ROCK AROUND THE COBAS

 

"Il sindacato è nato storicamente nel luogo di lavoro, su precisi bisogni materiali delle masse lavoratrici che ne fanno parte, e sotto il diretto controllo di quest'ultime." 
("I comunisti anarchici e l'organizzazione di massa", UCAT 1984)

Un po' di storia antica

Il movimento dei lavoratori in Italia, fin dalle sue origini, ha espresso 2 opzioni: una burocratica e tendenzialmente riformista, l'altra autoorganizzata e tendenzialmente più radicale o rivoluzionaria. Queste 2 opzioni hanno spesso convissuto all'interno della stessa organizzazione di massa, oppure hanno dato origine a sindacati differenti. Nel primo decennio del XX secolo le due opzioni corrispondevano infatti a 2 organizzazioni sindacali distinte: la riformista CGdL e la sindacalista rivoluzionaria USI (scissione della CGdL), oltre ai combattivi sindacati dei ferrovieri e dei lavoratori del mare. I lavoratori anarchici vi militavano occupando anche posti di grande responsabilità.

Nel famoso Biennio Rosso (1919-21) che precedette l'avvento del fascismo, nacquero i Consigli nelle fabbriche occupate, in cui i lavoratori anarchici ebbero un ruolo determinante. Fu la prima esperienza in Italia di organismi sindacali dal basso nei luoghi di lavoro. 

Il Fascismo poi si dotò di propri sindacati, all'interno dei quali la storiografia recente ha riconosciuto il ruolo dei sindacalisti ex-USI che non andarono in esilio, restando in Italia a fianco dei lavoratori. Certamente una scelta difficile all'ombra di compromessi col regime fascista, ma anche la continuazione di un filo rosso che poi portò alle rivolte nelle fabbriche nel 1938 ed allo sciopero generale del 1943.

Nello stesso anno, il tentativo di anarchici e comunisti radicali di costituire la CGL, nel sud liberato dagli anglo-americani, venne stroncato dal governo, dagli Alleati e dai partiti del CLN per dare vita nel 1944 alla CGIL. Qui era talmente attiva la corrente anarchica, che negli anni '50 le venne offerta una poltrona da segretario generale a fianco di quella comunista, socialista e cattolica. L'offerta venne respinta.

Ma il movimento anarchico aveva già iniziato un progressivo allontanamento dall'intervento sindacale ed un tentativo di ricostituire l'USI rimase lettera morta. 

La CGIL subì 2 scissioni: uscì la componente cattolica per dare vita alla attuale CISL e da questa uscì la componente laica socialdemocratica per dare vita alla attuale UIL. Nella CGIL rimasero la componente comunista e quella socialista.

La spinta riformista che attraversò il paese dalla metà degli anni '60 ai primi anni '70, produsse una rinascita dei Consigli nelle fabbriche con caratteristiche strutturali diverse da quelli degli anni 20, ma sostanzialmente riproponendosi come organismi di potere operaio autonomo ed autogestito. Nel territorio nacquero anche le prime aggregazioni di base cub (comitati unitari di base), in corrispondenza coll'emergere di formazioni politiche a sinistra del PCI e di una sinistra sindacale all'interno della CGIL.

I sindacati confederali CGIL-CISL-UIL riuscirono nel corso del decennio a riassorbire ed a disinnescare l'autonomia dei Consigli di Fabbrica, ma l'opzione sindacale di base ed autogestita si era ormai manifestata in forme e contenuti che si sedimentarono velocemente nella memoria sindacale collettiva. E' in questo clima che nasce la categoria di "base sindacale" contrapposta alla burocrazia dei vertici, ed alimentata dalla cultura e dall'esperienza di lotte ed organizzazione dal basso, anche nel territorio, che attraversano l'Italia per tutti gli anni '70. Nel movimento anarchico solo le giovani organizzazioni comuniste-anarchiche dell'epoca capirono quello che stava accadendo e diedero vita a strutture nazionali di coordinamento dei lavoratori anarchici; molti militanti entrarono nei sindacati confederali, ritenendole le strutture di massa dove poter incontrare un grande numero di lavoratori e, tramite la democrazia diretta, lavorare alla base per la difesa degli interessi immediati di classe e la difesa degli interessi storici del proletariato.

