Ancora sulla "responsabilità collettiva": qualche precisazione

 

Il Gruppo del XVIII° dell'Union Anarchiste Communiste Révolutionnaire

(una risposta a Malatesta, A proposito della "responsabilità collettiva")

 

L'articolo di Malatesta ci fa particolarmente piacere poiché più chiaramente che nella sua risposta a Makhno, il nostro vecchio compagno vi si rivela di fatto d'accordo con noi, per quanto riguarda il senso fondamentale che noi diamo alla responsabilità collettiva.

Quel che Malatesta critica non è l'idea ma l'espressione. Egli pensa, come noi, che l'azione dell'UACR dovrebbe svolgersi in modo "collettivo, permanente ed omogeneo". È ugualmente dell'avviso che la mancanza di omogeneità della nostra propaganda nasce dall'assenza di "un programma chiaro e preciso, compreso ed accettato da tutti i membri" dell'organizzazione, non potendo un'organizzazione seria essere una sintesi di elementi "confusi da una etichetta comune, uomini che non hanno le stesse idee e che dovrebbero aggrupparsi in organizzazioni diverse, o restare isolati se non trovano altri che la pensano come loro".

Noi sottoscriviamo senza riserva questo modo di vedere il problema. Ecco dunque posta nettamente la questione come dovrebbe essere. Siamo dell'opinione ferma che un accordo ideologico è necessario in ogni organizzazione ansiosa di propagare le proprie idee. Ed ecco perché noi non siamo tra coloro che desiderano "scartare tutto ciò che ci divide per ricercarvi ciò che ci unisce". Vediamo perfettamente quanto sia artificiale una simile formula e, quindi, "l'unità" che si potrebbe realizzarvi. Anche noi vogliamo, al contrario, che siano affrontate francamente tutte le questioni litigiose. Non dimentichiamoci che la chiarezza e la franchezza sono i primi doveri dei rivoluzionari.

Malatesta ci dà dunque ragione per quanto riguarda l'organizzazione difettosa dell'UACR. Quando egli cerca di trovare un rimedio, è ugualmente d'accordo con noi: solamente sembra temere le espressioni che usiamo.

Precisiamo dunque le nostre intenzioni al fin di evitare ogni equivoco.

Quando noi parliamo di responsabilità collettiva, non è per noi una semplice formula col valore di panacea la cui applicazione dovrebbe magicamente guarire il male di cui soffre oggi l'UACR. Non esitiamo aggiungere che allo stato attuale delle cose, sarebbe come cauterizzare una gamba di legno. Poiché visto il caos ideologico della nostra organizzazione e la sua tendenza centralista – e ci siamo sufficientemente spiegati su quest'ultimo punto perché sia inutile ritornarvi qui – parlare di applicare la responsabilità collettiva equivarrebbe in effetti al preconizzare la cieca sottomissione di tutti alla volontà di qualcuno. Sarebbe un'assurdità nella quale non cadiamo affatto. Lasciate che lo ripetiamo, ancora una volta diciamo che noi attribuiamo alla responsabilità collettiva un significato molto più ampio, essendo ben inteso che un tale principio esige l'adesione cosciente in seguito al libero dibattito; in una parola, federalismo effettivo e non più solamente teorico.

Lo stesso Malatesta ammette che tra i membri di un'associazione dovrebbero esistere accordo e solidarietà. Ebbene! È questa solidarietà tattica basata sull'accordo ideologico cosciente che noi intendiamo per responsabilità collettiva.

Il nostro compagno sa bene, peraltro, che in fondo non esiste, tra lui e noi, altro che una disputa sulle parole. Ma dal momento che si dichiara soddisfatto del nostro concetto organizzativo, perché si ostina a tassarci di improprietà di linguaggio?

Evidentemente, le diverse interpretazioni linguistiche sono spesso causa di molti malintesi. Malatesta la individua alla base delle discussioni intorno alla "Piattaforma" dei nostri compagni russi. È per questo che ci invita a parlare "come parlano tutti gli altri", in modo da farci capire chiaramente da tutti.

