"LA COMUNE DI PARIGI"

Il 18 marzo

 

L'armistizio del 28 gennaio 1871 prevedeva elezioni in tutta la Francia allo scopo di "permettere al governo di difesa nazionale di convocare una assemblea liberamente eletta che si sarebbe dovuta pronunciare sulla questione se la guerra dovesse continuare o se e a quali condizioni si sarebbe potuta accettare la pace" (4)

Sotto l'egida di parole d'ordine quali "Pace e libertà" i resti del passato regime, bonapartisti, orleanisti, legittimisti, si presentarono compatti alle elezioni.

Sfruttando la scarsa politicizzazione degli abitanti delle città di provincia, l'ingenuità e l'ignoranza dei contadini che nel '71 costituivano ancora la stragrande maggioranza del corpo elettorale, l'avvilimento per la bruciante sconfitta comune a tutti i francesi, agitando le ormai collaudate parole d'ordine contro "il pericolo rosso", approfittando della mancanza di un'organizzazione politica anche genericamente di sinistra, presentandosi insomma come i salvatori della patria, proprietari terrieri, nobili più o meno decaduti, agrari, finanzieri, affaristi, industriali, videro nelle elezioni l'occasione così a lungo sospirata di farsi avanti per gestire in prima persona il potere.

Le elezioni, sulla cui regolarità (in senso legale) è meglio non soffermarsi, videro dunque il trionfo degli ultra reazionari che mandarono al governo 400 monarchici e 275 "liberali", repubblicani "moderati" e simili.

A Parigi nel frattempo, il C.C.R. presentava insieme all'AIL e alle Camere federali delle società operaie i propri candidati, espressione di un programma che doveva:

"Smentire chiunque voglia mettere in discussione la repubblica. Affermare la necessità dell'ingresso sulla scena politica dei lavoratori. La caduta dell'oligarchia governativa e del feudalesimo industriale; l'organizzazione di una repubblica che, restituendo agli operai i propri strumenti di lavoro, come accadde nel '92, restituisca la terra ai contadini e realizzi la libertà politica mediante l'eguaglianza sociale".

Saranno circa 60.000 i parigini che voteranno per i socialisti rivoluzionari, a testimonianza di un isolamento che, anche se non totale come in passato, delega la coscienza politica a una frazione relativamente piccola del proletariato.

Ciononostante i deputati parigini saranno, anche se in maggioranza repubblicani borghesi (Hugo, Blanc, ecc.), troppo democratici rispetto al corpo elettorale dell'Assemblea Nazionale per non dimostrare come la capitale sia ben decisa a consolidare le conquiste democratiche e a continuare nella lotta contro i prussiani.

La frattura inconciliabile esistente tra la capitale e il potere esecutivo era dunque già evidente, non a caso Thiers, il capo del potere esecutivo, figura ridicola, se non fosse tragica, di uomo politico, lascerà nelle sue memorie questa frase illuminante:

"Quando fui incaricato degli affari interni mi trovai immediatamente di fronte alla duplice preoccupazione di concludere la pace e sottomettere Parigi".

La pace sarà conclusa in fretta e sarà una pace che costringerà il popolo francese a pagare 5 miliardi di franchi al vincitore e gli cederà due province e un milione e mezzo di persone alla Germania.

L'Assemblea, il cui mandato sarebbe teoricamente scaduto, è ora libera di rivolgere la sua attenzione a Parigi che, secondo un deputato, è ormai "il capoluogo della rivolta organizzata e la capitale dell'idea rivoluzionaria".

Si decide così di strangolare una città già duramente provata dalle vicende della guerra. Nessuna agevolazione viene concessa ai commercianti stremati dal lungo assedio, né tanto meno il governo interviene per riaprire quella miriade di piccola e industrie, officine e imprese artigianali chiuse precedentemente.

