"Lettura di Bakunin"

Le classi ed il loro antagonismo

 

I revisionisti quando non hanno altri argomenti da sfoderare contro le tesi dell’anarchismo rivoluzionario, amano recitare un passo di Bakunin che sembra prestarsi a facili fraintendimenti.

Si tratta di un passo della nota lettera inviata alla redazione del giornale “La Libertà” di Bruxelles nell’ottobre 1872.

In quel periodo Bakunin era troppo preso dalla polemica contro le correnti autoritarie nella I Internazionale e quindi tendeva, per amor di tesi, a differenziare ogni sua posizione dalla linea del Consiglio Generale di Londra, anche su questioni formali e terminologiche.

Ebbene in questo passo Bakunin critica “la rappresentazione del proletariato, del mondo dei lavoratori, come classe, non come massa” definendola “una espressione profondamente antipatica”, ma subito dopo precisa, esaurientemente, che l’espressione “classe” gli torna antipatica in primo luogo perché sulla bocca dei comunisti autoritari essa comprende soltanto il proletariato industriale ed esclude il proletariato delle campagne, i contadini, ed in secondo luogo perché favorisce la tendenza alla conquista del potere politico da parte di questa “classe” o meglio da parte di questa aristocrazia operaia non solo contro il proletariato delle campagne ma anche contro lo stesso proletariato delle città.

E’ evidente che in questo passo Bakunin respinge – come noi tutti oggi respingiamo - una tale forma di “classismo” che si risolverebbe inevitabilmente o in una cooptazione delle aristocrazie da parte della vecchia classe dominante oppure in una nuova dittatura del “quarto stato” sul “quinto stato” della grandi masse popolari proletarizzate.

Ma respingendo questo concetto monopolista ed esclusivista del “classismo” e ribadendo al tempo stesso la nozione di proletariato, Bakunin non indebolisce ma rafforza ed allarga alla base il concetto di classe includendovi tanto le masse operaie della città quanto le masse contadine della campagna.

I revisionisti che pensano oggi di poter trovare nel pensiero di Bakunin qualche pezza di appoggio per le loro malcerte posizioni (ma noi ci rifiutiamo di credere che il termine “masse” risulti loro meno ostico di quello di “classe”) non possono che rilevare con simili espedienti, ancora una volta la loro grottesca superficialità.

Perché tutta l’opera di Bakunin è un atto di fede nell’esistenza delle classi, nel loro irriducibile antagonismo e nella loro finale dissoluzione: una dissoluzione da consumarsi proprio sulla base dell’annientamento di uno dei termini di quell’antagonismo.

Anzi si può dire che lo stesso passaggio di Bakunin dal radicalismo democratico al socialismo anarchico è determinato da un’energica affermazione del concetto di “classe” contro i languori dell’umanitarismo interclassista.

Ecco che cosa grida Bakunin al Congresso di Berna della Lega della Pace e della Libertà (1868) in faccia ai rappresentanti della democrazia progressiva europea, ancora incerti fra le due vie: la via vecchia del liberalismo, la via nuova del socialismo.

Dacchè esiste una storia, il mondo umano è stato diviso in classi: l’immensa maggioranza, incatenata ad un lavoro più o meno meccanico, brutale e forzato ... poi dall’altro lato c’è la minoranza più o meno felice, istruita, sfruttatrice, dominante, governante...” (2)

I suoi ascoltatori sono gente confusa, miope, fissa agli immortali principi di Libertà, Fratellanza, Uguaglianza, magari in buona fede, ma incapace di capire questa realtà di classi contrapposte, incapace di capire perché, e come, potrà essere superata questa contraddizione.

