IL PROGRAMMA ANARCHICO
Errico
Malatesta
Il programma
dell'Unione Anarchica Italiana è il programma comunista
anarchico rivoluzionario, che già da cinquant'anni fu sostenuto in
Italia nel seno della I Internazionale sotto il nome di programma
socialista, che più tardi si distinse col nome di socialista anarchico, e
che poi, in seguito e per reazione alla crescente degenerazione
autoritaria e parlamentare dei movimento socialista, si disse
semplicemente anarchico.
Noi crediamo che la
più gran parte dei mali che affliggono gli uomini dipende dalla cattiva
organizzazione sociale, e che gli uomini volendo e sapendo, possono
distruggerli.
La società attuale è il risultato delle lotte
secolari che gli uomini han combattuto tra di loro. Non comprendendo i
vantaggi che potevano venire a tutti dalla cooperazione e dalla
solidarietà, vedendo in ogni altro uomo (salvo al massimo i più vicini per
vincoli di sangue) un concorrente ed un nemico, han cercato di
accaparrare, ciascun per sé, la più grande quantità di godimenti
possibili, senza curarsi degli interessi degli altri. Data la lotta,
naturalmente i più forti, o i più fortunati, dovevano vincere ed in vario
modo sottoporre ed opprimere i vinti.
Fino a che l'uomo non fu capace di produrre di
più di quello che bastava strettamente al suo mantenimento, i vincitori
non potevano che fugare e massacrare i vinti ed impossessarsi degli
alimenti da essi raccolti.
Poi, quando con la scoperta della pastorizia e
dell'agricoltura un uomo potè produrre più di ciò che gli occorreva per
vivere, i vincitori trovarono più conveniente ridurre i vinti in schiavitù
e farli lavorare per loro.
Più tardi, i vincitori si accorsero che era
più comodo, più produttivo e più sicuro sfruttare il lavoro altrui con un
altro sistema: ritenere per sé la proprietà esclusiva della terra e di
tutti ì mezzi di lavoro, e lasciar nominalmente liberi gli spogliati, i
quali poi non avendo mezzi di vivere, erano costretti a ricorrere ai
proprietari ed a lavorare per conto loro, ai patti che essi
volevano.
Così, man mano, attraverso tutta una rete
complicatissima di lotte di ogni specie, invasioni, guerre, ribellioni,
repressioni, concessioni strappate, associazioni di vinti unitisi per la
difesa, e di vincitori unitisi per l'offesa, si è giunti allo stato
attuale della società in cui alcuni detengono ereditariamente la terra e
tutta la ricchezza sociale, mentre la gran massa degli uomini, diseredata
di tutto, è sfruttata ed oppressa dai pochi
proprietari.
Da questo dipendono lo stato di miseria in cui
si trovano generalmente i lavoratori, e tutti i mali che dalla miseria
derivano: ignoranza, delitti, prostituzione. Da questo, la costituzione di
una classe speciale (governo), la quale, fornita di mezzi materiali di
repressione, ha missione di legalizzare e difendere i proprietari contro
le rivendicazioni dei proletari; e poi si serve della forza che ha, per
creare a sé stessa dei privilegi e sottomettere, se può, alla sua
supremazia anche la stessa classe proprietaria. Da questo, la costituzione
di un'altra classe speciale (il clero), la quale con una serie di favole
sulla volontà di Dio, sulla vita futura, ecc., cerca d'indurre gli
oppressi a sopportare docilmente l'oppres-sione, ed al pari del Governo
oltre di fare gli interessi dei proprietari, fa anche i suoi propri. Da
questo, la formazione di una scienza ufficiale che è, in tutto ciò che può
servire agl'interessi dei dominatori, la negazione della scienza vera. Da
questo, lo spirito patriottico, gli odi di razza, le guerre, e le paci
armate talvolta più disastrose delle guerre stesse. Da questo, l'amore
trasformato in tormento o in turpe mercato. Da ciò l'odio più o meno
larvato, la rivalità, il sospetto fra tutti gli uomini, l'incertezza e la
paura per tutti.