La crisi economica della fine degli anni '70 e la tenaglia fatta di terrorismo politico e repressione statale, che si abbatté sulle lotte di massa, aprirono le porte alle sconfitte sindacali dei primi anni '80, accompagnate da un abbandono delle politiche riformiste da parte dei sindacati confederali. Nel 1984 il movimento degli "autoconvocati consigli di fabbrica" cercò di riproporre le istanze della "base sindacale" su questioni come l'autonomia dei consigli nei luoghi di lavoro ed il salario, che, nella strategia della CGIL, aveva ormai perso la caratteristica di "variabile indipendente" nel ciclo produttivo. Fu l'ultimo tentativo nelle fabbriche di ribellarsi al perfido destino che in 15 anni aveva trasformato i Consigli da soggetti autonomi della lotta di classe ad ingranaggi della macchina sindacale. I mutamenti strutturali nel ciclo produttivo stavano ormai avvenendo in presenza di un indebolimento degli organismi operai nelle fabbriche ed in sintonia con le scelte politiche delle burocrazie sindacali al di fuori delle fabbriche.

E' però nel settore del Pubblico Impiego, rimasto fuori dalle trasformazioni strutturali in corso nelle fabbriche, che ripartirono le lotte dal basso: le avvisaglie nei trasporti, nella sanità e nella scuola c'erano già state alla fine degli anni '70, ma nel 1986 esplose il movimento dei COBAS nella scuola e nelle ferrovie. Gli obiettivi portanti erano forti aumenti salariali per tutti, il rifiuto del salario accessorio, assunzioni dei precari, diritti sindacali per tutti i lavoratori. Dal momento che si trattava di richieste contrapposte a quelle dei sindacati confederali, questi ultimi vennero visti come una controparte del movimento COBAS. La "base sindacale" si risvegliava, e questa volta in settori tradizionalmente estranei alle esperienze consiliari, per scuotere le burocrazie sindacali o per tentare nuove strade. Il forte dissenso dei macchinisti delle ferrovie verso le politiche dei sindacati confederali, portò ben presto alla costituzione di un nuovo e forte soggetto sindacale: il COMU.

I COBAS della scuola si diedero un'organizzazione per delegati di scuole, quindi delegati di province che partecipavano all'assemblea nazionale. Essendo un movimento di massa, vi facevano parte decine di migliaia di insegnanti già iscritti ai sindacati oppure senza alcuna tessera sindacale. Anche nella scuola i sindacati confederali non riuscirono a recuperare del tutto i COBAS, i quali però si impantanarono ben presto nello sterile dibattito se restare un movimento di massa oppure costituire un nuovo sindacato della categoria, col risultato di quasi scomparire.

Nel 1988, scrivevamo: 

"La non semplice riproposizione di modelli quali quello consiliare, sia per la polverizzazione delle strutture di lavoro ( nella scuola come nelle ferrovie), che per l'assenza di proposte alternative, ha costretto i movimenti in un'esasperazione assembleare che ha privilegiato le rappresentanze politiche e non quelle dirette (…). Se quindi da un lato le ultime fasi dei conflitti sociali hanno riproposto un'esigenza di protagonismo di vasti settori di lavoratori dipendenti, potremmo dire una forte spinta all'autogestione delle lotte, dall'altro ha pesato l'assenza di un modello organizzativo in grado di rispondere in maniera soddisfacente alla formazione di esperienze che rompono effettivamente e definitivamente con il sindacalismo burocratico ed istituzionalizzato delle confederazioni".
(Saverio Craparo, "La democrazia di base nel movimento dei lavoratori", FdCA 1988)

Ormai gli argini si erano rotti. La prima legge anti-sciopero contro i cobas, approvata con l'ok dei sindacati confederali nel 1990, scavò ulteriormente il solco. Nel 1991, si svolse il primo sciopero nazionale indetto da varie sigle sindacali cobas di diverse categorie contro la guerra del Golfo. COBAS non era più e solo una struttura di base o un movimento di massa, ma era diventato sinonimo di tante piccole sigle sindacali. E' in quella occasione che nasce il "sindacalismo di base", distinto dal sindacalismo confederale. Era una galassia, costituita in gran parte da avanguardie politiche attive nell'intervento sindacale, ma potenzialmente capace di attrarre spezzoni di classe più radicalizzati. Alla prima grande crisi finanziaria del dopoguerra, CGIL-CISL-UIL si costrinsero alla concertazione con governo e padroni e, nell'autunno 1993, i loro leaders vennero violentemente contestati nelle piazze; la crisi della rappresentanza sindacale era definitivamente aperta e ormai sapevano di beffa gli accordi con cui questi 3 sindacati si appropriavano del "diritto" di essere gli unici a rappresentare i lavoratori. 

