Ristrutturazione e privatizzazione nel sistema italiano dei trasporti
(relazione presentata all'incontro europeo del
sindacalismo autonomo,
indipendente e rivoluzionario nel settore dei trasporti - Madrid 1/ 2 febbraio
1991)
Lo scontro che si è aperto in Italia nel settore dei trasporti, in particolare in quello ferroviario, è determinato in primo luogo dalla ristrutturazione che il capitalismo italiano deve concludere anche in questo settore, come ha già fatto negli altri settori industriali.
Infatti, il sistema produttivo italiano è frenato anche da alcuni fattori interni; uno di questi è l'inadeguatezza dei trasporti. Particolarmente debole si presenta il trasporto ferroviario che copre una quota di mercato molto più ristretta che nei maggiori paesi europei, non superando il 10% per la circolazione delle merci. A questa quota fa riscontro il concentramento di circa il 65% nel trasporto su gomma; ciò comporta numerosi problemi di cui dobbiamo tenere conto, non ultimo quello ambientale.
Le ragioni di questa debolezza del trasporto su rotaia, in Italia, sono molte. Certamente le cause principali risiedono nelle scelte di un mancato potenziamento della rete ferroviaria negli anni '50 e '60, scelte volute dai settori trainanti del capitalismo italiano e che favorì l'industria automobilistica e quella ad essa collegata.
Quindi, oggi, il settore ferroviario è in piena fase di ristrutturazione; questo non vuole dire che in Italia si voglia invertire la tendenza ed emarginare il trasporto su gomma (oggi del resto impossibile per le rigidità proprie del trasporto su rotaia), ma che si tenta di raggiungere un maggiore equilibrio nel sistema dei trasporti - anche per piccole quote - e di razionalizzarlo, per cambiare una situazione divenuta economicamente frenante.
Proprio per raggiungere questi obiettivi viene
varato nel 1985 la riforma delle Ferrovie dello Stato (legge 210/85), che
trasforma la vecchia Azienda Autonoma in Ente delle Ferrovie dello Stato (Ente
FS) gestito su un modello privatistico.
La ristrutturazione delle ferrovie si inserisce nel più alto progetto di
privatizzazione che ha segnato la politica neoliberista, sviluppatasi in Italia
per tutti gli anni '80, e presentata come necessaria a superare l'inefficienza
dello Stato nella erogazione dei servizi.
A proposito di questo aspetto, facciamo notare che quelli che accettarono -anche a sinistra - questa logica, dimenticavano che vi sono servizi ed attività che per loro natura non possono essere produttori di profitto senza snaturare la loro funzione (come ad esempio il servizio sanitario).
Ma non è solo il bisogno di recuperare profitti a guidare la politica neoliberista, poiché molto rilevanti sono le trasformazioni indotte nei comportamenti sociali. Così all'abitudine a dare soluzioni collettive ai problemi, con conseguente aggregazione sociale, si sostituisce l'iniziativa individuale. La disgregazione dei rapporti sociali è necessaria per creare le condizioni che, insieme ai mutamenti strutturali realizzati attraverso il processo di privatizzazione, danno base materiale al progetto politico di dissoluzione dell'associazionismo di classe.
Lo smantellamento dei servizi introduce quindi degli elementi di arretramento che aggravano la nostra possibilità di intervento.
I riflessi del tipo di ristrutturazione portato avanti dall'Ente FS potrebbero comunque apparire positivi, oltre che per il capitale italiano, anche per i lavoratori e la collettività che usufruisce del sistema dei trasporti.
La realtà è però diversa e la ristrutturazione sarà fatta pagare, oltre che ai ferrovieri, anche con un peggioramento della situazione per i lavoratori e gli studenti che usufruiscono del trasporto ferroviario.
In Italia esiste un piano che tenta di dare una sistematicità agli interventi per razionalizzare tutto il sistema dei trasporti; questa cornice è il Piano Generale dei Trasporti (P.G.T.), che mette a disposizione fondi molto cospicui anche per la rete ferroviaria.
Questa enorme torta di denaro pubblico ha scatenato lotte feroci tra i diversi settori del capitale italiano, ed anche europeo, nel tentativo di conquista delle fette più grosse.
Gli interventi previsti si concentrano però solo nei settori economicamente più interessanti, e cioè su meno della metà dei 16.000 km di linee attualmente in esercizio.
