Un referendum per le lotte

Perché SI 

Il referendum è uno strumento delle democrazie borghesi per dare forza all’illusione di una qualche democraticità diretta, di partecipazione al potere legislativo di cui lo Stato si attribuisce con il suo ordinamento una prerogativa. Nell’ordinamento italiano tale partecipazione, da parte della sola fetta di popolazione avente diritto, si può esercitare per l’abrogazione parziale o totale di una legge. Nulla a che vedere con la democrazia diretta, e non è certamente un mistero che questo strumento, come gli altri che rientrano nell’architettura dello Stato e nell’utilizzo dell’autorità nell’organizzazione sociale, sia osteggiato dagli anarchici e dalle anarchiche. Anarchia, a dispetto di una difficile etimologia, difficile in quanto aperta a differenti interpretazioni di “arché”, nelle lucide parole di Malatesta significa “società organizzata senza autorità”.

I comunisti anarchici e le comuniste anarchiche sono tali non perché vogliano imporre il loro punto di vista o la loro autorità ma poiché pensano che non vi sia una via d’uscita, un’alternativa valida, se non attraverso la cooperazione di tutte e di tutti perché vi sia benessere e libertà per ciascuna/o. questo passa dall’emancipazione della classe - chiamata nel senso tradizionale della politica di discendenza marxiana - classe proletaria. Cosa sia, o cosa stia, dentro il proletariato oggi è argomento complesso, su cui si può discutere,  ma il compito della  nostra presenza come  anarchici all’interno della classe degli sfruttati, di un proletariato allargato, variegato e internazionale, crediamo sia chiaro:  deve essere presenza politica attiva, si deve dotare di tutti gli strumenti atti all’emancipazione della coscienza di classe, attraverso l’informazione, lo smascheramento simbolico e politico, e la propaganda. Proprio per questo occorre che non si voltino le spalle di fronte alle possibilità di conquista di parziali libertà e di parziale giustizia, non si svilisca il nostro ruolo oltrepassando le coscienze altrui per andare da soli in avanti su posizioni ideologicamente pure quanto incomprensibili ai nostri compagni di lavoro e di strada.. Il potere politico istituzionalizzato regola la vita sociale attraverso le leggi: la nostra attività politica mira a spingere perché vi sia una volontà trasversale – popolare - che abbia il preciso scopo di diminuire questo potere, e questo in modo allargato e  condiviso,  e , impedendo soprattutto allo Stato di fare un uso troppo dannoso di questo potere che ancora detiene.

 Errico Malatesta in relazione alla Costituente scriveva queste parole che potrebbero essere ancora utili per una riflessione oggi:

“Il problema dunque è di conquistare almeno un minimo di libertà, indispensabile ad ogni progresso. In Italia avremo la Repubblica, e noi contribuiremo al suo trionfo concorrendo ad abbattere l’ostacolo comune che preclude il cammino a noi ed ai repubblicani; ma non diventeremo repubblicani per questo. Noi profitteremo delle circostanze per rinforzare la nostra compagine, per allargare la nostra propaganda e mireremo sempre all’immediata espropriazione dei capitalisti, come condizione preliminare di ogni vera libertà[1].

Il nostro essere, e stare, dentro la classe dei lavoratori, il nostro essere lavoratori organizzati che lottano anche  x migliorare le condizioni di lavoro e  aumentare la consapevolezza e la coscienza di classe hanno come naturale conseguenza l’impegnarsi nelle battaglie, qui e ora, che i lavoratori si trovano a combattere. Nelle lotte offensive, per strappare reddito, servizi e spazi di libertà, e nelle battaglie difensive, quando occorre difendere quanto conquistato in momenti migliori.   

Il 15 Giugno si vota per il Referendum sull’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Questa è per noi una battaglia offensiva e difensiva al tempo stesso.

L’articolo 18 tutela i lavoratori dal licenziamento senza motivo plausibile, per esempio per avere espresso idee e opinioni non condivise dal datore di lavoro, per avere aderito ad un sindacato o ad uno sciopero, per essere insomma un lavoratore “scomodo”. E’ una norma che tutela la libertà di espressione e di opinione e limita la ricattabilità del lavoratore da parte del padrone.

Questa tutela è attualmente limitata ai soli lavoratori di aziende con un numero di dipendenti maggiore di 15, che rappresentano il 10%, cioè una piccola parte, delle aziende italiane. Per tutti gli altri lavoratori, che sono il 65% cioè la maggioranza, questa norma non è applicabile. Questi lavoratori non sono tutelati contro le discriminazioni e l’arbitrio dei padroni.

Il referendum chiede semplicemente l’estensione a tutti di un diritto che già è riconosciuto a molti.

E’ una battaglia di principio, per la libertà e l’uguaglianza dei lavoratori, ma non solo, è soprattutto  una battaglia di sostanza. Confindustria e Governo stanno lucidamente portando avanti il loro progetto organico di demolizione dei diritti e di destabilizzazione del mondo del lavoro. Un progetto che tende a rendere sempre più precaria la vita dei lavoratori.

 Il famigerato “Libro Bianco” e la sua realizzazione legislativa rappresenta l’impalcatura di questo progetto eversivo. Il DDL 848, diventato ormai legge dello Stato (legge 30 del 14 febbraio 2003),  e il suo “fratellino” 848-bis, in cui è stata trasferita la modifica dell’articolo 18, puntano ad aumentare la precarietà del lavoro attraverso una vera e propria azione a tenaglia: da una parte si limitano o si eliminano i diritti acquisiti (per esempio l’articolo 18) mentre dall’altra si rende sempre più facile per le aziende servirsi di lavoratori senza tutela.

