Parte I
Problemi generali della rivoluzione
Rivoluzione soluzione di tutti i sogni

 

I - L'UTCL e il suo progetto di società
II - La rivoluzione nella concezione materialista/dialettica della storia
III - La Rivoluzione

 

I - L'UTCL e il suo progetto di società

Fra tutte le questioni che l'UTCL dovrà affrontare durante il suo 3° Congresso, la prima è senza dubbio quella della natura stessa, del perché e del percome, del progetti rivoluzionario di cui essa intende dotarsi.

Perché un progetto rivoluzionario?

Per concretizzare ciò che abbiamo sempre affermato: la necessità di proporre uno stacco politico alla base. La necessità di proporre al capitalismo, al riformismo, al leninismo, una alternativa credibile.

Se è vero che il possedere un progetto non significa niente se questo non è esteso da una pratica di massa nelle imprese e sui diversi fronti della lotta di classe, è anche vero che una tale pratica non vuol dire niente se essa stessa non è legata alla difesa di un progetto rivoluzionario.

Il primo ruolo del progetto rivoluzionario è di dare una unità, una coerenza di insieme alla nostra linea politica. E' giusto dire: induciamo, unifichiamo, autogestiamo le nostre lotte (quando lo diciamo) verso lo sciopero generale: bisogna anche poter dire lo sciopero generale verso che?

Tutto questo non è nuovo, queste tesi sono state chiaramente esplicitate nei testi del I Congresso, apparentemente dimenticate: "per noi il programma comunista libertario deve basarsi su un'analisi economica, politica, sociale della società capitalista e consistere nella elaborazione di un progetto rivoluzionario costruttivo che si preoccupi di precisare gli scopi, le attribuzioni e i modi di funzionamento dell'organizzazione economica, amministrativa, sociale e giuridica possibile per il periodo di messa in atto di un socialismo libertario. A partire da questo programma, una serie di proposizioni d'azione rispondenti ai problemi immediati delle lotte e delle forme di organizzazione oggi praticabili e che si situano nella prospettiva del socialismo libertario devono essere esplicitate". (tome 3-p.I^)

Sottolineeremo che, in questo testo, il programma d'azione è definito a partire dal progetto rivoluzionario. Quest'ultimo non ha dunque, come pensano alcuni, uno statuto marginale in seno all'insieme del nostro programma. Non si tratta di un nuovo capitolo da aggiungere ai precedenti in modo più o meno sussidiario. Come afferma molto giustamente Abraham nel B.I. n° 21 "un'organizzazione rivoluzionaria è prima di tutto un progetto di una società alternativa".

Questo non vuol dire che l'UTCL deve portare avanti un intervento unicamente e neanche principalmente ideologico.

Questo vuol dire che l'UTCL deve essere una organizzazione rivoluzionaria nel pieno senso del termine. Cos'è una organizzazione rivoluzionaria? E' una organizzazione che si pone la rivoluzione come fine, una organizzazione in cui tutte le forze sono mobilitate verso questo fine unico, una organizzazione dove tutte le azioni sono pensate in funzione di questo fine unico.

Questo vuol dire che l'UTCL deve cercare continuamente di trovare un legame tra la pratica quotidiana ed il progetto. Come ha detto chi sapete, bisogna proseguire su due binari. Difendere unicamente un progetto senza intervenire sul territorio conduce ad una pratica gruppuscolare iperdogmatica. Ma sviluppare una pratica, per quanto positivo possa essere, senza diffondere un progetto è nella migliore delle ipotesi, fare del sindacalismo di sinistra.

L'UTCL in questo momento è zoppicante, ciò spiega perché vacilli al più piccolo ostacolo.
Tutto questo non vuol dire che il fatto di possedere un bel programma rivoluzionario possa risolvere tutti i nostri problemi. Non è questo che in particolare permetterà di emendare un programma d'azione diventato non più valido con l'evoluzione della situazione.