Anche nei progetti presentati dall'Ente F.S. fino ad oggi, progetti sempre cambiati per gli scontri tra i vari settori politici che lo controllano, si persegue l'obiettivo di abbandonare metà della rete alla gestione di Regioni e Province, quando addirittura di chiudere molte linee.
Tutto questo è perfettamente coerente con il P.G.T., appoggiato da tutte le maggiori forze politiche (compreso il Partito Comunista Italiano), e sostenuto dai Sindacati Confederali C.G.I.L.-C.I.S.L.-U.I.L.
La ristrutturazione significa, quindi, taglio di posti di lavoro; non si sa quanti ferrovieri verranno allontanati con l'attuale ristrutturazione e con la prossima introduzione di nuove tecnologie. Quello che è certo è che, con l'assenso dei Sindacati Confederali, l'Ente F.S. sta espellendo 30.000 lavoratori con strumenti quali il pensionamento anticipato ed il trasferimento verso altre Amministrazioni dello Stato; questo, dopo che il numero dei ferrovieri era già sceso di 18.000 unità per il mancato turn-over.
La perdita di circa 50.000 posti di lavoro, si combinerà con la perdita di sicurezza sul lavoro per l'aumento dei ritmi e dello sfruttamento, al fine di ottenere una maggiore produttività industriale. Peggioreranno anche la quantità e qualità dei servizi, con una conseguente diminuzione dei margini di sicurezza per la circolazione; tutto questo comincia a farsi sentire, con un aumento del numero degli "incidenti".
Presenza sindacale nel settore ferroviario
Anche gli ultimi Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro dei ferrovieri vanno in queste direzioni; quello stipulato recentemente, che copre gli anni 1990/92, chiama i lavoratori a partecipare alla ristrutturazione delle Ferrovie, mentre prevede, sul piano economico, aumenti legati alla presenza, alla produttività ed all'accettazione dei tagli di personale. Con questo accordo, inoltre, si accentra ai livelli più alti ogni forma di contrattazione.
Questo contratto di lavoro che scontenta tutti i settori, ha rappresentato un ennesimo momento di rottura tra i vertici sindacali ed i ferrovieri. In Italia, come certo i compagni sanno, il panorama sindacale è stato dominato dal dopoguerra dalla presenza delle confederazioni C.G.I.L., C.I.S.L., U.I.L.; queste organizzazioni sono sotto il controllo dei maggiori partiti politici. Accanto al sindacalismo riformista e confederale hanno proliferato, con alterna fortuna e quasi esclusivamente nel pubblico impiego, numerosi sindacati cosiddetti "autonomi" (in realtà spesso strumentalizzati dai partiti moderati), con una visione limitata ed ultracorporativa.
Questa situazione si è riproposta anche nelle F.S. dove, per ragioni storiche e produttive, la presenza della C.G.I.L. è stata maggioritaria fino alla fine degli anni '70; da allora, pur restando il sindacato relativamente più forte, la C.G.I.L. ha visto crescere la presenza di CISL e UIL e l'affermarsi del sindacato "autonomo" F.I.S.A.F.S., cresciuto in alcuni settori di ferrovieri per lo scontento provocato dalle politiche dei confederali. Oggi anche la FISAFS, un tempo tacciata di fascismo, è stata completamente legittimata dai sindacati confederali e, in cambio dell'accettazione di quelle politiche in tempo osteggiate, partecipa alle trattative per i contratti nazionali ed alla spartizione della torta ferroviaria.
Il fenomeno COBAS nel settore ferroviario
La sfiducia nei confronti dei quattro sindacati è aumentata durante l'ultima vicenda contrattuale, segnata dal sorgere di aggregazioni professionali dei lavoratori che hanno creato vari COBAS (Comitati di Base), con piattaforme contrattuali autonome. Particolarmente organizzati sono stati i macchinisti del Coordinamento Macchinisti Uniti (che hanno formalizzato recentemente la loro aggregazione costituendo un vero e proprio sindacato), seguiti dalla nascita dei COBAS dei capistazione, dei manovratori, di altre figure professionali.