Dinamica 1995-2001

Sono gli anni dei governi di centro-sinistra e dell'assoluta subalternità e complicità dei sindacati confederali. Soprattutto la CGIL, viene accusata di aprire le porte al neoliberismo in Italia, appoggiando ed agevolando senza critica alcuna qualsiasi riforma e contratti peggiorativi delle condizioni dei lavoratori, fatti da padroni e governi di centro-sinistra. Il dissenso che si esprime in tutte le categorie irrobustisce i sindacati di base a livello locale, oppure di categoria, ma resta la debolezza sul piano della rappresentanza globale degli interessi collettivi di classe. In compenso nascono i cobas anche nelle fabbriche, proprio nel cuore del potere sindacale della CGIL!! Ma il ceto politico-sindacale che ha dato origine alle aggregazioni del sindacalismo di base proviene da scelte ideologiche ed esperienze politiche talmente diverse che inizia presto la concorrenza tra i sindacati di base, alla ricerca dell'egemonia all'interno di una categoria oppure di quelle migliaia di lavoratori che ormai a vario titolo rappresentano. Si fanno inutili patti di consultazione, si fanno cartelli con tutti o a esclusione di qualcun altro; viene sistematicamente demonizzata la CGIL che appoggia la guerra in Kossovo, ma non si tenta una strategia di dialogo con i suoi iscritti o con la sua opposizione interna. Il sindacalismo di base si propone come alternativo ad una CGIL veramente non più recuperabile nemmeno per una politica riformista, ma nella galassia cobas ognuno si sente alternativo agli altri o si propone come polo di confluenza per gli altri. Sono gli anni in cui si perde l'occasione propizia di un salto di qualità per andare almeno verso un patto federativo tra le varie sigle. 

Il sindacalismo di base

USI: Ri-nata nel 1978, aveva assunto una certa consistenza negli anni '90, prima di scindersi in 2 in seguito a divergenze di prassi sindacale, tra un'ala più laica e sindacalista ed una più ortodossa ed ideologica. La scissione venne sancita dall'AIT. L'USI-AIT rivendica oggi una legittimità storica di sindacato rivoluzionario e anarco-sindacalista, di cui si è ormai persa la memoria collettiva e sembra attrarre lavoratori che hanno già fatto una scelta politica in senso anarchico o libertario. Ritiene oggi centrale l'intervento contro le guerre. L'altra USI fuori dall'AIT ha una presenza sindacale limitata alla città di Roma dove è piuttosto attiva con la pratica dei forum del lavoro. Fra le 2 USI c'è guerra di sigla.

CIB UNICOBAS: sindacato nato dal movimento dei cobas della scuola nel 1991, si pone come sindacato libertario ed indipendente, cosa che gli ha procurato per alcuni anni una crescita apprezzabile principalmente all'interno del settore scuola. Non pone discriminanti ideologiche ed ha una struttura organizzativa orizzontale. Dopo esser stato nei primi anni '90 un motore di aggregazione per il sindacalismo di base, sta attraversando una fase di autoisolamento per divergenze con altri sindacati di base che tendono ad emarginarlo. Fa parte della SIL. Insieme ai sindacati della scuola della CGT-Spagna, di SUD-Francia e SUD-Svizzera sta lavorando alla costituzione di una federazione sindacale alternativa europea: FESAL.

CONFEDERAZIONE COBAS: si tratta dei Cobas che tutti hanno visto nelle manifestazioni ed in Tv; ma la sua costituzione in sindacato è molto recente e discende direttamente dai resti dei cobas della scuola degli anni '80, dove ha il suo punto di forza.. Essa si pone come soggetto politico, sindacale e culturale, cosa che la rende una sorta di partito-sindacato-club culturale. Il che presuppone che i suoi iscritti condividano non solo una strategia sindacale, ma anche una linea politico-ideologica. Queste caratteristiche unitamente ad un atteggiamento fagocitante verso gli altri, hanno fatto sì che andasse in malora il progetto "tutti i cobas in un solo sindacato". Gode di notevoli appoggi politici e mediatici nella sinistra comunista italiana, cosa che la rende molto più visibile di altri sindacati di base, ma anche più sensibile alle scelte di politica generale di partiti come Rifondazione Comunista o di strutture come il Social Forum, di cui il loro leader è uno degli esponenti più noti.