E Bakunin, sfidando il loro ingenuo fanatismo, indica nei lavoratori gli artefici di una civiltà nuova, i fondamenti di un mondo nuovo:

In una parola essi (gli operai) non vogliono che il mondo sia diviso, come lo è stato fin qui, in due classi, di cui una sfruttatrice e dominante, l’altra sempre sfruttata e suddita”. (2)

L’uditorio di Berna scuote la testa, non capisce, non vuol capire; si limita a bisbigliare delle “amenità”. Bakunin la rompe allora con la Lega della Pace e della Libertà. Ed a Madame Leo che nel marzo 1869 gli scrive una lettera sdolcinata, invocando la tolleranza per le correnti della democrazia radicale che in fondo sono anch’esse animate da sentimenti di giustizia, di umanità, di progresso, ecc., ed implorando la concordia fra tutte le classi sociali alla ricerca della verità e dell’interesse comune (“L’incoscienza esiste in tutte le classi come in tutte le classi le menti elette aspirano al bene, riconoscono l’uguaglianza e cercano i messi per stabilirla” (1): quanti fra i nostri resistenzialisti non possono vantare titoli di parentela in linea diretta con M.me Leo?), Bakunin risponde seccamente con due postille stigmatizzando il conciliatorismo di M.me Leo e di altri amici tra cui Elia Reclus e rinunciando volentieri alla loro collaborazione (l’esperienza della Comune poi convincerà i “conciliatori” dei loro errori e li riporterà nelle file dell’Internazionale):

“Queste due lettere sono ispirata dal medesimo spirito di conciliazione di fronte a questa brava classe borghese che ci divora tranquillamente tutti i giorni, come se ciò fosse la cosa più naturale e più legittima del mondo, e dal medesimo senso di protesta contro la tendenza del nostro giornale che ha levato la bandiera della franca politica del proletariato e che non vuol consentire ad alcuna transazione” (1)

Tre anni dopo Bakunin parla sempre in Svizzera ma questa volta ha un auditorio ben diverso: ha gli operai della valle di St. Imier. E di fronte a loro sviluppa il concetto che la missione del proletariato trascende i limiti della parziale liberazione di una sola classe, per porsi implicitamente e positivamente come liberazione di tutta l’umanità:

“Voi lavorate oggi per l’umanità. La classe operaia è divenuta oggi l’unica rappresentante della grande, della santa causa dell’Umanità. L’avvenire appartiene ai lavoratori dei campi, ai lavoratori delle fabbriche e delle città. Tutte le classi che sono al di sopra, gli eterni sfruttatori del lavoro delle masse popolari, la nobiltà, il clero, la borghesia e tutta quella pleiade di funzionari militari e civili che rappresentano l’iniquità e la malefica potenza dello Stato, sono delle classi corrotte, incapaci ormai di comprendere e di volere il bene e potenti solo per il male.” (1)

Ma l’umanità è una prospettiva storica; la prospettiva politica è un’altra, quella della lotta fra due gruppi sociali antagonisti.

E queste due prospettive non possono confondersi, interrompersi ed infrangersi l’una contro l’altra. Nella “Circolare ai miei amici d’Italia”, Bakunin distingue appunto questi due momenti della rivoluzione, sia pure strettamente connessi: l’azione della classe e l’affermazione della società nuova.

“Noi invece diciamo agli operai: la giustizia della vostra causa è certa; soltanto la canaglia può negarla; ciò che vi manca è l’ordinamento della vostra forza: ordinatela, e dopo rovesciate tutto ciò che si oppone alla attuazione della vostra giustizia. Cominciate dall’abbattere e gettar per terra tutti coloro che vi opprimono.

Poi, dopo esservi assicurati della vittoria e dopo aver distrutto quello che formava la forza dei vostri nemici, cedendo ad un sentimento di umanità, rialzate quei poveri diavoli abbattuti ed ormai inoffensivi e disarmati, riconosceteli per vostri fratelli ed invitateli a vivere e lavorare con voi e come voi sul terreno di già assicurato dell’uguaglianza”. (1)

Del resto tutta la polemica con Mazzini si sviluppa su questo tema delle classi. Nella citata “Circolare ai miei amici d’Italia”, Bakunin esamina concretamente e dettagliatamente la composizione delle classi nel nostro paese, individuando quattro gruppi omogenei (la alta, la media, la piccola borghesia ed il clero) e due gruppi subalterni (gli operai ed i contadini).