Sulla presenza dei COBAS e sulle prospettive di un loro sviluppo, si è molto discusso in questi anni nella sinistra italiana. Le posizioni sono molto diversificate; si va da chi vede come possibile la nascita di una nuova organizzazione sindacale dalla loro semplice sommatoria, a chi cerca di superare il problema tacciandoli solo di corporativismo. Crediamo che il fenomeno COBAS abbia bisogno di analisi più approfondite; noi abbiamo tentato di farlo e negli ultimi 3 anni abbiamo pubblicato le nostre riflessioni sulla nostra stampa.
A proposito del sorgere dei COBAS scrivevamo, sul n° 6 di "Comunismo Libertario", nel febbraio 1988:
"il fenomeno dell'aggregazione di base su obiettivi categoriali si sviluppa inizialmente tra i macchinisti, storicamente caratterizzati da prestigiose tradizioni sindacali. Assieme ad un complessivo miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (...) si richiede un aumento degli organici ed il riconoscimento della professionalità della categoria, da realizzarsi con una specifica indennità. Il movimento assume fin dall'inizio caratteristiche orizzontali e gli obiettivi ed i metodi di lotta sono sottoposti alla capillare e costante verifica dei lavoratori. Appare comunque distante la comprensione della tendenza alla deprofessionalizzazione che il processo di ristrutturazione imprime al lavoro umano. Ciò significa che, se da una parte continuano ad esistere categorie dotate di maggiore professionalità, dall'altra si assiste ad un generalizzato appiattimento e scadimento delle mansioni, destinato ad investire anche le categorie più professionalizzate, gli stessi macchinisti".
Un aspetto che ci sembra fondamentale è quello del rapporto tra lotte categoriali ed unità di classe.
"D'altronde ogni lotta, per quanto limitata possa essere, è oggettivamente un aspetto parziale dello scontro tra capitale e lavoro; il ruolo dei rivoluzionari si configura proprio nel ricomporre l'unità di classe partendo da queste parzialità, superando contemporaneamente ogni elemento di contraddizione. E' un lavoro capillare che vede combinate la presenza attiva dei militanti, con la loro capacità di elaborare e di articolare programmi tatticamente e strategicamente definiti, e che più in generale rimanda alle necessità dell'organizzazione politica. (...) L'incomprensione dei nessi che devono legare lotta economica e lotta politica in una prospettiva di ribaltamento degli attuali rapporti tra capitale e lavoro, è una delle contraddizioni che ha storicamente caratterizzato il movimento operaio: la transizione tra lotte economiche e sviluppo dell'unità e coscienza di classe, appare assai diversa da un semplice processo meccanico. Le lotte dei COBAS, rompendo ogni mediazione sindacale, hanno sedimentato al loro interno gruppi trainanti di lavoratori, quali punti di riferimento e coagulo delle capacità e dei limiti dell'intero movimento".
("Comunismo Libertario", n°8, maggio 1988)
Se la nascita dei COBAS ci appariva come naturale ed oggettiva, nella situazione di ristrutturazione delle Ferrovie appoggiata dai vertici sindacali confederali, avvertiamo anche i rischi ed i limiti di queste aggregazioni:
"I gruppi trainanti dei COBAS non si sono posti il problema di analizzare i limiti e le prospettive del movimento e ciò, per quanto sia comprensibile, comporta alcune conseguenze negative quali ad esempio il non riuscire a valutare fino in fondo le proprie capacità di tenuta, quelle del sindacato confederale e quelle della controparte. In un simile contesto la lotta per la conquista del tavolo delle trattative (...) può trasformarsi in boomerang: esso infatti, specialmente nel settore pubblico, si configura anche come punto di partenza di logoranti trattative (...) che spesso disorientano i lavoratori fiaccando la loro capacità di lotta. Inoltre la presenza alle trattative è subordinata all'accettazione delle regole del gioco quali i codici di autoregolamentazione degli scioperi, il costituirsi in associazione sindacale, tutti elementi che possono contribuire allo scivolamento dei COBAS verso i piatti orizzonti del sindacalismo categoriali".