Tale stato di cose noi vogliamo radicalmente
cambiare. E poiché tutti questi mali derivano dalla lotta fra gli uomini,
dalla ricerca del benessere fatta da ciascuno per conto suo e contro
tutti, noi vogliamo rimediarvi sostituendo all'odio l'amore, alla
concorrenza la solidarietà, alla ricerca esclusiva del proprio benessere
la cooperazione fraterna per il benessere di tutti, alla oppressione ed
all'imposizione la libertà, alla menzogna religiosa e pseudoscientifica la
verità. Dunque:
2. Vie e mezzi
Abbiamo esposto a sommi capi qual'è lo scopo
che vogliamo raggiungere quale l'ideale pel quale
lottiamo.
Ma non basta desiderare una cosa: se si vuole
ottenerla davvero bisogna impiegare i mezzi adatti al suo conseguimento. E
questi mezzi non sono arbitrari, ma derivano, necessariamente, dal fine
cui si mira e dalle circostanze nelle quali si lotta; giacché ingannandosi
sulla scelta dei mezzi, non si raggiungerebbe il fine propostosi, ma un
altro, magari opposto che sarebbe conseguenza naturale, necessaria, dei
mezzi adoperati. Chi si mette in cammino e sbaglia strada, non va dove
vuole, ma dove lo porta la strada percorsa.
Occorre dunque, dire quali sono i mezzi che,
secondo noi, conducono allo scopo prefissoci, e che noi intendiamo
adoperare.
Il nostro ideale non è di quelli il cui
conseguimento dipende dall'individuo considerato isolatamente. Si tratta
di cambiare il modo di vivere in società, di stabilire tra gli uomini
rapporti di amore e solidarietà, di conseguire la pienezza dello sviluppo
materiale, morale e intellettuale, non per un dato partito, ma per tutti
quanti gli esseri umani - e questo non è cosa che si possa imporre colla
forza, ma deve sorgere dalla coscienza illuminata di ciascuno ed attuarsi
mediante il libero consentimento di tutti.
Nostro primo compito quindi deve essere quello
di persuadere la gente. Bisogna che noi richiamiamo l'attenzione degli
uomini sui mali che soffrono e sulla possibilità di distruggerli. Bisogna
che suscitiamo in ciascuno la simpatia pei mali altrui ed il desiderio
vivo del bene di tutti.
A chi ha fame e freddo noi mostreremo come
sarebbe possibile, e facile, assicurare a tutti la soddisfazione dei
bisogni materiali. A chi è oppresso e vilipeso, noi diremo come si può
vivere felicemente in una società di liberi e uguali; a chi è tormentato
dall'odio e dal rancore, noi additeremo la via per raggiungere, amando i
propri simili, la pace e la gioia del cuore.
E quando saremo riusciti a far nascere
nell'animo degli uomini il sentimento di ribellione contro i mali ingiusti
ed inevitabili di cui si soffre nella società presente, ed a far
comprendere quali sono le cause di questi mali e come dipenda dalla
volontà umana l'eliminarli; quando avremo ispirato il desiderio vivo,
prepotente, di trasformare la società per il bene di tutti, di coloro che
li han preceduti nella convinzione, si uniranno e vorranno, e potranno,
attuare i comuni ideali.
Sarebbe - lo abbiam già detto - assurdo ed in
contraddizione col nostro scopo di voler imporre la libertà, l'amore fra
gli uomini, lo sviluppo integrale di tutte le facoltà umane, per mezzo
della forza. Bisogna dunque contare sulla libera volontà degli altri, e la
sola cosa che possiamo fare è quella di provocare il formarsi ed il
manifestarsi di detta volontà. Ma sarebbe però egualmente assurdo e
contrario al nostro scopo l'ammettere che coloro i quali non la pensano
come noi c'impediscano di attuare la nostra volontà, sempre che essa non
leda il loro diritto ad una libertà uguale alla
nostra.
Libertà dunque per tutti di propagare ed
esperimentare le proprie idee, senza altro limite che quello che risulta
naturalmente dall'eguale libertà di tutti.
Ma a questo si oppongono - e si oppongono
colla forza brutale - coloro che sono i beneficiari degli attuali
privilegi e dominano e regolano tutta la vita sociale
presente.
