Il Comunismo Libertario e altri scritti
Concetti del Comunismo Libertario
(Solidaridad Obrera, Barcelona, 26 febbraio 1936)
DEFINIZIONE - Il Comunismo Libertario è una forma di organizzazione sociale in cui al governo degli uomini si sostituisce l'amministrazione collettiva delle cose. Questa definizione, per essere adeguatamente chiara, ha bisogno di spiegazioni. Si tratta di trovare le basi della convivenza sociale che garantiscano i diritti fondamentali degli uomini: il diritto al soddisfacimento delle sue necessità, e il diritto a disporre di se stesso: vale a dire, il diritto alla vita e il diritto alla libertà. Entrambi questi diritti sono la base del benessere, giacché non concepiamo come libero chi è affamato né soddisfatto lo schiavo. Più concretamente, il Comunismo implica, meglio della comunità dei beni, l'esistenza di una collettività che si occupi in via primaria di amministrare l'economia, di modo che restino soddisfatte le necessità di tutti i suoi componenti. E affinché questo Comunismo sia libertario non deve avere un assetto di forza o di autorità che serri come una minaccia la libertà individuale.
Sappiamo che c'è da distruggere l'organizzazione attuale, cioè lo Stato e la proprietà privata, e si deve distruggere solo quello che si riesce a sostituire vantaggiosamente.
Più importante dell'esattezza della definizione è l'elaborazione dei concetti relativi alle diverse questioni di dettaglio che la sua realizzazione pone in essere, e sui quali esiste una disparità di pareri.
Fermo restando che sarà la sperimentazione, in ultima istanza, a decidere nel modo migliore, è necessaria un'analisi e decidere anticipatamente in un determinato senso.
STRUTTURA - Concepiamo la nuova struttura come una federazione di collettività autonome. Quanto più semplici e elementari siano le collettività di base, tanto più semplici e facili da risolvere saranno i problemi, e maggiore sarà il soddisfacimento delle aspirazioni e degli interessi degli individui che le compongano.
Nonostante il fatto che la Confederación Nacional del Trabajo abbia una struttura che potrebbe servire da modello per l'intera società, non tutti accettano che il Comunismo Libertario possegga una struttura sindacale, credendo al contrario che si debba lasciare il passo a differenti forme di organizzazione. Per essenza il Sindacato è un'entità produttiva e potrebbe essere anche distributrice, ma, al suo fianco possono esistere altre forme di collettività, con interessi più ampi e un carattere meno specializzato e, pertanto, più umano. La base dell'organizzazione deve essere la collettività intera, nei piccoli nuclei rurali, composti da una maggioranza di contadini e alcuni artigiani e funzionari. Costituiranno comuni o municipi liberi. In località di entità diversa e con attività meno uniformi, saranno necessari i Sindacati, riuniti in Federazione locale, la cui organizzazione può convivere con raggruppamenti più generici come quelli di quartiere o consigli settoriali o globali della località. Lungi dall'essere incompatibili, entrambe le forme o nuclei di organizzazione collettiva - quella esclusivamente economica, e quella politica o di interesse pubblico - a mio avviso sono complementari e devono coesistere: lo esige la complessità stessa della vita moderna.
L'INDIVIDUO E LA COLLETTIVITÀ - L'istinto di socievolezza, la necessità del mutuo appoggio e il riconoscimento dei vantaggi che l'associazione comporta, sono impulsi associativi al lato del sentimento di solidarietà, per formare le collettività e per federarle fra di loro. L'anarchismo non ammette altra forma di coazione sull'individuo che la coazione morale, cioè l'isolamento e il disprezzo per chi manca di solidarietà e per il vano impenitente. Ma, sulle labbra di molti, appare poi una frase fatta che esprime una forma di coazione economica e di giustizia sociale: "Chi non lavora non mangia". Tocca al Congresso Nazionale manifestare la concezione della Confederazione circa questa forma di coazione.