Anzi, il 15 febbraio, le guardie nazionali vengono private del loro stipendio con la scusa delle ristrettezze economiche in cui versa il paese, e il 10 marzo viene annullata la legge che fin dall'assedio aveva sospeso ai parigini il pagamento dell'affitto.

Naturalmente proletari e piccolo-borghesi, in larga misura disoccupati e privati precedentemente del soldo di guardia nazionale che spesso era l'unica entrata di tutta una famiglia, sono impossibilitati a pagare affitti arretrati e interessi semplici e composti e, di fronte a questo ennesimo ricatto, che coinvolge in un'unica lotta ceti operai e piccola borghesia, riprendono la battaglia.

Alla testa di tutta una serie di dimostrazioni che nella settimana immediatamente precedente l'insurrezione caratterizzarono la vita parigina si pone la Guardia Nazionale, la cui importanza politica è andata sempre più crescendo.

Di composizione ormai spiccatamente proletaria, visto il vero e proprio esodo (calcolabile in 60.000) di larga parte della borghesia della città, bene armata e organizzata (i negoziati di pace esclusero, temendo un'insurrezione, la consegna delle armi da parte della Guardia Nazionale), con una struttura organizzativa sufficientemente delineata, basata sulle assemblee di battaglione e di compagnia e sull'esistenza di un Comitato Centrale Esecutivo (CCE), la Guardia Nazionale è destinata a diventare rapidamente la forza motrice e il fulcro su cui si appoggerà l'insurrezione ormai imminente.

Una prima dimostrazione di capacità organizzativa il Comitato Centrale la darà isolando completamente il quartiere dei Champs Elysées occupato per alcuni giorni dai prussiani, con barricate e cordoni di truppa e respingendo con una dimostrazione di indubbia maturità politica le provocazioni di vario tipo miranti a sollevare la popolazione indignata contro i tedeschi e a far abortire in un mare di sangue (data l'indubbia superiorità militare prussiana) l'insurrezione.

Successivamente si terranno nuove elezioni nella Guardia Nazionale e il 15 marzo 215 battaglioni nominarono i loro rappresentanti al C.C.E. La composizione politica sarà delle più varie oscillando tra repubblicani democratici, blanquisti, internazionalisti, ma in un momento in cui la reazione sta attaccando duramente, basta un'unica parola d'ordine a unire tendenze così diverse: la "repubblica democratica e sociale".

L'attacco che Thiers e i suoi compari dell'Assemblea Nazionale conducono contro Parigi si concretizza da un lato, come abbiamo già visto, in un deciso attacco alle condizioni di vita dei Parigini, dall'altro in una ben orchestrata campagna allarmistica che dai primi di marzo inizia a dipingere la capitale come una città ormai in preda al fuoco e al saccheggio dei rossi.

L'obbiettivo, del resto dichiarato, è quello di gettare la città nel disordine, arrestare i membri del C.C.E. che giorno dopo giorno viene investito di maggiori responsabilità ed ormai costituisce di fatto il potere legislativo ed esecutivo, e spingere la città a una insurrezione programmata per potere così distruggere e radere al suolo una volta per tutte quei "focolai di sovversione" rappresentati dagli arrondissements più proletari.

La provocazione diviene sempre più scoperta e le truppe regolari in diverse occasioni cercano di sequestrare i cannoni e le mitragliatrici delle Guardie Nazionali.

I tentativi falliscono di fronte alla decisa opposizione delle stesse guardie e della popolazione in generale che ha pagato di tasca propria quelle armi; si rende necessaria così un'azione più decisa e la notte tra il 17 e il 18 marzo l'esercito occupa in forze le posizioni strategiche della città movendo alla conquista dei depositi di armi.

Ma già di prima mattina la popolazione dei quartieri occupati dai versaglieli (5) scende compatta nelle strade e, donne e bambini in testa, blocca le truppe impedendo così all'esercito di trascinare via i cannoni requisiti. E, a testimonianza dell'effettivo isolamento in cui l'Assemblea Nazionale si trovava, ben presto quasi tutti i reparti dell'esercito regolare cedono, senza combattere, le armi alle formazioni della Guardia Nazionale e passano in massa dalla parte degli insorti.