 Egli riconosce degli indiscussi meriti alla borghesia italiana in riferimento all’epoca del suo splendore, ma non esita a dichiararne l’avvenuto decesso storico:

Ecco appunto che in Italia, come dovunque, la parte viva della nazione, il popolo dell’avvenire è il proletariato delle città e delle campagne. Tutto il resto è moribondo o già morto, rinsecchito e putrefatto.” (1)

Ed ancora contro Mazzini, Bakunin ritiene una follia quella di voler redimere e convertire la borghesia (1). Così nella polemica contro gli “addormentatori” di Ginevra, alla domanda di quale parte potesse avere la borghesia nella questione sociale, Bakunin risponde che la borghesia

se realmente desidera rendere un estremo servizio all’umanità, se è sincero il suo amore per la libertà vera, universale, completa, uguale per tutti, se essa in una parola vuol cessare di essere la reazione, non le resta che una cosa da fare: morire con grazia ed al più presto possibile”.

E subito soggiunge che non si tratta della morte fisica dei borghesi come individui, ma della fine della borghesia come

“corpo politico e sociale, economicamente distinto dalla classe operaia”. (1)

“La borghesia, come corpo politico e sociale, dopo aver reso eminenti servigi alla moderna civiltà, è oggi per fatalità storica condannata a morire. E’ l’unico servizio che essa possa rendere all’umanità, dopo avergliene resi tanti con la sua esistenza.
Ma non ne vuol sapere di morire; ecco l’unica causa dell’attuale sua imbecillità e di quella vergognosa impotenza che caratterizza ormai ogni sua impresa politica, nazionale o internazionale.” (1)

Le citazioni potrebbero continuare a lungo, svolgendosi tutto il pensiero di Bakunin attorno al drammatico conflitto fra borghesia e proletariato e prendendo in esso il suo posto di battaglia. Ecco cosa scrive Bakunin nella lettera ad Esquires:

“Io sono socialista, perché sono giunto a questa convinzione: che tutte le classi che hanno costituito per così dire i grandi protagonisti attivi e vivi della tragedia storica, sono morti. La nobiltà è morta; la borghesia è morta e disfatta. Essa lo prova fin troppo in questo momento. Che resta? Restano i contadini e gli operai delle città.” (1)

E nella “Protesta dell’Alleanza” ripete:

Non restano oggi che due realtà: il partito del passato e della reazione, comprendente tutte le classi possidenti e privilegiate e raccolto oggi con maggiore o minore franchezza sotto lo stendardo della dittatura militare e dell’autorità dello Stato; e il partito dell’avvenire e della completa emancipazione umana, quello del socialismo rivoluzionario, il partito del proletariato.” (1)

Lo scopo del partito del proletariato, precisa Bakunin in un articolo apparso sul giornale “L’Egalité” di Ginevra, è la distruzione della borghesia come classe separata.

Si capisce che prefiggendosi un simile scopo, e proponendo un simile mezzo, l’Associazione (Internazionale dei Lavoratori) ha dichiarato guerra aperta alla borghesia.

Nessuna conciliazione è più possibile fra la borghesia ed il proletariato: questo vuole l’eguaglianza, quella non sussiste che per l’ineguaglianza. Per la borghesia intesa come classe separata, l’uguaglianza significa la morte, per il proletariato la minima disuguaglianza significa la schiavitù.

Il proletariato è stanco di essere schiavo e naturalmente la borghesia non vuole morire. Guerra inconciliabile, dunque bisogna essere pazzi o traditori per predicare alle classi operaie la conciliazione.” (1)

Esistenza delle classi, loro crescente antagonismo, inconciliabilità di questo antagonismo: ecco le tre incrollabili basi del pensiero bakuniniano sulle classi.