Essi hanno in mano tutti i mezzi di
produzione; e quindi sopprimono non solo la possibilità di esperimentare
nuovi modi dì convivenza sociale, non solo il diritto dei lavoratori di
vivere liberamente col proprio lavoro, ma anche lo stesso diritto
all'esi-stenza; ed obbligano chi non è proprietario a lasciarsi sfruttare
ed opprimere se non vuole morire di fame.
Essi hanno polizie, magistrature, eserciti
creati appositamente per difendere i loro privilegi; e perseguitano,
incarcerano, massacrano coloro che vogliono abolire quei privilegi e
reclamano i mezzi di vita e la libertà per tutti.
Gelosi dei loro interessi presenti ed
immediati, corrosi dallo spirito di dominazione paurosi dell'avvenire.
essi, i privilegiati, sono, generalmente parlando, incapaci di uno slancio
generoso, sono incapaci benanco di una più larga concezione dei loro
interessi. E sarebbe follia sperare ch'essi rinunzino volontariamente alla
proprietà ed al potere, e si adattino ad essere gli eguali dì coloro che
oggi tengono sottoposti.
Lasciando da parte l'esperienza storica (la
quale dimostra che mai una classe privilegiata si è spogliata, in tutto o
in parte dei suoi privilegi, e mai un governo ha abbandonato il potere se
non vi è stato obbligato dalla forza o dalla paura della forza), bastano i
fatti contemporanei per convincere chiunque che la borghesia ed i governi
intendono impiegare la forza materiale per difendersi, non solo contro
l'espropriazione totale, ma anche contro le più piccole pretese popolari,
e son pronti sempre alle più atroci persecuzioni, ai più sanguinosi
massacri. Al popolo che vuole emanciparsi non resta altra via che quella
di opporre la forza alla forza.
Risulta da quanto abbiamo detto che noi
dobbiamo lavorare, per risvegliare negli oppressi il desiderio vivo di una
radicale trasformazione sociale, e persuaderli che unendosi, essi hanno la
forza di vincere; dobbiamo propagare il nostro ideale e preparare le forze
morali e materiali necessari a vincere le forze nemiche, e ad organizzare
la nuova società. E quando avremo la forza sufficiente dobbiamo,
profittando delle circostanze favorevoli che si producono o creandole noi
stessi, fare la rivoluzione sociale, abbattendo, colla forza, il governo,
espropriando, colla forza, i proprietari; mettendo in comune i mezzi di
vita e di produzione, ed impedendo che nuovi governi vengano ad imporre la
loro volontà e ad ostacolare la riorganizzazione sociale fatta
direttamente dagli interessati.
Tutto questo però è meno semplice di quello
che potrebbe a prima giunta parere. Noi abbiamo da fare cogli uomini quali
sono nell'attuale società, in condizioni morali e materiali
disgraziatissime; e c'inganneremo pensando che basta la propaganda per
elevarli a quel grado di sviluppo intellettuale e morale che è necessario
all'attua-zione dei nostri ideali.
Tra l'uomo e l'ambiente sociale vi è un'azione
reciproca. Gli uomini fanno la società come essa è e la società fa gli
uomini come essi sono, e da ciò risulta una specie di circolo vizioso. Per
trasformare la società bisogna trasformare gli uomini e per trasformare
gli uomini bisogna trasformare la società.
La miseria abbruttisce l'uomo e per
distruggere la miseria bisogna che gli uomini abbiano coscienza e volontà.
La schiavitù educa gli uomini ad essere schiavi e per liberarsi dalla
schiavitù v'è bisogno di uomini aspiranti alla libertà. L'ignoranza fa sì
che gli uomini non conoscano le cause dei loro mali e non sappiano
rimediarvi, e per distruggere l'ignoranza bisogna che gli uomini abbiano
il tempo ed il modo d'istruirsi.
Il governo abitua la gente a subire la legge
ed a credere che la legge sia necessaria alla società; e per abolire il
governo bisogna che gli uomini siano persuasi della sua inutilità e del
suo danno.
Come uscire da questo circolo
vizioso?
Fortunatamente la società attuale non è stata
formata dalla volontà illuminata di una classe dominante, che abbia potuto
ridurre tutti i dominati a strumenti passivi ed incoscienti dei suoi
interessi. Essa è il risultato di mille lotte intestine, di mille fattori
naturali ed umani agenti casualmente senza criteri direttivi; e quindi non
vi sono divisioni nette né tra gli individui né tra le
classi.