Una vera battaglia effettivamente non ci fu, furono scambiati solo pochi colpi d'arma da fuoco qua e là a scopo dimostrativo, e, nel giro di ventiquattr'ore, l'insurrezione poteva dirsi conclusa: Guardie Nazionali, popolazione e truppe regolari avevano fraternizzato, e i resti di quei reparti mandati alla conquista di Parigi si erano precipitosamente ritirati abbandonando tutto il materiale bellico nella città, così aveva fatto il governo e coloro che avevano da temere eventuali vendette da parte dei proletari.

Tutte le posizioni strategiche (forti, caserme, ecc.) erano state occupate dalle Guardie Nazionali, così pure la prefettura, i ministeri e l'Hotel de Ville da cui, quella sera del 18 marzo, venne ammainato il tricolore e issata la bandiera rossa.

Di fatto in questa storica giornata si assistette alla completa convergenza di interessi tra sottoproletari, classe operaia e ceti piccolo borghesi, come artigiani, commercianti, ecc. E' questa la ragione che permette una così facile vittoria degli insorti, senza quei corollari della rivolta costituiti da barricate, scontri a fuoco, violenze ecc., e che vede l'azione nascere spontaneamente dalle masse prive in quel momento di capi o di parole d'ordine catalizzanti.

In effetti il fuoco della rivolta che così a lungo aveva covato sotto le ceneri esplose in una fiammata improvvisa che colse tutti impreparati; lo stesso Comitato Centrale della Guardia Nazionale non aveva previsto gli avvenimenti né credeva matura la situazione per una sollevazione generale (e non dimentichiamo che in questo Comitato Centrale erano presenti i migliori quadri politici che la classe operaia parigina aveva espresso in quel momento), e riuscì a prendere in mano la situazione solo il giorno dopo.

In conclusione, un moto spontaneo e generalizzato causato da molteplici effetti (la sconfitta militare, l'occupazione prussiana, la sempre più diffusa politicizzazione della classe operaia, la disoccupazione e la miseria imperanti tra tutti gli strati della popolazione) che confluiscono tutti nel creare le condizioni per la distruzione del vecchio concetto dello Stato e per la presa del potere, per la prima volta in maniera definitiva, da parte del proletariato.

Con l'occupazione dell'Hotel de Ville il Comitato Centrale diventa il punto di riferimento dell'insurrezione e si trova ad occupare tutti i centri di potere della città.

Quest'insieme di proletari e di piccolo borghesi rappresentanti praticamente tutte le tendenze radicali e socialiste presenti a quell'epoca e legati fino ad allora dalla lotta comune contro i rurali di Thiers, si trova ad affrontare una serie di problemi vitali senza un programma comune e senza una effettiva omogeneità d'intenti.

Come in passato l'aspirazione alla repubblica sociale universale trovava tutti d'accordo,adesso che questa repubblica sociale si può attuare le discrepanze di fondo cominciano a manifestarsi in maniera drammatica.

Nel tentativo di sottrarsi a questa enorme responsabilità e nella prevalenza dei radicali borghesi sui delegati socialisti si può interpretare la decisione, immediatamente successiva al 18 marzo, di indire elezioni politiche generali per la costituzione di un governo espressione di tutti i parigini.

Le elezioni vengono fissate per il 28 marzo e nel frattempo, se pur con un carattere di provvisorietà, il Comitato Centrale inizia a sovrintendere la vita pubblica della città.
L'azione del C.C. può essere, in questo periodo, suddivisa in due matrici di natura praticamente opposta:

L'aspetto più appariscente di tale mancanza fu l'incapacità di assumere l'iniziativa militare nei confronti dell'Assemblea Nazionale distante pochi chilometri da Parigi, priva di truppe e in presa alla più grande confusione.