E questi principi non sono per Bakunin secondari, tali da consentire reticenze o divergenze; essi rappresentano invece le condizioni per aderire o meno all’Internazionale.

Questa Associazione, secondo Bakunin, non può avere un rigido orientamento programmatico, ma almeno sulle pregiudiziali di classe sopra enunciate l’accordo deve essere completo fra tutti gli aderenti, senza possibilità di dubbio e di transazione.

All’operaio che chiede di entrare nell’Internazionale, Bakunin fra l’altro domanda:

Hai compreso che fra proletariato e borghesia esiste un antagonismo irriducibile, in quanto è una conseguenza necessaria della loro posizione rispettiva? Che la prosperità della classe borghese è incompatibile con il benessere e la libertà dei lavoratori, perché le eccessive prosperità sono basate soltanto sullo sfruttamento del lavoro e che appunto per questo la prosperità e la dignità umana delle masse operaie esigono assolutamente l’abolizione della borghesia come classe separata? Che la guerra fra il proletariato e la borghesia è conseguentemente fatale e può finire soltanto con la distruzione di quest’ultima?” (1)

Di fronte ad una documentazione così schiacciante i revisionisti tengono ancora in mano ed agitano una inutile carta. Essi scoprono che sono molti i borghesi che vengono al movimento rivoluzionario, che lo stesso Bakunin era un nobile passato dall’opposta parte della barricata e che quindi tutta la teoria delle classi si dissolve alla luce di questa loro scoperta.

A parte il fatto che non significa nulla che dei borghesi passino a movimenti politici rivoluzionari a carattere anti-borghese (come ad esempio il giovane Bakunin), a parte il fatto che non ha senso classificare come borghesi uomini che nacquero “borghesi” ma che nel corso di tutta la loro esistenza vissero da lavoratori tra lavoratori, noi possiamo provare quanto Bakunin diffidasse delle adesioni e delle simpatie borghesi per l’Internazionale.

Egli scrive dei borghesi:

Bisogna tenerli lontano dall’Internazionale. Bisogna tenerli molto lontano, poiché vi entrerebbero soltanto per demoralizzarla e per distoglierla dalla propria via.

Vi è d’altronde un segno infallibile con il quale gli operai possono riconoscere se un borghese che chiede di essere ammesso fra loro è sincero nella sua richiesta, cioè se viene fra loro senza ombra di ipocrisia, senza secondo fine. Questo segno sono i rapporti che questi avrà conservato col mondo borghese.” (1)

In genere per Bakunin i borghesi sono gente incurabile, irredimibile. Egli da buon materialista pensa che

è possibile convertire soltanto chi sente il bisogno di essere convertito, chi ha già nel proprio istinto o nella propria interiore ed esteriore miseria la necessità di tutto ciò che gli volete dare.” (1);

tuttavia egli non vuole chiudere ermeticamente la porta dell’Internazionale a coloro che, pur appartenendo od avendo appartenuto alla classe borghese, disertano questa classe e si portano sul fronte dei lavoratori.

Bakunin indaga i vari moventi di questi passaggi. Ecco un movente economico:

... la media e la piccola borghesia, classe un tempo colta ed agiata, ma oggi soffocata, annientata e respinta nel proletariato dall’invadenza progressiva della feudalità finanziaria…è una classe condannata dalla propria storia e fisiologicamente spossata. Quale forza potrebbe salvarla, non come classe separata, ma come aggregato di individui?

