PER UNA PIATTAFORMA DEL SINDACALISMO CONFLITTUALE E DI CLASSE
CONTRIBUTI ALLA DISCUSSIONE
A tutte le compagne ed i compagni,
che hanno scelto il duro lavoro sindacale per porsi come soggetti attivi nello scontro di classe, che hanno scelto le strutture sindacali quale luogo privilegiato per dare voce e forza agli interessi collettivi, immediati e storici, degli sfruttati, che organizzano e conducono l'attività sindacale secondo il metodo della democrazia diretta e secondo gli interessi di classe.
Le dimensioni di una sconfitta...
Analizziamo gli eventi o i processi iniziati e mai finiti, il ciclo economico ed ecco lo scenario che appare, replicando se stesso: riduzione delle dimensioni delle unità produttive; spostamento di alcuni settori produttivi verso paesi con un più basso costo della forza-lavoro e con esili vincoli ambientali e assenza di norme anti-inquinamento; modificazione dell'organizzazione del lavoro, estensione di forme "anomale" e precarie di rapporto di lavoro; esternalizzazione rispetto all'azienda di molte lavorazioni; introduzione del tele-lavoro; sviluppo dell'informatica e della telematica e loro applicazioni nel processo produttivo; varo di politiche restrittive della base produttiva; repressione dei consumi; forte accelerazione della flessibilità dell'uso della forza-lavoro e propensione alla creazione di differenziazioni salariali ( vedi legge 30); se tutti i processi hanno trovato coronamento nelle politiche del Governo di centro destra, bisogna riconoscere che hanno avuto la loro origine nel governo precedente ad Es la legge Biagi non è altro che un notevole peggioramento di quanto già previsto dal pacchetto Treu, progressivo svuotamento del CCNL; trasformazione del salario indiretto e differito in opportunità di accesso al mercato del welfare.
Il sindacalismo concertativo
Concertazione, triangolazione, partnership. Far propri gli interessi economici nazionali (una sorta di neo-corporativismo), sacrificando gli interessi dei lavoratori. Il dramma del sindacalismo confederale è duplice: da un lato tenta di "governare" le scelte macroeconomiche, ponendosi ai tavoli quale parte sociale portatrice di un parere obbligatorio e vincolante, ma la nuova fase economica non sembra prevedere una presenza del sindacato come elemento costitutivo del nuovo patto sociale, perché nei progetti del capitale non c'è spazio né per la cogestione alla CGIL, né per il solidarismo cristiano della CISL.
Dall'altro tenta di "governare" la contrattazione imponendola ad una controparte che la accetta volentieri purché sia una scatola vuota in cui i contenuti sfuggono al controllo dei lavoratori, in quanto decisi dalle compatibilità di sistema (programmi aziendali, produttività).
Nel suo percorso verso la completa istituzionalizzazione, il sindacalismo concertativo ha quindi un destino d'agenzia di carattere consultivo, gestore di servizi finanziari per i lavoratori. L'inganno ed il danno per i milioni d'iscritti è doppio: si fa strada l'idea che QUESTO è l'unico sindacalismo possibile e al tempo stesso si perde la nozione, la pratica e la memoria di sindacato quale luogo della ricomposizione e difesa collettiva degli interessi di classe.
E' pur vero che (r)esistono settori d'opposizione in alcune categorie o in alcune realtà geografiche; è pur vero che in alcuni casi possiamo assistere a dure lotte condotte a livello di singola situazione, dove l'unità dei lavoratori impone un sindacalismo conflittuale e prevale sulle logiche CGIL o CISL; è pur vero che alcuni coordinamenti RSU di settore o di territorio hanno saputo imporre un altro punto di vista rispetto alle decisioni delle segreterie locali o nazionali.
Ma queste realtà non sembrano poter più "recuperare" i sindacati confederali (e soprattutto il ceto burocratico-dirigenziale) a forme di rappresentanza e di lotta che li trascinino fuori delle secche del sindacalismo concertativo verso un sindacalismo conflittuale; anche se devono indurci a guardare ad esse come spezzoni di classe.
Per quanto, al momento attuale, il gruppo Dirigente della CGIL, che si avvia alla verifica congressuale, pare essersi allontanato dalle logiche strettamente concertative, va riscontrato che la Confindustria di Montezemolo non esprime più un progetto di scontro radicale, come quelli a guida D'Amato, e una svolta elettorale potrebbe riproporre l'attualità della concertazione dei quadri intermedi, nati e cresciuti con essa e che di essa oggi sono organi silenziosi, ma non rassegnati.