Similmente nella città, si permise la libera circolazione di coloro che, fino a ieri, più ferocemente si erano scagliati contro le rivendicazioni proletarie, non si chiusero le vie d'accesso alla capitale, né si rispose in maniera dura alle manifestazioni reazionarie che il 23 e il 24 marzo la nobiltà parigina tenne contro il nuovo governo.

Inoltre non vennero espropriati i grandi proprietari, né si occupò la Banca di Francia, e in complesso non si attuò una reale politica sociale.

In definitiva tra il 19 e il 26 marzo, giorno delle elezioni, il Comitato Centrale si limitò a difendere ciò che aveva già ottenuto, cioè il controllo della città, senza cercare di estendere la propria influenza sulle province con un'azione militare che in quel particolare momento sarebbe stata relativamente facile.

Del resto, la paura di un intervento armato prussiano (6) e lo stato ancora approssimativo dell'organizzazione interna della città, possono spiegare in parte l'esitazione e i tentennamenti dei componenti il Comitato Centrale, né si può dimenticare l'insufficiente preparazione ideologica comune a quasi tutti e che portò il C.C., in una sua parte, a ritenere ancora possibile, parecchi giorni dopo il 18, un accordo con Thiers.

Le elezioni si svolsero il 26 in un'atmosfera di grande tranquillità e videro la nomina di novanta consiglieri che dovevano dal vita al "Consiglio Comunale di Parigi" e, per brevità, alla Comune che fu proclamata davanti a 200.000 parigini il 28 marzo.

Di questi novanta consiglieri, però, circa una quindicina non parteciparono mai alle sedute del Consiglio in quanto essendo borghesi ricchi, liberi professionisti, ecc., eletti nei quartieri alti della città, non si riconoscevano (ovviamente) nelle tendenze espresse dallo stesso e quindi avevano dato le dimissioni.

E' opportuno, a questo punto, analizzare brevemente la composizione e le tendenze all'interno di questo nucleo di militanti che il popolo parigino aveva eletto a sua rappresentanza, per ritrovare, seppure in forma larvata, i motivi e le cause che avrebbero portato la Comune verso la sua tragica fine.

E' interessante osservare che i 2/3 dei membri della Comune provenivano dalla piccola borghesia essendo "impiegati, medici, maestri di scuola, uomini di legge, pubblicisti" (7), ma ancor più significativo è il fatto che l'altro terzo dei membri fosse costituito da operai.

E' la prima volta che la rappresentanza operaia, seppur in un governo rivoluzionario, assume in un governo liberamente eletto un carattere di massa e si pone non al traino dei vari intellettual-borghesi, certamente più istruiti, ma alla testa degli stessi stimolandone l'operato e radicalizzando continuamente la politica sociale del governo stesso.

Sarebbe però eccessivamente superficiale configurare gli scontri interni al Consiglio secondo uno schema che vede una maggioranza piccolo-borghese legalitaria e moderata contrapporsi a una minoranza operaia omogenea.

Certamente, a influenzare le decisioni e le scelte dei membri del Consiglio fu spesso l'origine di classe, ma occorre anche tener conto delle ideologie che in quegli anni predominavano in Francia per delineare in maniera sufficientemente precisa la natura e le tendenze del Consiglio della Comune.

La frazione più numerosa (circa trenta delegati) è costituita dai cosiddetti radicali o "rivoluzionari indipendenti". Sono tutti piccolo borghesi che in buona fede credono nella "repubblica sociale democratica" come panacea di tutti i mali.

Incapaci quasi sempre di giungere a un corretto rapporto tra teoria e prassi, costituiscono senz'altro l'ala più moderata del Consiglio.