Infinite sono le varietà dì condizioni
materiali; infiniti i gradi di sviluppo morale ed intellettuale; e non
sempre - diremmo quasi molto raramente - il posto che uno occupa in
società corrisponde alle sue facoltà ed alle sue aspirazioni. Spessissimo
alcuni individui cadono in condizioni inferiori a quelle a cui sono
abituati, ed altri, per circostanze eccezionalmente favorevoli, riescono
ad elevarsi a condizioni superiori a quelle in cui sono nati. Una parte
notevole del proletariato è già arrivata ad uscire dallo stato di miseria
assoluta, abbrutente, o non ha mai potuto esservi ridotta; nessun
lavoratore, o quasi nessuno si trova nello stato di incoscienza completa,
di completa acquiescenza alle condizioni che gli fanno i padroni. E le
stesse istituzioni, quali sono state prodotte dalla storia, contengono
delle contraddizioni organiche che sono come dei germi di morte, i quali
sviluppandosi producono la dissoluzione dell'istituzione e la necessità
della trasformazione.
Da ciò la possibilità dei progresso; ma non la
possibilità di portare, per mezzo della propaganda, tutti gli uomini al
livello necessario perché vogliano e facciano l'anarchia, senza
un'anteriore graduale trasformazione dell'ambiente.
Il progresso deve camminare
contemporaneamente, parallelamente negli individui e nell'ambiente;
dobbiamo profittare di tutti i mezzi di tutte le possibilità, dì tutte le
occasioni che ci lascia l'ambiente attuale, per agire sugli uomini e
sviluppare la loro coscienza ed i loro desideri; dobbiamo utilizzare tutti
i progressi avvenuti nella coscienza degli uomini per indurli a reclamare
ed imporre quelle maggiori trasformazioni sociali che sono possibili e che
meglio servono ad aprire la via a progressi
ulteriori
Noi non dobbiamo aspettare dì poter fare
l'anarchia ed intanto limitarci alla semplice propaganda. Se facessimo
così, presto avremmo esaurito il campo; avremmo convertiti cioè, tutti
quelli che nell'ambiente sono suscettibili di comprendere ed accettare le
nostre idee e la nostra ulteriore propaganda resterebbe sterile; o se
delle trasformazioni d'ambiente elevassero nuovi strati popolari alla
possibilità di ricevere idee nuove, ciò avverrebbe senza l'opera nostra,
forse contro l'opera nostra e quindi con pregiudizio delle nostre
idee.
Noi dobbiamo cercare che il popolo, nella sua
totalità o nelle sue frazioni, pretenda, imponga, prenda da sé tutti i
miglioramenti, tutte le libertà che desidera, man mano che giunge a
desiderarle ed ha la forza di imporle; e propagandando sempre tutto intero
il nostro programma e lottando sempre per la sua attuazione integrale,
dobbiamo spingere il popolo a pretendere ed imporre sempre di più fino a
che non ha raggiunto l'eman-cipazione completa.
3. La lotta economica
L'oppressione che, oggi, più direttamente preme
sui lavoratori, e che è la causa principale dì tutte le soggezioni morali
e materiali cui i lavoratori sottostanno, è l'oppres-sione economica, vale
a dire lo sfruttamento che i padroni e i commercianti esercitano su di
loro, grazie all'accaparramento di tutti i grandi mezzi di produzione e di
scambi.
Per sopprimere radicalmente e senza pericolo
di ritorno questa oppressione, occorre che il popolo tutto sia convinto
del diritto che esso ha all'uso dei mezzi di produzione, e che attui
questo suo diritto primordiale espropriando i detentori dei suolo e di
tutte le ricchezze sociali e mettendo quello e queste a disposizione di
tutti.
Ma si può ora stesso metter mano a questa
espropriazione? Si può oggi passare direttamente, senza gradi intermedi,
dall'inferno in cui si trova ora il proletariato, al paradiso della
proprietà comune?