CUB: Federata con le RdB (sindacato forte nel pubblico impiego), rappresenta la più grande confederazione di base in Italia, con sindacati di settore in diverse categorie. Nasce da una scissione dei metalmeccanici della Cisl. Ha raggiunto il requisito della rappresentatività nazionale, cosa che le permette di partecipare alle trattative per i contratti nazionali. Si pone in netta alternativa ai sindacati Cgil-Cisl-Uil. Ha una struttura organizzativa verticale, con funzionari e servizi di patronato per i lavoratori. Ha una linea sindacale netta, senza apparenti intrusioni ideologiche.

SLAI COBAS: Sindacato presente soprattutto in alcuni grandi impianti industriali dove esprime una forte conflittualità e conquista voti e seggi nelle elezioni per le rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. Esprime una forte connotazione di sinistra comunista e di autonomia dalla sinistra parlamentare, cosa che gli è costato una scissione da cui è nato il S.in.Cobas. Il suo statuto originario prevede un'organizzazione orizzontale.

S.in.COBAS: scissione dello SLAI, pilotata da Rifondazione Comunista, ha una presenza significativa soprattutto in alcune fabbriche e nelle amministrazioni locali, nonché appoggi nel Parlamento.

Altri sindacati di base sono presenti solo all'interno di alcune categorie: è il caso di Or.S.A. e SULT nei trasporti. e dello SNaTeR nelle telecomunicazioni. Per tutti i cosiddetti sindacati di base, con qualche timida riserva per l'USI, è stata obbligata la scelta di presentare propri candidati alle elezioni sindacali nei luoghi di lavoro, ottenendo risultati anche lusinghieri. Purtroppo non esistono dati per poter valutare globalmente se i delegati dei sindacati di base siano riusciti a praticare un corretto rapporto fra delegato e lavoratori, come ci aspetterebbe da sindacalisti antiburocratici e rispettosi del mandato ricevuto dai compagni di lavoro che li hanno eletti.

Dinamica 2001-2003

La vittoria elettorale di Berlusconi e del suo governo di destra ha costretto per il momento almeno la CGIL a riprendere un ruolo più combattivo, poiché ne va della sua esistenza e legittimità come il più grande sindacato italiano. La discesa in campo della CGIL, col suo peso organizzativo, forte di 5 milioni di iscritti, ha ovviamente messo in ombra il sindacalismo di base. Quest'ultimo sembra costringersi a scelte in cui ciò che conta è più distinguersi dalla CGIL che ricercare la costruzione di un grande movimento di massa contro il governo. La cosa si è drammaticamente ripetuta in occasione dei recenti scioperi dell'autunno contro la distruzione delle pensioni pubbliche, con l'aggravante di ulteriori divisioni tra i sindacati di base.

Strategia dei comunisti anarchici

Come abbiamo visto:

Ma per noi? 

Per noi l'organizzazione di massa è il prodotto della capacità della classe di organizzare la sua forza unitaria nello scontro col capitale in un dato contesto storico-socio-economico senza discriminazioni di sesso, religione, origine geografica, ideologia. Conseguentemente l'unità della organizzazione di massa è data dall'ampia condivisibilità di obiettivi e lotte a difesa degli interessi immediati (e storici) del proletariato. E la sua forza rivoluzionaria è data non solo e non tanto dal massimalismo delle sue rivendicazioni o dalla durezza delle lotte, quanto dalla sua capacità di funzionare secondo un metodo libertario di circolarità delle decisioni e delle responsabilità. Queste 2 caratteristiche dell'organizzazione di massa pongono i comunisti-anarchici in una situazione di continuo confronto con le correnti autoritarie, le quali -sia sul piano degli obiettivi/lotte (i riformisti e i tradeunionisti) che della gestione (i comunisti autoritari)- cercano di indebolire o cancellare l'autonomia della organizzazione di massa. I comunisti anarchici sanno bene che unità e forza rivoluzionaria stanno nella prassi (lotte ed organizzazione) e negli statuti. E' per questo che rigettiamo le concezioni dell'organizzazione di massa fondate sullo spontaneismo e sull'ideologismo. La prima priva la classe della possibilità di sedimentare organizzazione nel tempo e nello spazio; la seconda fonda l'unità sulla condivisione ideologica, separando i lavoratori, rompendo l'unità fondata sulla difesa degli interessi di classe.