Ma l'UTCL non può continuare a vivere tralasciando una parte essenziale del suo programma e del suo intervento. Per la nostra pratica quotidiana è necessario avere un progetto. E' anche necessario per affermare la nostra specificità e per (ri)trovare la nostra unità. Il secondo ruolo del progetto rivoluzionario è quello di affermare la nostra specificità. L'elaborazione di questo progetto e la sua difesa rispetto a tutti i lavoratori deve permetterci di affermare molto più chiaramente di adesso la nostra specificità. Alcune nostre proposte e la nostra pratica per l'auto-organizzazione, la democrazia operaia e sindacale, ecc…, ci distinguiamo già oggi, ma insufficientemente, e solamente il legame fra queste proposte per la lotta di oggi con quelle per una società differente domani, ci può permettere di affermarci finalmente come una corrente originale del movimento operaio.

Quanti sono quelli che, all'esterno, sanno cosa significa il CL della nostra sigla? 

Possiamo sperare, soprattutto nell'attuale periodo, di vedere i militanti aderire ad una organizzazione che non sa dove andare? Ancora una volta ciò non vuol dire che l'UTCL di svilupperà su di una base unicamente ideologica. Essa di svilupperà su di un tutto dove l'ideologia e la pratica avranno ognuna il loro ruolo.

Infine l'elaborazione del progetto rivoluzionario è una delle necessità affinché l'UTCL si rinforzi. Come diceva Sapriste nel B.I. n°21: "affinché l'organizzazione progredisca politicamente e praticamente, deve essere condotta dall'insieme dei militanti. Questo necessita di una volontà di agire ed avanzare insieme. Ora, a mio avviso questa volontà collettiva non può esistere in assenza di un progetto comune chiaramente formulato. Le persone si assemblano in una stessa organizzazione perché vogliono la stessa cosa. Sarebbe tempo di definire un po' più chiaramente quello che vogliamo. L'unità dell'organizzazione non può farsi unicamente su di un programma d'azione a breve termine. Non può avvenire che su di un progetto comune a tutti".

Nell'organizzazione ci sono dei compagni che pensano che discutere sul progetto rivoluzionario non sia urgente e che abbiamo di meglio da fare. A coloro che giustificano questa posizione dicendo che abbiamo delle posizioni appena sufficienti per l'intervento attuale è particolarmente indirizzato questo testo:spero che l'estensione e l'importanza delle cose che solleva sarà sufficiente a farli ritornare sulle loro posizioni. A quelli che pensano, senza dirlo, che questo dibattito non è all'ordine del giorno poiché anche la rivoluzione non è all'ordine del giorno, risponderei che se, personalmente, arrivassi ad una tale conclusione, lascerei immediatamente l'UTCL (ed ogni altra organizzazione rivoluzionaria). Militare in una organizzazione rivoluzionaria senza "credere" nella rivoluzione è semplicemente assurdo. (le virgolette sono qui per ricordare che il "credere" non rinvia ad una credenza mistico religiosa, ma ad una analisi della società contemporanea - materialismo dialettico storico).

Il progetto rivoluzionario è dunque una necessità assoluta ed urgente. Ma quale deve essere il suo contenuto e la sua forma?

Ciò che necessita, ciò che è nostro compito non principale ma unico è convincere i lavoratori dell'idea della rivoluzione. Per fare questo il nostro progetto deve rispondere a due imperativi: deve essere credibile ed attrattivo.

Credibile poiché i principali argomenti che sono sempre stati opposti alle idee libertarie hanno sempre conservato il loro preteso carattere utopista, irrealista ed idealista. 

Questa considerazione impone al nostro progetto una certa forma: deve essere concreto e dettagliato.

A questo punto, certe questioni non possono essere eluse: si sa che certe correnti hanno, per ragioni differenti, rifiutato da sempre l'elaborazione di un progetto di società al di là di ogni grande principio generale.