Politicamente e socialmente simili a questi abbiamo i "giacobini". Il nome dice già abbastanza riguardo a questa piccola frazione composta da uomini della generazione del '48 ma legati in maniera indissolubile all'esperienza del 1793 e che di questa rivoluzione vorrebbero ricalcare esattamente le orme con quali risultati è facile immaginare.

Infine per quel che riguarda i blanquisti (dieci - dodici membri) che con i radicali e i giacobini costituivano la maggioranza del Consiglio, pensiamo che il giudizio stringato di Engels sia sufficiente a definirli: "...Cresciuti alla scuola della cospirazione, legati alla rigida disciplina che le è propria, essi partivano dall'idea che un numero relativamente piccolo di uomini risoluti e ben organizzati fosse in grado, venuto il momento, non soltanto di impadronirsi del potere, ma anche di mantenerlo, dispiegando una grande energia ed audacia, abbastanza a lungo, fino a trascinare la massa del proletariato nella rivoluziona e a raccoglierlo intorno al piccolo e compatto nucleo dirigente..." (8).

Elementi così eterogenei hanno però denominatori comuni: il primo, come abbiamo già visto, è l'origine di classe che li porta, logicamente ad assumere nei riguardi del proletariato il "classico atteggiamento dell'intellettuale generoso e paternalista" (9), cioè, il calarsi nel proletariato continuando però a restarne oggettivamente al di fuori.

L'altro fattore comune alla maggioranza è il gusto folcloristico nel riesumare tutta una serie di particolarità della rivoluzione del '93 e di pretendere di riportarle di pari di passo nella vita politica della Comune.

Assisteremo così alla creazione (completamente inutile) di un "Comitato di salute pubblica", all'adozione del calendario rivoluzionario, alla creazione di testate identiche a quelle del '93 (La père Duchene).

Riguardo a questa tendenza, sintomatico sarà l'intervento che un membro della minoranza fece durante una seduta del Consiglio rimproverando alla maggioranza "di non abbandonare la Costituzione del '93 neanche per andare a letto" e aggiungendo "Come potete non vedere la differenza che esiste tra i borghesi che nel '93 fecero la rivoluzione e noi, ora, socialisti rivoluzionari".

L'altra frazione componente il Consiglio della Comune non si può facilmente raggruppare sotto un'unica etichetta. 

In realtà la matrice comune ai 25-30 membri della minoranza fu solo l'appartenenza alla classe operaia.

Tra di loro ben si rispecchiava il rapporto di forze esistente in quell'epoca nella sezione francese dell'Internazionale: una maggioranza proudhoniana, ma che con Proudhon non aveva ormai più molto a che fare, un forte nucleo di collettivisti, parte di ispirazione bakuniniana e parte no, alcuni marxisti.

Comunque le sfumature tra una posizione e l'altra erano innumerevoli pur restando tutti ancorati ad alcune discriminanti comuni: il dare priorità ai problemi sociali rispetto a quelli politici e il considerare lo scontro in atto come un'effettiva guerra di classe, accettando perciò la definizione comune di "socialisti rivoluzionari".

In conclusione, è indubbio che la minoranza seppe, col peso di una classe operaia estremamente combattiva, influenzare spesso in maniera determinante le decisioni della Comune, ma è altrettanto veri che l'effettiva direzione era in mano ai radicali che spesso riversavano nella conduzione degli affari pubblici il peso delle proprie paure, incertezze e soprattutto della grande confusione che avevano riguardo al fenomeno storico che stavano vivendo.

 

(4) "Journal Officiel", 29 gennaio
(5) Vennero chiamati così i sostenitori dell'Assemblea Nazionale a causa dello spostamento, ordinato da Thiers, della sede del governo da Parigi a Versailles.
(6) I prussiani circondavano tutto il lato nord-est della città
(7) Lyssagaray, "Storia della Comune"
(8) Introduzione a "La guerra civile in Francia" di K. Marx all'edizione tedesca del 1891, di F. Engels
(9) "La Comune del '71", E. Tersen - J. Dautry


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