Si tenta, in parole povere, di estendere sempre più la fascia di lavoratori “atipici”, precari, non tutelati. Se finora la strategia del padronato si era concentrata sui lavoratori a tempo determinato, con la nuova legge l’offensiva si estende a tutto il mondo del lavoro.

L’effetto della legge 30 è infatti tanto più dirompente quanto più si riesce a limitare l’applicazione della tutela data dall’articolo 18. E’ di converso evidente come l’estensione dell’articolo 18 a soggetti che attualmente ne sono privi riuscirebbe in qualche modo a  limitare i danni di questa legge scellerata.

Un primo esempio: con la nuova legge vengono eliminati alcuni requisiti fino ad oggi necessari per poter autorizzare la cessione di rami d’azienda.  Non è più necessario dimostrare la reale autonomia funzionale del ramo ceduto. Sarà quindi possibile spezzettare una azienda in tanti piccole imprese, magari sotto i quindici dipendenti, senza nessuna obbiettivo funzionale o organizzativo se non quello di eliminare i vincoli e le tutele della forza lavoro impiegata.

Anche l’introduzione del cosiddetto “staff leasing”, ovvero  il lavoro interinale a carattere continuativo e a tempo indeterminato, cioè la legalizzazione della interposizione (come viene chiamata adesso “somministrazione”) di manodopera, va nella stessa direzione: consente alle aziende di liberarsi dai vincoli contrattuali e normativi, tra cui l’articolo 18 .

L’effetto distruttivo di queste manovre può essere vanificato estendendo il diritto al reintegro a tutti i lavoratori, anche a quelli che attualmente ne sono privi.

Vincere questo Referendum significa per noi aprire una nuova stagione di lotte: è necessario battersi affinché le tutele, i diritti e le regole vengano estese all’enorme fascia di lavoratori “atipici” che sono poco o nulla tutelati: in Italia ci sono circa 2 milioni e 400 mila lavoratori co.co.co.,  l’11% circa della forza lavoro totale.

Vincere questo Referendum è possibile: le grandi mobilitazioni dei lavoratori, dal 15 febbraio al 16 aprile passando per il 23 marzo 2002, hanno svelato un'enorme potenzialità di lotta che abbiamo tutti la responsabilità di non disperdere. La battaglia sull'articolo 18 rischia di rimanere una mera battaglia di principio se da questa non si parte per rimettere in discussione le politiche di attacco ai salari, ai diritti, alle condizioni di vita di milioni di lavoratrici e di lavoratori, di giovani, di anziani, di immigrati, che questo Governo porta avanti sulla scia dei precedenti esecutivi di centro-sinistra.

Vincere questo Referendum costituisce un punto di svolta: per lasciarsi alle spalle la stagione della politica dei redditi e della concertazione e aprire definitivamente quella fase di conflitto che i lavoratori chiedono con le manifestazioni, gli scioperi e le mobilitazioni di questi anni.

E’ solo un primo passo, ma è un passo importante. Per questo chiediamo a tutte e a tutti di votare sì a questo referendum.

Per sventare il tentativo in corso da parte di Confindustria e Governo di ridurre il lavoro e i lavoratori ad una semplice merce è necessario non solo lottare per mantenere i diritti acquisiti, ma iniziare a lottare per estendere i diritti anche ai lavoratori che adesso ne sono privi.

Questo referendum è un primo passo in questa direzione. Un passo assolutamente necessario, ma nello stesso tempo non sufficiente: bisogna essere consapevoli che l’unica strada per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori è l’azione diretta e l’autorganizzazione degli stessi. Storicamente tutto ciò che i lavoratori hanno conquistato è stato grazie alle proprie lotte,  non a referendum o a leggi dello Stato.  Questo referendum non servirà a nulla se non riusciremo a dargli un seguito in forma di lotte, costruite dal basso e svincolate dagli apparati burocratici, per la costruzione di una piattaforma unitaria basata sulla lotta alla precarizzazione del lavoro e per la conquista di salari europei.

Per tutte queste ragioni, l’azione organizzata degli anarchici nei sindacati ed in tutti gli organismi di lotta proletari non può che essere coordinata ed orientata verso un medesimo fine sempre a difesa degli interessi storici ed immediati degli sfruttati.  L’orientamento  dell’organizzazione politica anarchica, quindi, non può che essere chiaro ed inequivocabile evitando confusione di posizioni e contraddizioni.   Una scelta politicamente significativa in questi casi cade sulla capacità dell’organizzazione politica anarchica di sapersi proporre unitariamente, con una posizione meditata sulla base delle condizioni materiali dello scontro di classe in corso.

Così si orienta la Federazione dei Comunisti Anarchici. Per questo le compagne ed i compagni della FdCA hanno scelto il SI’.

Consiglio dei Delegati FdCA

Bologna, 16 maggio 2003

 

 

[1] Da Ancora di Repubblica e Rivoluzione, in “Pensiero e volontà”, 15 giugno 1924. Ripreso in Errico Malatesta, Scritti scelti, a cura di G. Cerrito, Roma, Savelli, 1973, p. 148.