FORMA DI PROPRIETÀ - Non può essere oggetto di discussione il regime di proprietà della ricchezza e degli utili della produzione, che verranno amministrati dalla collettività e messi a disposizione di chi vorrà produrre. La soppressione della proprietà privata e dell'accaparramento della ricchezza costituiscono la garanzia imprescindibile della libertà economica. Ma questa intransigenza verso la proprietà privata non può essere estremizzata fino a negarla per le cose di uso personale, né per i prodotti dell'attività personale dell'individuo. La proprietà usufruttuaria non credo che possa essere negata per i mobili, i vestiti e le cose di dettaglio il cui possesso non implica né una spoliazione né un'ingiustizia. Rispetto alla proprietà della terra - "la terra per chi la lavora" - si deve distinguere fra la terra dedicata alla produzione del necessario da quella che serve per produrre alimenti o piante rispondenti al gusto individuale, come gli orti e i giardini, o le particelle sperimentali, su cui deve rispettarsi la proprietà usufruttuaria.
MODALITÀ DEL LAVORO - Le stesse distinzioni fatte per la proprietà dobbiamo farle per il lavoro. La produzione degli articoli di prima necessità impone una certa quantità di lavoro, che sarà necessario ripartire tra i membri validi della collettività, stabilendo una giornata e perfino, in certe occasioni, un turno di lavoro. Il lavoro collettivo impone l'obbedienza a un'organizzazione di esso e ad una disciplina della produzione. Al margine di questo lavoro, controllato dalla collettività, esisterà una produzione volontaria, libera, lasciata all'iniziativa individuale.
Può servire questo lavoro volontario e su iniziativa personale per esimere dal lavoro a gestione collettiva?
PRODUZIONE DIRETTA O LIBERA? - La prima condizione per il successo di un nuovo ordine sociale, è l'abbondanza, la sovrapproduzione dei beni di prima necessità. Questo facilita la distribuzione e sopprime la causa più essenziale dello scontento.
Se la prima preoccupazione rivoluzionaria deve essere mantenere i livelli attuali di produzione, la seconda è che la si deve aumentare illimitatamente, fino a conseguire l'abbondanza più effettiva di quella che motiva la crisi del capitalismo. Si tratta di un problema tecnico, ma anche di organizzazione: di volontà e di uomini capaci.
DA CIASCUNO SECONDO LE SUE INCLINAZIONI - La prima parte di questa formula si incentra su un problema di affiatamento delle braccia impegnate nelle attività produttive, in cui non si potranno trascurare le disposizioni e le preferenze personali ci coloro che, per aver esercitato professioni parassitarie e antisociali, sarà necessario amalgamare nella nuova forma di economia.
A CIASCUNO SECONDO LE SUE NECESSITÀ - Questa formula della nuova giustizia distributiva può portare all'equità solo attraverso l'abbondanza e rendendo possibile che, come ad una fonte pubblica, ognuno prenda quello che gli serve, secondo la sua volontà; ma ci sarà da approssimarsi ad essa nella sua globalità quanto più possibile, mediante il razionamento dei prodotti che scarseggiano. È qui che ci si deve occupare del procedimento per sostituire il denaro come segno di ricchezza accumulabile. Il consumo mediante i "buoni", impiegato uniformemente nelle brevi sperimentazioni realizzate in Spagna, è una misura provvisoria ma ingannevole, e va cercata una soluzione migliore, per la quale potrebbero servire da modello i "passi" ferroviari o quelli chilometrici.
SCAMBI SENZA EQUIVALENZA - Negli scambi di prodotti tra le collettività non entrerà in gioco la misura del valore di tali beni, essendo tutti equivalenti, per quanto attiene ai prodotti necessari, qualunque sia lo sforzo da essi richiesto, e l'utilità che ne derivi.
La nozione di valore è estranea all'economia libertaria, per cui nemmeno se ne richiede la misura, rappresentata dalla moneta, la quale può ben essere chiamata "mela della discordia".
Non credo di aver esaurito tutti gli aspetti e le specificità del tema, che sarà oggetto di deliberazioni da parte di tutti i Sindacati, per arrivare dalla base verso il vertice a un accordo nell'armonia dei distinti criteri che devono manifestarsi.
Isaac Puente