Non bisogna confidare nella creatività spontanea delle masse?

Non si rischia di cadere nella piega dell'utopismo (nel senso peggiorativo del termine)? 

La prima questione ci riporta in effetti al dibattito che ha sempre travagliato il movimento libertario sulla questione del programma (di cui il progetto rivoluzionario non è che una parte). L'UTCL l'ha già tagliata.

La seconda questione pone chiaramente la questione del grado di precisione del progetto rivoluzionario: bisogna fare della fantapolitica? Abbiamo già trovato più limiti al partito rivoluzionario. In particolare è evidente che quest'ultimo non saprebbe prevedere tutto, né presentare un carattere fisso e definitivo. Non si tratta di un catalogo di ricette, il metodo da seguire scrupolosamente per giungere senza sbagliare alla terra promessa del comunismo. Non fa che esplorare il campo delle possibilità che si aprono oggi giorno alla rivoluzione.

Attrattivo: per riprendere una questione già usata: il progetto rivoluzionario deve invitare alla rivoluzione.

Questo pone delle implicazioni sulla sua forma: non dobbiamo produrre un documento iperteorico riservato agli intellettuali di sinistra, ma un testo dinamico e "attraente" che si possa diffondere dappertutto. Non sarà facile, poiché i problemi teorici esistono e non possono essere ignorati. Ma un progetto attrattivo non significa compiacente, che cerchi di piacere a tutti eludendo le difficoltà e le incognite. Dobbiamo al contrario affermarvi le nostre scelte ed evitare ogni dubbio.

Un progetto attrattivo è semplicemente una risposta alle questioni che si pongono oggi giorno quelli che lo leggono e che propone delle risposte coerenti e credibili.

Ma per rispondere alle questioni che si pongono i lavoratori e gli altri, bisogna prima conoscerle.

L'elaborazione di un progetto rivoluzionario non può limitarsi alla sola discussione sulla società socialista da costruire e dei mezzi per arrivarci, ma deve anche cominciare ad esaminare la società capitalista esistente, le sue contraddizioni, i suoi rapporti di classe, ecc.

Nelle nostre società industriali "avanzate", quali sono le possibilità reali di veder apparire un progetto rivoluzionario?

Quali sono le contraddizioni che, in seno al modo di produzione capitalista moderno, giocano in favore di questo processo?

E' fondamentale rispondere a queste questioni. Talmente fondamentale che possiamo chiederci come una organizzazione possa vivere senza farlo (a meno che essa possa vivere perché tenta di non farlo? - non diciamo questo per l'UTCL).

In particolare, la risposta a questa questione determina grandemente la nostra pratica. Mettere in evidenza quali sono le contraddizioni del sistema che possono condurre alla sua rovina, significa mettere in evidenza le contraddizioni sulle quali i rivoluzionari devono pensare, debbono appoggiasi per difendere il loro progetto.

 

II - La rivoluzione nella concezione materialista/dialettica della storia

L'UTCL deve dotarsi di una vera teoria della rivoluzione e per far ciò deve applicare rigorosamente i principi del suo metodo di analisi il Materialismo Dialettico Storico.

Il Materialismo Dialettico Storico è una concezione della storia radicalmente differente tanto dall'idealismo che dal meccanicismo.

1°) Non sono le idee astratte o gli interventi indipendenti dalla volontà degli uomini che fanno la storia. Sono gli uomini.

2°) Le azioni, le idee, la volontà degli uomini hanno le loro radici nelle condizioni economiche e materiali in cui vivono gli uomini: "la lotta delle classi è il motore della storia".

3°) Il rapporto fra le idee degli uomini e la loro condizione materiale di esistenza è dialettico, vale a dire che

  1. essi si influenzano reciprocamente
  2. le idee hanno una propria dinamica, con la spinta delle contraddizioni alle idee stesse
  3. le idee non sono determinate meccanicamente dalle condizioni materiali.