Per cui riteniamo che se una organizzazione di massa si dichiara anarcosindacalista , se è composta solo da anarchici ed è fondata sulla condivisione dell'ideologia anarchica, cade nella concezione dell'ideologismo. Altra cosa se l'anarcosindacalismo caratterizza le forme di lotta e di struttura interna dell'organizzazione di massa o la sua rappresentanza, e cioè se l'anarcosindacalismo viene praticato come tendenza/sviluppo/esito dell'unità e della forza rivoluzionaria dell'organizzazione di massa, e non come un a-priori. Una organizzazione di massa anarcosindacalista non è quella più massimalista, ma quella che rompe logiche concertative, apre spazi di conflitto, individua obiettivi avanzati e praticabili, usa la democrazia diretta nella contrattazione.

Lo stesso vale per il sindacalismo rivoluzionario. Se una organizzazione di massa sindacalista rivoluzionaria è tale in quanto composta da iscritti già ideologicamente rivoluzionari, non importa a quale ideologia anticapitalista facciano riferimento e se il sindacalismo rivoluzionario è un a-priori costitutivo di questa organizzazione di massa, si ricade nella concezione dell'ideologismo suddetta. Il tasso rivoluzionario non dovrebbe essere dato dalla fede rivoluzionaria degli iscritti, dal massimalismo della piattaforma, dalla durezza delle forme di lotta, ma dovrebbe essere riferito alla capacità della organizzazione di massa di essere referente credibile per i lavoratori rivoluzionari e non – nella difesa dei loro interessi.

Il sindacalismo di base in Italia, non facendo i conti con esperienze ben più significative, quali quelle storiche dell'anarcosindacalismo e del sindacalismo rivoluzionario, rimane così sempre in bilico tra radicalismo delle piattaforme e necessità della contrattazione, tra critica al burocratismo ed inevitabile formazione di un ceto dirigente, purché ci sia un posto al sole per la propria sigla.

Noi comunisti-anarchici stiamo dove la coscienza di classe si organizza in un dato periodo storico, nelle forme che il conflitto sociale e la soggettività dei lavoratori delineano. Non abbiamo contenitori predefiniti, né sindacalismi da seguire: la FORA argentina e la CNT spagnola, la IWW e l'USI degli anni '10-'20, ci insegnano cose utili, così come le Borse del Lavoro francesi, la componente anarchica nella CGdL nell'Italia degli anni '10-'20 e nella CGIL degli anni '50.

Prima ancora che alle organizzazioni di massa definite, siamo attenti alle forme di autoorganizzazione della classe nei luoghi di lavoro e nel territorio, perché l'organizzazione di massa si costruisce a partire da lì. Lì dove gli anarchici attivisti sindacali sono dentro quella dimensione organizzata dei lavoratori e ne favoriscono la crescita. E siamo attenti all'evoluzione del capitalismo ed alle risposte che la classe può dare, perché le proposte dei comunisti-anarchici, elaborate nella loro specifica organizzazione politica, divengano le idee-guida per la definizione degli obiettivi e delle forme di lotta all'interno della o delle organizzazioni di massa in cui essi militano.

Questo ci rende unitari come comunisti anarchici. Questo mi rende unitario con altri militanti della mia organizzazione che hanno tessere sindacali diverse dalla mia. Se, invece, dovessimo fare tutto questo a partire dal sindacato a cui siamo iscritti o dalla concezione di sindacalismo preferita, saremmo -forse- solo un coordinamento a tempo di esponenti sindacali gelosi delle proprie sigle di appartenenza.

Noi scegliamo i lavoratori prima delle sigle, noi scegliamo l'unità dei lavoratori prima delle sigle, noi sosteniamo le lotte dei lavoratori per la difesa dei loro interessi indipendentemente dalla forma o sigla scelta, dal tipo di sindacalismo scelto, purché porti ad un miglioramento delle condizioni di vita del proletariato, all'apertura di spazi più liberi nella società. E se in queste lotte e/o sindacati siamo capaci di dire la nostra ed essere "di-guida", avremo rafforzato l'autonomia dei lavoratori e rilanciato il ruolo dell'anarchismo di classe. E cioè avremo fatto del concreto sindacalismo rivoluzionario, del concreto anarcosindacalismo, del concreto sindacalismo libertario, del concreto… sindacalismo.

E' la materialità della situazione di lavoro a determinare una possibilità organizzativa sindacale anziché un'altra, prima ancora del nostro desiderio rivoluzionario. E' la materialità dei rapporti di forza ad ampliare la possibilità di un sindacalismo conflittuale a prassi libertaria, prima ancora del nostro essere anarchici.