Saremmo tentati di rigirare il richiamo a Malatesta. È risaputo che le parole hanno più significati, che molte hanno addirittura perso il loro senso etimologico e originale per prendere quello di un'interpretazione corrente, spesso ristretto, a volte deviato, consacrato dall'uso. È quello che rende ripugnante la formula di responsabilità collettiva a Malatesta, nonostante il fatto che egli sia d'accordo con la forma pratica che ne diamo; è perché gli ricorda in modo preoccupante la disciplina imposta sotto questo nome nelle caserme. Sarà dunque necessario rinunciare ad esse, col pretesto che queste due parole hanno acquisito un senso peggiorativo, essendovi sottintesa un'idea di dominazione e di costrizione? Particolarmente quando, se andiamo in fondo alla cosa, si riconosce il fatto che è in seguito ad una vera deviazione che il termine responsabilità collettiva abbia potuto acquisire tale significato.

Infatti, quel che la Società attuale chiama responsabilità non è che un'espressione di comodo per arrogarsi il diritto di opprimere gli individui. Noi anarchici concepiamo la responsabilità su un altro livello. Noi diciamo che non è qualcosa che si impone, ma che si deve accettare volontariamente e coscientemente. Il monolitismo autoritario che assicura la coesione dei partiti dei politici, così come quella che regna in caserma, non può definirsi responsabilità collettiva. L'individuo che viene costretto da essa ad agire suo malgrado, non può essere responsabile per tale azione; potremo ancora parlare di "responsabilità" di quelle masse che, per spirito da pecora o per ignoranza, seguono ciecamente, pena l'esclusione, le direttive date loro dai capi? Evidentemente no. Per noi, tutti i militanti devono essere "responsabili", e non solo a titolo individuale, s'intende.

Malatesta ci dice: la responsabilità morale è individuale di natura; se qualcuno manca ai suoi impegni e, di conseguenza, fa fallire un'impresa, lui solo ne è responsabile e non la collettività. Noi siamo del tutto d'accordo. Ma questo ragionamento, giusto in teoria, ha delle lacune nella pratica. Infatti, ogni membro di un'organizzazione che agisce a nome di essa, impegna l'intera organizzazione. È sufficiente che egli sia mandato dall'organizzazione perché immediatamente le sue parole e le sue azioni acquisiscano una portata che sorpassa di gran lungo quella dell'individuo. L'organizzazione nella quale egli milita sarà, che lo si voglia o meno, ritenuta sempre responsabile, a meno che essa non si distanzi pubblicamente e nel suo insieme. Insomma, la responsabilità individuale e la responsabilità collettiva, lungi dall'escludersi, si intrecciano e si completano.

Non ci verrebbe mai in mente di rendere un gruppo responsabile delle colpe di un suo membro; sarebbe al contempo ridicolo ed impossibile. Piuttosto, ci sembra più utile organizzare il gruppo su delle basi che comportino il minimo di rischi di questo tipo. Per riprendere l'esempio di Malatesta, noi cerchiamo di dare alle nostre azioni il massimo delle possibilità di riuscita, evitando le defezioni o gli ostacoli, e questa condizione sarà tanto meglio soddisfatta se i partecipanti saranno perfettamente focalizzati sul fine e sui mezzi; in altre parole, se agiranno avendo piena coscienza della causa perseguita.

La questione è chiaramente complessa e riguarda sia il terreno dottrinale sia quello pratico. Potremmo cambiare espressione e parlare di "solidarietà ideologica e tattica", ma il termine ci sembra molto meno preciso rispetto a quello di "responsabilità collettiva".

Che non si abbia paura delle parole; basta spiegare chiaramente l'interpretazione che diamo ad esse, al fin di evitare la confusione, per cui, con la ragione, contro la tradizione, riprendiamoci la nostra formula. Un'azione coordinata, da parte di elementi sicuri che hanno compreso ed accettato liberamente un programma netto e preciso, ecco quello che comporta per noi il principio della responsabilità collettiva. E questa volta siamo tutti d'accordo, non è vero, compagno Malatesta?

Le Groupe du 18e

(Le Libertaire, N°.252, 19 aprile 1930)
 


Tratto da Nestor McNab (a cura di), La Piattaforma Organizzativa dei Comunisti Anarchici: origine, dibattito e significato, FdCA, Milano 2007.

Traduzione dal francese di Nestor McNab.