1977 - "...dopo Bologna"

Attacco militare alle strutture dello Stato: analisi nuove per vecchie sconfitte

 

Possiamo notare come le manifestazioni di lotta armata si verificano in momenti di pace sociale e ci controllo riformista sulla classe, attuato attraverso i bavagli o il coinvolgimento cogestionario.

Nella fase attuale, le iniziative di lotta armata partono tutte da valutazioni profondamente errate della situazione, dalla cronica incapacità di cogliere i reali rapporti di forza esistenti, e non solo, ma anche i notevoli spazi di massa tangibili che non devono essere ignorati, pena l'isolamento, e che addirittura non giustificano le fughe nella clandestinità, o la scelta della clandestinità.

Operando una enorme confusione fra soggettività o oggettività, la distruzione del movimento autonomo, ad opera del capitale, viene data per oggettiva e, di conseguenza, la socialdemocrazia repressiva viene vista trionfante e il riflusso e la sconfitta di massa vengono visti come "accerchiamento" e soffocamento contro il quale deve aprire il fuoco la piccola organizzazione che si autodelega la difesa del proletariato irrimediabilmente sconfitto. Occorre quindi preparare quadri e strutture combattenti pronti ad entrare in azione appena la lotta armata avrà spostato gli equilibri politici.

E' una logica che porta alla inevitabile riduzione dello scontro di politico, la lotta di classe diviene semplice scontro militare, scivolando nel duello privato tra lottarmatisti e apparato statale armato, o fra guerriglieri e dirigenti dell'apparato repressivo.

Non sono queste le pratiche che possono contribuire allo sviluppo del movimento della autonomia proletaria.

E' scorretto politicamente puntare all'innalzamento dei livelli di repressione quando non si contribuisce parallelamente a far crescere i livelli di organizzazione di massa, che solo possono rispondere adeguatamente alla repressione, visto che se dalla repressione non ci salvano PdUP e AO, non ci salvano nemmeno Curcio, Negri e Rosso.

E' solo la forza del movimento di massa che ha la capacità di respingere la repressione e conquistare spazi sempre maggiori di agibilità politica.

Siamo certi che i compagni che praticano la lotta armata non credono che la repressione termini con l'eliminazione fisica dei mandanti, il loro obiettivo è duplice: da una parte portare il famoso attacco al cuore dello Stato, dall'altro propagandare una linea politica che parla di smascheramento del ruolo repressivo dello Stato democratico, di rifiuto del pacifismo neoriformista, di estensione della violenza rivoluzionaria; così la pratica della lotta armata, per circolo vizioso, diviene propaganda di se stessa o di quello che deve essere.

Le azioni di guerriglia, oltre all'autodifesa, avrebbero così lo scopo di stimolare il proletariato verso iniziative di lotta armata, cosa che ci sembra marginale; e poi l'esempio e lo stimolo non può certo provenire da organizzazioni esterne al proletariato, in quanto queste si muovono su terreni di lotta estranei e letteralmente avanguardistici rispetto alla reale pratica di lotta delle masse. La visione del proletariato passivo e da guidare è propria della mitologia marxista-leninista.

Il ricorso alla lotta armata ha un senso, quindi, solo quando essa si lega ad ampi strati proletari che la fanno propria come pratica di lotta.

Essa non può venir fuori dalle teorizzazioni di gruppi di militanti incazzati. Se ciò avvenisse, ci si ritrova di fronte alla solita iniziativa avanguardistica che poco aiuta la crescita della lotta sul campo dello scontro decisivo che rimane quello dell'estrazione del plusvalore da parte del capitalismo multinazionale.

Lotta armata e organismi di massa

Ma questo non vuol dire rimandare nel tempo il problema politico-militare che, anzi, si pone sempre più urgente e sempre meno separabile dalle lotte. Rifiutiamo i parametri di legalità/illegalità così come gli atteggiamenti di calunnia e feticismo rispetto alla questione; partiamo invece da un'osservazione realistica del fatto, per cercare di fare un po' di chiarezza.

Se le azioni politico-militari hanno un senso solo quando sono ampiamente praticate dagli sfruttati, esse assumono un ruolo positivo, quindi, quando partono da dentro le lotte, dai livelli di coscienza e di organizzazione presenti all'interno di esse, e possono contribuire all'innalzamento dei livelli di scontro, restando sempre legate alla realtà delle lotte stesse.

Di fatto, oggi, le azioni politico-militari assumono un carattere difensivo nella salvaguardia di certi spazi, ed un carattere offensivo in linea di tendenza, col radicalizzarsi dello scontro e l'inasprimento della repressione. Ma il livello difensivo od offensivo non è assolutamente misurabile sul solo piano militare e sullo scontro raggiunto.

Le risposte antifasciste all'uccisione di Walter Rossi, ad esempio, non si collocano in una situazione di attacco, ma viste politicamente si collocano in una situazione difensiva rispetto alle provocazioni fasciste. Ma non è possibile d'altra parte negare tutta una caratteristica offensiva alle lotte praticate durante quest'anno, dai cortei interni nelle fabbriche alle contestazioni operaie, dalle sfilate sindacali al blocco delle università e delle Case degli Studenti, ecc.

Proprio rifacendoci a questi ultimi esempi, notiamo come l'esplosività di una lotta non va valutata dalla detonazione di un'arma o dall'uso di armi improprie.

Gli esempi precedenti dimostrano come sia nell'errore chi crede ed opera per l'estendibilità e la pratica a tutti i costi dello scontro militare in ogni situazione, non tenendo conto degli aspetti propriamente politici in relazione ai rapporti di forza, ai livelli di organizzazione e di combattività caratterizzanti ogni specifica realtà.

Di fronte all'attacco selvaggio portato verso tutti i compagni e le organizzazioni che non si sottomettono alla pace sociale ed ai sacrifici, è necessario ed urgente che i compagni abbiano l'intelligenza politica di non cadere nella trappola dell'avanguardismo militaristico e quindi di non isolarsi dai terreni di lotta ancora praticabili. Questo significa riuscire a cogliere le possibilità insite negli spazi di massa ed operare per una loro crescita in ogni situazione.

A chi potrebbe intendere questa posizione come arretramento, facciamo notare che non si tratta di rifuggire dallo scontro, ma di praticarlo a livelli che partono dalla realtà delle lotte, dai reali retroterra politici, operando per la riunificazione delle classi all'insegna della lotta di classe e non della lotta armata individuale ed isolata. Per cui rifiutiamo qualsiasi posizione e azione che opera per l'unità e l'emancipazione del proletariato, valutando la qualità delle lotte solo dal numero di pistole presenti e dei livelli di scontro militare espressi dalle lotte stesse. Non si può stabilire una linea di intervento solo sulla base dello scontro militare, occorre avere la volontà e la capacità di saldare le pratiche politico-militari alle lotte autonome che il proletariato ancora esprime ampliamente.

Solo su questo presupposto, ponendo il problema militare dentro le lotte di massa e non sopra o al di fuori, il movimento avrà la possibilità di crescere su questo piano parallelamente all'acutizzarsi dello scontro di classe.

L'insubordinazione nelle fabbriche, i blocchi stradali, le autoriduzioni, l'autogestione di servizi come le mense sociali ed universitarie, le spese politiche, ecc., proprio per le loro caratteristiche di lotte autonome e di massa, stanno a dimostrare ai capitalisti e ai riformisti che nel loro progetto di distruzione dell'autonomia proletaria avranno molto filo da torcere.


La Rivoluzione non nasce dal Partito, ma da proletariato autogestito

Indice