Siamo dei materialisti, no? Allora la ricollocazione di avanguardie e di spezzoni di classe nell'opposizione interna alla CGIL o in numerosi sindacati alternativi va preso come dato oggettivo. Ci piaccia o no. Una strategia si costruisce su ciò che è possibile e non solo su ciò che è giusto. Ma il sindacalismo conflittuale a prassi libertaria non può prescindere da 3 elementi:

Tattica sindacale dei comunisti anarchici

Nei luoghi di lavoro e nelle categorie si riscontra il livello di sfruttamento e di scontro più alto: è proprio qui che occorre ricostruire l'unità di interessi fra lavoratori con diverse forme di contratto, riprendere nelle mani la contrattazione integrativa e decentrata, tutelare il diritto alla salute, gestire l'orario per gestire meglio la vita, svincolare il salario dalla produttività, respingere il ricatto del lavoro straordinario. Coordinamenti di delegati rsu di settore ed intercategoriali, di lavoratori garantiti, precari, migranti, possono essere forme di cooperazione, di unità e di lotta.

Nel territorio è proprio dei comunisti anarchici costruire luoghi e situazioni in cui ri-tessere una trama di relazioni e di elaborazioni sindacali a prescindere dalle appartenenze e dalla tessere. Qui la ricchezza viene dalle diverse esperienze sindacali, da quegli organismi autogestiti, da quei sindacati, da quegli attivisti che perseguono obiettivi di lotta – parziali e più generali – su cui federare i lavoratori appartenenti a differenti organizzazioni sindacali. Camere del Lavoro intersindacali, forum sindacali cittadini, coordinamenti regionali di sindacati di base, possono essere i luoghi per permettere un'efficace difesa unitaria degli interessi di classe dei lavoratori, precari, migranti.

A livello nazionale devono essere proprio gli attivisti sindacali anarchici a far sì che sia possibile federare spezzoni di classe, attivisti sindacali, sindacati di base diversi su una piattaforma con obiettivi e principi indisponibili su salario, orario, diritti, servizi, democrazia sindacale. 

Fu per queste ragioni che la FdCA lanciò nel 2001 un Appello agli attivisti sindacali anarchici e libertari, in qualunque sindacato militassero, per coordinare la loro azione nel pieno rispetto della prassi libertaria del libero accordo, per:

"(…) rendere più efficace l'azione sindacale generale nelle lotte di grande respiro, ricostruire l'unità dei lavoratori, ripristinare la solidarietà di classe, restituire al mondo del lavoro, e non solo, democrazia sindacale ed autonomia progettuale per una società più ugualitaria e più libertaria".
(Appello agli attivisti sindacali anarchici e libertari, FdCA 2001)

Donato Romito (FdCA)

(Articolo scritto per "The Northeastern Anarchist", rivista della NEFAC - USA/Canada, nella primavera del 2003.)


sigle:

CO.BAS = COmitato di BASe 
UCAT = Unione dei Comunisti Anarchici Toscani (confluita nella nascita della attuale FdCA nel 1986)
CGdL = Confederazione Generale del Lavoro
USI = Unione Sindacale Italiana
CGL = Confederazione Generale del Lavoro
CLN = Comitato di Liberazione Nazionale
CGIL = Confederazione Generale Italiana del Lavoro
CISL = Confederazione Italiana Sindacale dei Lavoratori
UIL = Unione Italiana Lavoratori
PCI = Partito Comunista Italiano
COMU = COordinamento Macchinisti Uniti
CIB UNICOBAS = Confederazione Italiana di Base UNIcobas
CUB = Confederazione Unitaria di Base
RdB = Rappresentanze Sindacali di Base
SLAI Cobas = Sindacato Lavoratori Auto-organizzato Intercategoriale
S.in.Cobas = Sindacato Intercategoriale Cobas
SULT = Sindacato Unitario Lavoratori Trasporti
SNaTeR = Sindacato Nazionale Telecomunicazioni Radiotelevisioni
rsu: rappresentanze sindacali unitarie

L'autore
Donato Romito, attualmente membro della Commissione Sindacale della FdCA, vive e lavora a Pesaro nelle Marche. E' delegato sindacale eletto nella scuola dove insegna; iscritto al sindacato di base Unicobas, partecipa alla costruzione ed alla attività di associazioni di lavoratori e di coordinamenti del sindacalismo di base nella città e nella regione in cui vive.