Il sindacalismo conflittuale
Il vuoto che ha creato e sta creando il sindacalismo concertativo ha permesso che si sviluppassero varie forme ed aggregazioni sindacali alternative e di base, la cui costituzione, diffusione e crescita hanno un andamento ancorato alle storie personali degli attivisti sindacali, al luogo ed al settore di lavoro. Queste aggregazioni, passate dai movimenti cobas a veri e propri sindacati (costo, ricordiamolo, non indifferente: occorre sottoscrivere la L.146/90 e gli accordi sulle RSU), hanno aumentato il numero degli iscritti, sono riuscite a far eleggere propri rappresentanti nelle elezioni RSU degli ultimi anni in diverse categorie, riescono in alcuni casi a promuovere iniziative di lotta (locali e nazionali; giuridiche e scioperi) che riscuotono un certo seguito, ANCHE tra i non iscritti. Con il crescere della credibilità e della rappresentatività (quella politica se non numerica) dovrebbe crescere anche la responsabilità di questi sindacati -sia di fronte ai propri iscritti, sia di fronte ai lavoratori tutti- quali soggetti portatori di un progetto alternativo.
Purtroppo la pluralità di sindacati di base non ha finora portato VALORE aggiunto al sindacalismo conflittuale, ma si è mutata in frantumazione dell'unità dei lavoratori con conseguente indebolimento del progetto alternativo: quello di ricostruire un sindacalismo di classe a democrazia diretta. Sono perciò auspicabili percorsi di coordinamento dei sindacati di base e di federabilità delle lotte di base, sia come progetto strategico, sia sul piano immediato nell'ipotesi di un mutamento degli assetti politico-istituzionali.
Ruolo degli attivisti sindacali Rivoluzionari
Ci sono moltissimi lavoratori/trici Rivoluzionari attive/i in diversi sindacati, dalla sinistra CGIL ai vari Cobas, dall'USI all'Unicobas, alle RdB/CUB, in vari settori e categorie, in diverse realtà geografiche e politiche. Molti altri non fanno riferimento ad un sindacato preciso. Più spesso la scelta è data dalla materialità dei rapporti di forza nel luogo di lavoro più che dal sentirsi rivoluzionari, è data dalla condivisione di un percorso o di una stagione di lotte con i compagni di lavoro più che dal massimalismo di una sigla o di un'altra. Molto spesso solo gli attivisti sindacali anarchici e libertari sanno essere elementi di unione dei lavoratori e non di divisione, sanno puntare alla comunanza di interessi e di intenti e non al settarismo. E questo perché essi stanno là dove la coscienza di classe si organizza in un dato momento storico, nelle forme che il conflitto sociale e la soggettività dei lavoratori delineano.
Non ci sono contenitori predefiniti, né sindacalismi da seguire: prima ancora che ai sindacati definiti, gli anarchici attivisti sindacali sono attenti alle forme di autoorganizzazione della classe nei luoghi di lavoro e nel territorio, perché l'organizzazione di massa si costruisce a partire da lì. Lì dove gli anarchici attivisti sindacali sono dentro quella dimensione organizzata dei lavoratori e ne favoriscono la crescita.
Gli anarchici attivisti sindacali scelgono i lavoratori prima delle sigle, scelgono l'unità dei lavoratori prima delle sigle, sostengono le lotte dei lavoratori per la difesa dei loro interessi indipendentemente dalla forma o sigla scelta, dal tipo di sindacalismo scelto, purché porti ad un miglioramento delle condizioni di vita del proletariato, all'apertura di spazi più liberi nella società!
Nei luoghi di lavoro per ricostruire l'unità di interessi tra lavoratori con diverse forme di contratto, riprendere nelle mani la contrattazione decentrata, tutelare il diritto alla salute, gestire l'orario per gestire meglio la vita, svincolare il salario dalla produttività.
Nel territorio per costruire luoghi e situazioni in cui possa ricostruirsi quel tessuto associativo, di dibattito, di elaborazione politica e culturale, di solidarietà, come furono le Società di Mutuo Soccorso e i circoli culturali che in passato fecero forte il movimento operaio e permisero un'efficace difesa degli interessi di classe.
Oppure Camere del Lavoro Intersindacali, associazioni intercategoriali, coordinamenti di sindacati, o di delegati RSU, che possono consentire di ritessere una trama di relazioni e di elaborazioni sindacali a prescindere dalle appartenenze e dalle tessere, dove la ricchezza viene dalle diverse esperienze sindacali, da quegli organismi autogestiti, da quei sindacati, da quei militanti sindacali e politici che individuano e perseguono obiettivi di lotta -parziali e più generali- su cui federare i lavoratori appartenenti a differenti organizzazioni sindacali.
A livello nazionale per la diffusione di un sindacalismo conflittuale che diventi il progetto discriminante su cui federare segmenti di classe, attivisti sindacali, sindacati di base diversi. Non essendo attualmente credibile la convergenza del sindacalismo di base in una sola organizzazione, ma essendo al tempo stesso urgente e necessario che il sindacalismo conflittuale si sedimenti e si ponga come vera forza alternativa ed attraente per i lavoratori, perché almeno si costruisca una piattaforma del sindacalismo di classe.
Una piattaforma in cui si pongano degli obiettivi e dei principi indisponibili su salario, orario, diritti, servizi, democrazia sindacale per tutti i lavoratori/trici italiani ed extracomunitari, garantiti e precari, del nord e del sud:
adottato dal 4° Attivo Sindacale Nazionale
FEDERAZIONE DEI COMUNISTI ANARCHICI
23 ottobre 2005