I fatti dimostreranno di che cosa i lavoratori
sono oggi capaci. Compito nostro è quello di preparare il popolo,
moralmente e materialmente, a questa necessaria espropriazione; e di
tentarla e ritentarla, ogni volta che una scossa rivoluzionaria ce ne
presenta l'occasione fino al trionfo definitivo Ma in che modo possiamo
preparare il popolo? In che modo preparare le condizioni che rendano
possibile, non solo il fatto materiale dell'espropriazione, ma
l'utilizzazione, a vantaggio di tutti, della ricchezza
comune?
Abbiamo detto antecedentemente che la sola
propaganda, parlata o scritta, è impotente a conquistare alle nostre idee
tutta quanta la grande massa popolare. Occorre una educazione pratica, la
quale sia a volta a volta causa ed effetto di una graduale trasformazione
dell'ambiente Occorre che a mano a mano che si sviluppati nei lavoratori
il senso di ribellione contro le ingiuste e inutili sofferenze di cui son
vittime, ed il desiderio di migliorare le loro condizioni, essi, uniti e
solidali tra loro, lottino per il conseguimento di quel che desiderano. E
noi, e come anarchici e come lavoratori, dobbiamo provocarli ed
incoraggiarli alla lotta e lottare con loro.
Ma sono possibili, in regime capitalistico,
questi miglioramenti? Sono essi utili, dal punto di vista della futura
emancipazione integrale dei lavoratori?
Qualunque siano i risultati pratici della
lotta per i miglioramenti immediati, l'utilità principale sta nella lotta
stessa. Con essa gli operai imparano ad occuparsi dei loro interessi di
classe, imparano che il padrone ha interessi opposti al loro e che essi
non possono migliorare le loro condizioni ed anche meno emanciparsi, se
non unendosi e diventando più forti dei padroni. Se riescono ad ottenere
quello che vogliono, staranno meglio: guadagneranno di più, lavoreranno
meno, avranno più tempo e più forza per riflettere alle cose che loro
interessano, e sentiranno subito desideri maggiori, bisogni maggiori. Se
non riescono, saran condotti a studiare le cause dell'insuccesso ed a
riconoscere la necessità di maggiore unione, di maggiore energia; e
comprenderanno infine che a vincere sicuramente e definitiva niente
occorre distruggere il capitalismo. La causa della rivoluzione, la causa
dell'elevamento morale del lavoratore e della sua emancipazione non
possono che guadagnare dal fatto che i lavoratori si uniscono e lottano
per ì loro interessi.
Ma, ancora una volta, è possibile che i
lavoratori riescano, nell'attuale stato di cose, a migliorare realmente le
loro condizioni?
Ciò dipende dal concorso di una infinità di
circostanze. Malgrado ciò che dicono alcuni, non esiste una legge naturale
(legge dei salari), la quale determina la parte che va al lavoratore sul
prodotto del suo lavoro: o, se legge si vuol formulare, essa non potrebbe
essere che questa: il salario non può scendere normalmente ai disotto di
quel tanto che è necessario alla vita, né può normalmente salire tanto da
non lasciare nessun profitto al padrone.
È chiaro che nel primo caso gli operai
morrebbero e quindi non riscuoterebbero più salario, e nel secondo i
padroni cesserebbero di far lavorare e quindi non pagherebbero più salari.
Ma tra questi i due estremi impossibili vi sono una infinità di gradi, che
vanno dalle condizioni miserabili di molti lavoratori agricoli fino a
quelle quasi decenti degli operai dei buoni mestieri nelle grandi
città.
Il salario, la lunghezza della giornata e
tutte le altre condizioni del lavoro sono il risultato della lotta tra
padroni e lavoranti. Quelli cercano di dare ai lavoranti il meno che
possono e di farli lavorare fino a esaurimento completo; questi cercano, o
dovrebbero cercare, di lavorare il meno e guadagnare il più che possono.
Dove i lavoratori si contentano di tutto, o, anche essendo scontenti. non
sanno opporre valida resistenza ai padroni, sorto presto ridotti a
condizioni animalesche di vita: dove invece essi hanno un concetto
alquanto elevato del modo come dovrebbero vivere degli esseri umani, e
sanno unirsi e, mediante il rifiuto di lavoro e la minaccia latente o
esplicita di rivolta, imporsi rispetto ai padroni, essi sono trattati in
modo relativamente sopportabile. In modo che può dirsi che il salario
dentro certi limiti, è quello che l'operaio (non come individuo,
s'intende, ma come classe) pretende.
