candida a nuovo blocco di potere nel paese.
Non ha ancora un simbolo, né sedi e bandiere, non ha ancora un leader né organismi dirigenti, eppure ha già un nome che influenza, indirizza molti aspetti della vita economica e sociale, scompagina gli schieramenti e le alleanze di potere incrostatesi nel corso del decennio passato.
Senza risparmiare gli apparati sindacali, CGIL in primis.
Eccolo il Partito Democratico, il quale nonostante lo scetticismo analitico della sinistra rivoluzionaria oppure le accuse di tramare nell'ombra che salgono dalla sinistra radicale, aveva già scritto i contenuti di quei rinnovi contrattuali, se solo si vogliano leggere i memorandum, le pre-intese, il Dpef, il manifesto dei sindacalisti, che da mesi parlano chiaro.
La stessa psico-trattativa sulle pensioni si sta avviando alla sua conclusione tra tenersi l'antidemocratico scalone di Maroni o salire il democratico combinato di scalini e pianerottoli degli esponenti PDisti alla trattativa con claque in platea.
Messe le mani esplicitamente anche sull'ennesimo referendum elettorale, il PD punta al futuro, che il governo Prodi duri 3 o 5 anni.
Sta cambiando la scena, ma anche le quinte e - perché no - anche i camerini. Nuovi attori quali la Sinistra Democratica di Mussi, il Partito Comunista dei Lavoratori di Ferrando, il Partito dell'Alternativa Comunista, le ali sinistre del PRC quali Sinistra Critica e l'Ernesto, sembrano senza copione, e così pure grandissima parte del sindacalismo di base che guarda e si alimenta a queste aree.
E' una situazione che potrebbe avere il suo culmine con l'accordo sulle pensioni e con i rinnovi contrattuali in corso, ma in piena estate, proprio come quel luglio del '93.
Un grande peso grava ora sulla FIOM, rimasta praticamente sola su 2 fronti: le pensioni ed il contratto; ma un peso non meno grande grava sui sindacati di base che si accontentano di tante particine.
Eppure una conflittualità diffusa, una vertenzialità sempre avvertibile, un contenzioso sempre aperto sono riscontrabili nelle aziende.
Non mancano attivisti sindacali e militanti disorientati da un possibile esito catastrofico della trattativa sulle pensioni.
Occorre mettere a nudo il nuovo blocco di potere del PD e costruire le basi per le lotte di una nuova opposizione sociale, sindacale e culturale, senza opportunismi e verticismi, su basi libertarie e di classe.
Donato Romito
Commissione Sindacale FdCA