"Energia
Territorio
Ristrutturazione"
Le implicazioni di classe della crisi energetica
Per comprendere le implicazioni di classe che il superamento della crisi energetica comporta, occorre una breve riflessione storica.
Tornando un momento indietro nel tempo, all'Italia del 1956, si vede che il cosiddetto boom economico si è basato essenzialmente su 3 fattori: basso costo della forza lavoro, delle materie prime e dell'energia.
In quegli anni infatti il prezzo della benzina super scese da 152 a 106 lire al litro mentre il prezzo delle automobili rimaneva costante e lievemente decrescente. Gli elettrodomestici diminuirono di due o tre volte.
Questa tendenza fu possibile dalla concomitanza di prezzi nominali costanti per le risorse energetiche e le materie prime, di una forza lavoro a baso costo ed a elevata mobilità; inoltre uno scambio ineguale con i paesi fornitori di materie prime e di energia ad estrazione elevata di plusvalore, fornirono le basi materiali per la formazione di uno strato sociale medio con un reddito sufficiente a far crescere la domanda di beni di consumo durevoli.
La rapina ai paesi terzi impediva a questi di formarsi le basi per un proprio modello di sviluppo e per un decollo economico, mentre lo spreco di risorse energetiche poneva i presupposti per un loro rincaro.
All'interno dei paesi industrializzati, con la crescita della base produttiva, con la creazione di grosse concentrazioni operaie e con l'allontanamento dello spettro della disoccupazione cresceva di pari passo la combattività della forza operaia che mediante processi rivendicativi metteva in discussione sia il basso costo che la mobilità della forza lavoro.
Con la stretta energetica iniziata nel '73, si rendeva attuale il rincaro delle risorse energetiche, che assommato al cresciuto costo del lavoro e delle materie prime, metteva in crisi il sistema.
La linea seguita da i paesi industrializzati e in particolare dagli USA, fu quella di eliminare le grosse concentrazioni operaie in modo da recuperare il controllo sulla distribuzione della forza lavoro. Ciò è avvenuto in modo diverso a seconda dei periodi storici e secondo le varie situazioni; l'arma del petrolio a basso costo è servita anche a mettere in crisi il mercato del carbone, riducendo così l'entità e la capacità contrattuale di uno dei settori più combattivi della classe operaia: i minatori.
Invece, nel caso italiano si è avuta una situazione per cui si è decentrato l'attività produttiva dalle grandi imprese alle piccole imprese satelliti, al lavoro a domicilio e a lavoro nero, proprio per mettere in crisi le grosse concentrazioni operaie e nello stesso tempo, recuperare certi margini di profitto.
Le previsioni di sviluppo che ci prospettano i padroni, governanti e multinazionali presuppongono un'espansione della produzione e dei consumi privati; inoltre come per esempio il PEN, tendono ad esaltare la tendenza verso attività produttive ad alta intensità di capitale per operaio addetto: una centrale da 1000 MW costa all'incirca 800/1000 miliardi, il metanodotto Algeria/Sicilia anch'esso intorno ai 1000 miliardi, un impianto per l'arricchimento dell'uranio poco meno di 1000 miliardi: un enorme drenaggio di capitali, modesti riflessi sull'occupazione.
Con il più grosso finanziamento del dopoguerra, che prevede una spesa dai 15000 ai 20000 miliardi di lire, si congelano i ¾ del reddito nazionale, per cui tutti gli altri settori produttivi, come per esempio l'agricoltura, non solo non subiranno alcun beneficio, ma non potranno che disporre di limitati finanziamenti, così come i servizi sociali: ospedali, asili, case popolari, trasporti, ecc.
Inoltre con l'accettazione del PEN, i partiti di sinistra hanno rinunciato ad uno dei loro programmi principali, quello appunto dei finanziamenti agli Enti Locali, ai servizi sociali, alle imprese pubbliche, questo perché non si sarebbero avuti fondi sufficienti per un risanamento e conseguente rilancio di queste.
L'agricoltura, altro settore colpito in modo rilevante anche dalla crisi energetica: basata com'è sull'uso estensivo dei prodotti chimici e su una meccanizzazione funzionale al sistema, l'aumento dei costi di energia e dei materiali incorporati nei prodotti derivati dal settore industriale, rende ancora più difficile una situazione già precaria. Per questo, quindi, un'espansione significativa del settore agricolo appare impensabile, potranno essere ricercati e adottati solo sistemi di gestione che garantiranno il minor danno possibile.
Con il decentramento delle attività produttive verso aree periferiche del mondo, il capitale recupererà in parte i margini di profitto, il proprio sviluppo, grazie al basso costo della forza lavoro; infatti essendo saltati gli altri due presupposti per l'espansione, cioè basi costi dell'energia e delle materie prime, l'unica soluzione è quella di decentrare sempre di più per recuperare coi bassi salari quanto non si è più in grado di conservare altrimenti.
La ristrutturazione produttiva come principale dimostrazione di implicazioni di classe