La risposta è semplice: spinta verso il proletariato dalla forza delle cose, la media, e soprattutto la piccola borghesia dovrebbe entrarvi liberamente, spontaneamente,” (1)

Ed ecco un secondo movente che potremmo definire “intellettuale” che offre una quantità numericamente inferiore di casi, che però costituisce un fenomeno interessante:

Un piccolo gruppo di uomini..., benché nati e vissuti nella classe borghese, appena ha capito che questa rispettabile classe aveva cessato di esistere, e che non aveva più ragion d’essere, e che non sarebbe potuto continuare a vivere se non a detrimento della giustizia e dell’umanità, le ha voltato la schiena e si è posto risolutamente al servizio della grande causa dell’emancipazione dei lavoratori oggi sfruttati e dominati da quella stessa borghesia”. (1)

Infine un terzo movente d’ordine “morale”, che presenta un numero minimo di casi, vere, anche se nobili, anomalie sociali:

Un borghese che, ispirato da una grande passione di giustizia, di eguaglianza, di umanità, voglia seriamente lavorare all’emancipazione del proletariato, deve prima di tutto rompere tutti i legami politici e sociali, tutti i rapporti d’interesse come d’intelletto, di vanità e di sentimento con la borghesia. Egli deve comprendere dapprima che non è possibile alcuna riconciliazione fra il proletariato e questa classe che, vivendo solo dell’altrui sfruttamento, è la naturale nemica dei proletari. Dopo aver definitivamente voltato le spalle al mondo borghese, venga pure ad allinearsi sotto le bandiere dei lavoratori... Egli sarà il benvenuto.” (1)

Di fronte a queste affermazioni di principio, i revisionisti di oggi non trovano di meglio che di processare Bakunin per incitamento all’odio di classe e magari per illeciti rapporti col marxismo.

Può costituire una grossa sorpresa per i revisionisti sapere, ad esempio, che Bakunin criticava Marx non già –come poteva sembrare dall’arbitraria utilizzazione del passo citato all’inizio di questo capitolo- perché Marx riponesse eccessiva fiducia nel dato della classe, ma perché almeno i suoi seguaci troppo debolmente vi poggiavano il loro edificio teorico e la loro azione pratica. Infatti Bakunin scrive in un frammento di polemica:

Mazzini, per le ragioni che ho esposto, non voleva affatto, è vero, l’antagonismo di una classe contro l’altra. Ma Marx vuole sinceramente questo antagonismo che rende impossibile ogni partecipazione delle masse all’azione politica dello Stato? Poiché questa azione al di fuori della borghesia non è in alcun modo praticabile; se essa non è possibile che sviluppandosi di concerto con una frazione qualsiasi di questa classe e lasciandosi dirigere dai borghesi”. (1)

E infine a dirimere l’antagonismo di classe non vale, neppure per Bakunin, l’argomento, allora di primo uso ed oggi logoratissimo, sull’esistenza e l’importanza dei ceti medi. Ecco cosa scrive a questo proposito:

Inutilmente ci si sforzerebbe di consolarsi con l’idea che è un antagonismo più fittizio che reale, oppure che è impossibile stabilire una linea di separazione tra le classi spossessate, contendendosi l’una con l’altra per una quantità di gradazioni intermedie ed impercettibili. Anche nel mondo della natura non esistono queste linee di separazione... Così pure nella società umana, malgrado le posizioni intermedie che formano una transazione da una condizione politica e sociale ad un’altra, la differenza delle classi è tuttavia molto marcata…Tutte queste differenti condizioni politiche si possono oggi ridurre a due principali categorie, diametralmente opposte fra di loro e nemiche naturali l’una dell’altra: le classi privilegiate, composte da tutti i proprietari sia della terra che del capitale, oppure soltanto di educazione borghese; e le classi operaie, diseredate sia dal capitale che dalla terra e prive d’ogni educazione e d’ogni istruzione. Bisognerebbe essere un sofista od un cieco per negare l’esistenza dell’abisso che oggi separa queste due classi.” (1)

Eliminato appunto anche questo sofisma non resta a Bakunin, e quindi a noi che lo seguiamo, che esaminare la struttura delle due classi contrapposte.


Struttura della classe egemone

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