Lottando dunque, resistendo contro i padroni,
i lavoratori possono impedire, fino ad un certo punto. che le loro
condizioni peggiorino ed anche ottenere dei miglioramenti reali. E la
storia del movimento operaio ha già dimostrato questa
verità.
Bisogna però non esagerare la portata di
questa lotta combattuta tra operai e padroni sul terreno esclusivamente
economico. I padroni possono cedere, e spesso cedono, innanzi alle
esigenze operaie energicamente espresse, fino a quando non si tratti di
pretese troppo grosse, ma quando gli operai incominciassero (ed è urgente
elle incomincino) a pretendere un tale trattamento che assorbirebbe tutto
il profitto dei padroni e riuscirebbe così ad una espropriazione
indiretta, è certo che i padroni farebbero appello si governo e
cercherebbero di costringere gli operai a restare nella loro posizione di
schiavi salariati.
Ed anche prima, ben prima che gli operai
possano pretendere di ricevere in compenso del loro lavoro l'equivalente
di tutto ciò che han prodotto, la lotta economica diventa impotente a
continuare a produrre il miglioramento delle condizioni dei
lavoratori.
Gli operai producono tutto e senza di loro non
si può, vivere: quindi sembrerebbe che rifiutando il lavoro essi potessero
imporre tutto ciò che vogliono. Ma l'unione di tutti i lavoratori anche di
un sol mestiere, anche di un sol paese, è difficile ad ottenere, ed
all'unione degli operai si oppone l'unione dei padroni. Gli operai vivono
alla giornata e, se non lavorano, presto mancano di pane; mentre i padroni
dispongono, mediante il denaro, di tutti i prodotti già accumulati, e
quindi possono tranquillamente aspettare che la fame abbia ridotti a
discrezione i loro salariati. L'invenzione o l'introduzione di nuove
macchine rende inutile l'opera di un gran numero di operai ed accresce il
grande esercito dei disoccupati, che la fame costringe a vendersi a
qualunque condizione. L'immigrazio-ne apporta subito nei paesi dove gli
operai riescono a star meglio, delle folle di lavoratori famelici che,
volendo o no, offrono ai padroni il modo di ribassare i salari. E tutti
questi fatti, derivanti necessariamente dal sistema capitalistico,
riescono a controbilanciare il progresso della coscienza e della
solidarietà operaia: spesso camminano più rapidamente di questo progresso
e lo arrestano e lo distruggono. Ed in tutti i casi resta sempre il fatto
primordiale che la produzione, in sistema capitalistico, è organizzata da
ciascun capitalista per il suo profitto individuale e non già per
soddisfare come sarebbe naturale, nel miglior modo possibile, i bisogni
dei lavoratori. Quindi il disordine, lo sciupio di forze umane, la
scarsezza voluta dei prodotti, i lavori inutili e dannosi, la
disoccupazione, le terre incolte, il poco uso delle macchine ecc. - tutti
mali che non si possono evitare se non levando ai capitalisti il possesso
dei mezzi di lavoro e quindi la direzione della
produzione.
Presto dunque si presenta per gli operai, che
intendono emanciparsi o anche solo di migliorare seriamente le loro
condizioni, la necessità di attaccare il governo, il quale, legittimando
il diritto di proprietà e sostenendola colla forza brutale, costituisce
una barriera innanzi al progresso, che bisogna abbattere colla forza se
non si vuole restare indefinitamente nello stato attuale e
peggio.
Dalla lotta economica bisogna passare alla
lotta politica, cioè alla lotta contro il governo; ed invece di opporre ai
milioni dei capitalisti gli scarsi centesimi a stento accumulati dagli
operai, bisogna opporre ai fucili ed ai cannoni che difendono la
proprietà, quei mezzi migliori che il popolo potrà trovare per vincere la
forza con la forza.
4. La lotta politica
Per la lotta politica intendiamo la lotta
contro il governo. Governo è l'insieme di quegl'individui che detengono il
potere, comunque acquistato, di far la legge ed imporla ai governanti,
cioè al pubblico.
