Alcune linee per la contrattazione

La lunga fase positiva nelle relazioni industriali con la controparte operaia che il padronato ha conosciuto dalla fine degli anni settanta consente oggi alla parte datoriale una forza contrattuale immensa. È logico pensare che tale forza venga utilizzata per portare nel breve periodo a compimento la totale subordinazione dei lavoratori agli interessi del capitale. Il terreno dello scontro è indubbiamente quello occupazionale, nel quale la flessibilizzazione della prestazione lavorativa fino ai suoi estremi limiti offre il destro ad una totale disarticolazione della forza lavoro. L’annientamento del concetto stesso di contratto collettivo rende possibile due obiettivi fondamentali: la scomparsa della possibilità di esistenza di qualsiasi aggregazione sindacale come l’abbiamo conosciuta nel secolo uscente; l’isolamento assoluto del prestatore d’opera di fronte al nemico di classe, con la conseguente resa infinitesimale della sua forza contrattuale.

La libertà di assunzione e di licenziamento sono solo due aspetti del problema (che sono reclamati a gran voce ed in parte già ottenuti con la destrutturazione degli uffici di collocamento), che non trovano alcuna giustificazione tecnica e rispondono, quindi, alla sola, esplicita volontà di comando sulla forza di lavoro. La volontà esplicita è quella di rendere totalmente precaria, e quindi facilmente subordinabile e controllabile, la prestazione lavorativa; questa volontà si estrinseca anche nella esternalizzazione dei reparti, nel ricorso a manodopera a contratto temporale, ad appalti, al lavoro in affitto. Questi sistemi vedono, inoltre, un allargamento senza limiti del lavoro nero, reso più facile dal moltiplicarsi dei rivoli occupazionali, il cui controllo è nei fatti impossibile: lavoratori che operano fianco a fianco dipendono da datori diversi e spesso rispondono a contratti collettivi di settori diversi, con le conseguenze immaginabili pure sul piano dei diritti (anche sindacali) e su quello della comunicazione e della solidarietà.

La propaganda di regime attribuisce il verificarsi di quanto sopra descritto alla globalizzazione, ma i lavoratori dovrebbero ormai prendere atto del fatto che essa è un mito moderno, che serve solo a giustificare condizioni sempre più intollerabili di lavoro e di salario.

La ricerca dei rimedi ad una situazione tanto disastrosa non può prescindere da una valutazione delle cause che l’hanno generata. La leva salariale è stata il grimaldello della sconfitta operaia a partire dalla fine degli anni settanta (dalla strategia dell’EUR agli accordi di agosto il cedimento sul piano dei redditi, giustificato dal continuo richiamo all’emergenza economica nazionale, ha spostato a favore dei profitti la quota della ricchezza prodotta). La riduzione consistente dei salari individuali non solo ha diminuito il potere contrattuale in fabbrica, ma ha anche consegnato i lavoratori all’integrazione a nero: le conseguenze sono state una concorrenza impari tra occupati che devono integrare il salario percepito e lavoratori in cerca di occupazione, che si è risolta a favore dei primi, ma da cui è discesa una crescente pressione dei disoccupati sul mercato del lavoro, con ulteriore abbassamento del valore della merce forza-lavoro, e una perdita totale di controllo sul ciclo produttivo in azienda. Quest’ultimo aspetto ha aperto la via alla disarticolazione dell’azienda in una polverizzazione di prestazioni lavorative a nero, a domicilio, esternalizzate, in appalto, etc. un loop in cui la forza contrattuale della classe operaia precipita a vite e con essa il reddito complessivo delle classi subalterne; reddito inteso come complesso di salario, servizi sociali, previdenza, assistenza sanitaria, trasporti ed energia a pezzi sociali, sicurezza sul lavoro, controllo sulla qualità dell’ambiente, diritto alla casa, etc..

Rompere la gabbia salariale imposta agli inizi degli anni novanta, ultimo atto di una lunga serie di cedimenti colpevoli dei sindacali confederali (gabbia che ha ridotto la contrattazione nazionale ad una negoziazione tardiva e parziale del recupero della perdita del potere d’acquisto a causa dell’inflazione, un tempo garantita dalla scala mobile), è il primo passo necessario per invertire la tendenza e ricondurre a fiducia il sistema della contrattazione collettiva nazionale e riconsegnare potere nelle mani dei lavoratori dipendenti. Solo da questa, anche parziale, iniezione di fiducia e potere è possibile aspettarsi un inizio di ripresa di controllo sul ciclo produttivo, che possa fronteggiare la sua dispersione e quindi la precarizzazione, la marginalizzazione, lo sfruttamento selvaggio, l’esclusione. La disoccupazione non si riporta sotto controllo dando mano libera agli imprenditori, che tanta ne hanno avuta negli ultimi decenni, ma ricomponendo in fabbrica la produzione al momento disarticolta, parcellizzata, sbriciolata. La ripresa di un ciclo di lotta che rimetta al centro la capacità collettiva di contrattare pienamente e con vantaggio quella nozione complessa di reddito sopra menzionata, nasce dalla necessaria fiducia che uniti si può ottenere di più che andando in ordine sparso e che la difesa dei propri interessi particolari si può fare solo attraverso la solidarietà e la rivendicazione del benessere di tutti.

Mozione della 2a Conferenza di organizzazione  sull'intervento sindacale

4 gennaio 2001