("Comunismo Libertario", n°8, maggio 1988)
Questi rischi erano da noi visti, non tanto per motivi propri del movimento, quanto per limiti legati a ragioni più ampie:
"Le caratteristiche della fase attuale rendono difficile il rapido espandersi di un ampio ed unitario fronte di lotte. Ciò per una serie di motivi (...) (come) le caratteristiche della ristrutturazione capitalista che, dal generalizzarsi della sconfitta operaia, tende a ristabilire un controllo totale su processi di distribuzione di merci e servizi (...), e quelli propri dell'attuale ciclo di lotte, conseguenza delle politiche sindacali fino ad oggi perseguite, che hanno subordinato gli interessi dei lavoratori alla conservazione delle compatibilità con il quadro economico e politico"
("Comunismo Libertario", n°6, febbraio 1988)
Per tutti questi motivi pensavamo che "le attuali lotte dei lavoratori F.S. non possono essere interpretate come embrione per costituire nuove aggregazioni sindacali. Crediamo invece che il problema del rapporto con i sindacati continui a porsi perché la crisi del comando riformista sui lavoratori appare tutt'altro che scontata". ("Comunismo Libertario", n°6, febbraio 1988)
Questo ci sembra valido anche oggi, nonostante l'avanzare della sfiducia tra i ferrovieri, sfiducia che si è concretizzata nelle molte dimissioni dai sindacati confederali e soprattutto dalla CGIL.
Situazione attuale e prospettive
Abbiamo detto che quella di rappresentanze categoriali, fuori dalla tutela delle organizzazioni confederali, è un fenomeno in fase di espansione che esce dai limiti, fino ad oggi ristretti, del pubblico impiego; l'ultimo esempio è la nascita di coordinamenti nel settore metalmeccanico, sull'onda dell'ultimo fallimentare (per i lavoratori) contratto nazionale di lavoro. Tali fenomeni rappresentano una comprensibile risposta alle politiche di contenimento salariale, a quelle di scambio (per altro mai avvenuto) tra il salario e l'occupazione.
Dieci anni fa mettevamo in guardia i lavoratori, a proposito della professionalità, del germe corporativo che si incuneava nel momento in cui si rigettava la battaglia salariale egualitaria. Tutto questo armamentario, sostenuto dal sindacato, ha contribuito insieme all'offensiva padronale, alla frantumazione ed alla sconfitta della classe lavoratrice.
Noi non condividiamo le posizioni delle confederazioni sindacali nei riguardi dei raggruppamenti categoriali i cui membri, tra l'altro, sono spesso iscritti alle confederazioni stesse; quest'ultimo è il caso degli auto-organizzati metalmeccanici, tutti fortemente politicizzati e nella maggior parte iscritti alla FIOM-CGIL.
Se quindi i COBAS non sono variabili impazzite o schiettamente corporative (ed anzi è necessario esservi presenti, quando rappresentano realmente i lavoratori, per portarvi analisi più generali), è altrettanto vero che esiste il rischio della ulteriore frammentazione.
Scrivevamo sul n° 19 di "Comunismo Libertario" dell'aprile 1990:
"Il caso del COMU (Coordinamento Macchinisti Uniti) è emblematico. In oltre due anni di vita di questa struttura (...) nella battaglia contrattuale così come nell'elaborazione di una piattaforma alternativa a quella confederale, i macchinisti sono latitanti. E' necessario, a nostro avviso, superare politicamente questa divisione (categoriale) creata e voluta dalle confederazioni e su cui il padronato soffia come sul fuoco.
Puntare sulla continua proliferazione di aggregazioni categoriali tra i ferrovieri, ci sembra politicamente senza sbocchi; occorre anzi che settori forti come i macchinisti, facciano da riferimento per gli altri lavoratori.
Nella nostra realtà ferroviaria italiana, ci sembra che l'unica possibilità per superare questa frammentazione sia cercare di ridare voce ai lavoratori e riaprire una stagione all'insegna dei Consigli.
I Consigli sono l'unica esperienza storica che abbia visto, sia negli anni '20 che nei primi anni '70, una reale partecipazione ed unità dei lavoratori. Dove questi non vengono rinnovati, occorre organizzare nuove elezioni su scheda bianca, cercando di rifiutare la divisione tra sigle sindacali. Sono i Consigli dei Delegati, eletti liberamente, e la loro unione organizzativa a livello territoriale, l'unica arma vincente contro la centralizzazione delle confederazioni e contro l'aumento del corporativismo."
Firenze, 15 gennaio 1991
Commissione Sindacale della
Federazione dei Comunisti Anarchici