Conseguenza dello spirito di dominio e della
violenza con cui alcuni uomini si sono imposti agli altri, esso è, nello
stesso tempo, creatore e creatura del privilegio e suo difensore
naturale.
Erroneamente si dice che il governo compie
oggi la funzione di difensore del capitalismo, ma che abolito il
capitalismo esso diventerebbe rappresentante e gerente degli interessi
generali. Prima di tutto il capitalismo non si potrà distruggere se non
quando i lavoratori, cacciato il governo, prendano possesso della
ricchezza sociale ed organizzino la produzione ed il consumo
nell'interesse di tutti, da loro stessi, senza aspettare l'opera di un
governo il quale, anche a volerlo, non sarebbe capace di
farlo.
Ma v'è di più: se il capitalismo fosse
distrutto e si lasciasse sussistere un governo, questo, mediante la
concessione di ogni sorta di privilegi lo creerebbe di nuovo poiché non
potendo accontentar tutti avrebbe bisogno di una classe economicamente
potente che lo appoggi in cambio della protezione legale e materiale che
ne riceve.
Per conseguenza, non si può abolire il
privilegio e stabilire solidamente e definitivamente la libertà e
l'uguaglianza sociale se non abolendo il governo, non questo o quel
governo, ma l'istituzione stessa del governo.
Però, in questo, come in tutti i fatti
d'interesse generale, più che in qualunque altro occorre il consenso della
generalità: e perciò dobbiamo sforzarci di persuadere la gente che il
governo è inutile e dannoso, e che si può vivere meglio senza
governo.
Ma, come abbiamo già ripetuto, la sola
propaganda è impotente a convincere tutti - e se noi volessimo limitarci a
predicare contro il governo, aspettando altrimenti inerti, il giorno in
cui il pubblico sarà convinto della possibilità ed utilità di abolire
completamente ogni specie di governo, quel giorno non verrebbe
mai.
Sempre predicando contro ogni specie di
governo, sempre reclamando la libertà integrale, noi dobbiamo favorire
tutte le lotte per le libertà parziali, convinti che nella lotta s'impara
a lottare e che incominciando a gustare un po' di libertà si finisce col
volerla tutta. Noi dobbiamo sempre essere col popolo, e quando non
riusciamo a fargli pretender molto, cercare che almeno cominci a pretender
qualche cosa: e dobbiamo sforzarci perché apprenda, poco o molto che
voglia, a volerlo conquistare da sé, e tenga in odio ed in disprezzo
chiunque sta o vuole andare al governo.
Poiché il governo tiene oggi il potere di
regolare, mediante le leggi, la vita sociale ed allargare o restringere la
libertà dei cittadini, noi non potendo ancora strappargli questo potere,
dobbiamo cercare di diminuirglielo e dì obbligarlo a farne l'uso meno
dannoso possibile Ma questo lo dobbiamo fare stando sempre fuori e contro
il governo, premendo su di lui mediante l'agitazione della piazza
minacciando di prendere per forza quello che si reclama. Mai dobbiamo
accettare una qualsiasi funzione legislativa, sia essa generale o locale,
poiché facendo così diminuiremmo l'efficacia della nostra azione e
tradiremmo l'avvenire della nostra causa.
La lotta contro il governo si risolve, in
ultima analisi, in lotta fisica, materiale.
Il governo fa la legge. Esso dunque deve avere
una forza materiale (esercito e polizia) per imporre la legge, poiché
altrimenti non vi ubbidirebbe che chi vuole ed essa non sarebbe più legge,
ma una semplice proposta che ciascuno è libero di accettare e di
respingere. Ed i governi questa forza l'hanno, e se ne servono per potere
con leggi fortificare il loro dominio e fare gl'interessi delle classi
privilegiate, opprimendo e sfruttando i lavoratori.
Limite all'oppressione del governo è la forza
che il popolo si mostra capace di opporgli. Vi può essere conflitto aperto
o latente, ma conflitto v'è sempre; poiché il governo non si arresta
innanzi il malcontento ed alla resistenza popolare se non quando sente il
pericolo dell'insurrezione.
Quando il popolo sottostà docilmente alla
legge, o la protesta è debole e platonica, il governo fa i comodi suoi
senza curarsi dei bisogni popolari; quando la protesta diventa viva,
insistente, minacciosa, il governo, secondo che è più o meno illuminato,
cede o reprime. Ma sempre si arriva all'insurrezione, perché se il governo
non cede, il popolo acquista fiducia in sé e pretende sempre di più, fino
a che l'incompatibilità tra la libertà e l'autorità diventa evidente e
scoppia il conflitto violento.
È necessario dunque prepararsi moralmente e
materialmente perché allo scoppio della lotta violenta la vittoria resti
al popolo.
L'insurrezione vittoriosa è il fatto più
efficace per l'emancipazione popolare, poiché il popolo, scosso il giogo,
diventi libero di darsi a quelle istituzioni che egli crede migliori, e la
distanza che passa tra la legge, sempre in ritardo, ed il grado di civiltà
a cui è arrivata la massa della popolazione, è varcata d'un salto.
L'insurrezione determina la rivoluzione, cioè il rapido attuarsi delle
forze latenti accumulate durante la precedente
evoluzione.
Tutto sta in ciò che il popolo è capace di
volere. Nelle insurrezioni passate il popolo, inconscio delle ragioni vere
dei suoi mali, ha voluto sempre molto poco, e molto poco ha
conseguito.
Che cosa vorrà nella prossima insurrezione?
Ciò dipende in parte dalla nostra propaganda e dall'energia che sapremo
spiegare.
Noi dovremmo spingere il popolo ad espropriare
i proprietari e mettere in comune la roba, ed organizzare la vita sociale
da sé stesso, mediante associazioni liberamente costituite, senza
aspettare gli ordini di nessuno e rifiutando di nominare o riconoscere
qualsiasi governo, qualsiasi corpo costituito, che sotto un nome qualunque
(costituente, dittatura, ecc.) si attribuisca, sia pure a titolo
provvisorio, il diritto di far la legge ed imporre agli altri con la forza
la propria volontà.
E se la massa dei popolo non risponderà
all'appello nostro, noi dovremo - in nome del diritto che abbiamo di esser
liberi anche se gli altri vogliono restare schiavi e per l'efficacia
dell'esempio - attuare da noi quanto più potremo delle nostre idee, e non
riconoscere il nuovo governo, e mantenere viva la resistenza, e far si che
le località dove le nostre idee saranno simpaticamente accolte si
costituiscano in comunanze anarchiche, respingano ogni ingerenza
governativa, stabiliscano libere relazioni con le altre località e
pretendano di vivere a modo loro.
Noi dovremo, soprattutto, opporci con tutti i
mezzi alla ricostituzione della polizia e dell'esercito, e profittare
dell'occasione propizia per eccitare i lavoratori delle località non
anarchiche a profittare della mancanza di forza repressiva per imporre
quelle maggiori pretese che a noi riesca indurli ad
avere.
E comunque vadano le cose continuare sempre a lottare, senza un istante di interruzione, contro i proprietari e contro i governanti avendo sempre in vista la emancipazione completa, economica, politica e morale di tutta quanta l'umanità.
5. Conclusione
Noi vogliamo dunque abolire radicalmente la
dominazione e lo sfruttamento dell'uo-mo sull'uomo, noi vogliamo che gli
uomini affratellati da una solidarietà cosciente e voluta cooperino tutti
volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la società sia
costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per
raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo
morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore,
scienza.
E per raggiungere questo scopo supremo noi
crediamo necessario che i mezzi di produzione siano a disposizione di
tutti, e che nessun uomo, o gruppo di uomini possa obbligare gli altri a
sottostare alla sua volontà né esercitare la sua influenza altrimenti che
con la forza della ragione e dell'esempio.
Dunque, espropriazione dei detentori dei suolo
e del capitale a vantaggio di tutti, abolizione del governo. Ed aspettando
che questo si possa fare: propaganda dell'ideale; organizzazione delle
forze popolari; lotta continua, pacifica o violenta secondo le
circostanze, contro il governo e contro i proprietari per conquistare
quanto più si può di libertà e di benessere per
tutti.
Errico
Malatesta (1919)