L'economismo: questa problematica classica è una deformazione che sottovaluta l'aspetto dialettico. I fattori materiali ed economici non determinano più "in ultima istanza"; determinano le idee meccanicamente e automaticamente e in permanenza. Un certo "fatalismo" rivoluzionario è la conseguenza dell'economismo. Lo sviluppo delle contraddizioni della società capitalista conduce automaticamente al socialismo! (senza che la presa di coscienza dei lavoratori entri in gioco).

"I comunisti libertari affermano dunque che la storia è la storia della lotta di classe, e che questa lotta oppone oggi due classi fondamentali, la borghesia (privata o di stato) e il proletariato (operai e impiegati); che il capitalismo sviluppando il proletariato su scala mondiale e concentrando progressivamente i mezzi di produzione, crea le condizioni della sua propria distruzione; e che è il proletariato e lui solo che può operare questa distruzione e costruire una società senza classi e senza stato". (dal 1° Congresso UTCL)

Questo lungo elenco di posizioni ci è parso utile poiché vi è esplicitamente o implicitamente presente l'essenza della questione che intendiamo affrontare.

Il pericolo meccanicista ed economista

Due principi essenziali devono condurre la nostra azione ed anche la nostra riflessione:

Questi due principi segnano il rifiuto di una interpretazione meccanicista ed economista del materialismo dialettico storico e di ogni ragionamento in termini di ineluttabilità o di impossibilità del socialismo.

Poiché questo pericolo esiste, molti marxisti hanno prima o poi ceduto a tali interpretazioni. All'origine di queste "deviazioni", c'è un testo dello stesso Marx: "Nella produzione sociale della loro esistenza gli uomini entrano in rapporti determinati, indipendenti dalla loro volontà, rapporti di produzione che corrispondono ad un grado di sviluppo determinato dalle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, la base concreta sulla quale si eleva una super struttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate di coscienza sociale, Il metodo di produzione della vita materiale condiziona il processo di vita sociale, politica ed intellettuale nel suo insieme. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere sociale, è al contrario il loro essere sociale che determina la loro coscienza. Ad un certo stadio del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, o, ciò che non ne è che l'espressione giuridica, con i rapporti di proprietà in seno ai quali si erano trovate fino ad allora. Dalle forme di sviluppo delle forze produttive che erano questi rapporti di produzione ne divengono degli impedimenti. Allora si apre un'epoca di rivoluzione sociale. Una formazione sociale non sparisce mai prima che si siano sviluppate tutte le forze produttive che essa è assai grande per contenere". (prefazione del contributo alla Critica dell'Economia Politica).

Non polemizzeremo sulla collocazione di questo testo nell'opera di Marx (si tratta sì o no della definizione completa del materialismo dialettico storico secondo Marx?).

Ciò che è sicuro, è la sua importanza per l'ulteriore sviluppo delle idee marxiste al quale è servita da base quasi unica. Questo testo contiene diverse idee chiave sulle quali anche noi dobbiamo pronunciarci, poiché ci rivendichiamo del materialismo dialettico storico. Il 3° Congresso non può evitare questi dibattiti, poiché affrontano ogni concezione della storia, della rivoluzione e del passaggio al socialismo e poi al comunismo.

La prima questione ci sembra essere quella dialettica tra i rapporti di produzione e le forme produttive: "rapporti di produzione che corrispondono ad un grado di sviluppo determinato delle forze produttive materiali". "Ad un certo stadio del loro sviluppo le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti. Si apre allora un periodo di rivoluzione sociale". "Una formazione sociale non sparisce mai prima che siano sviluppate tutte le forze produttive che può contenere".

C'è l'impressione di un ritorno meccanico ineluttabile della storia che conduce infallibilmente al socialismo attraverso il gioco delle forze materiali l'azione delle quali sembra totalmente indipendente da ogni intervento umano: sarà lo sviluppo delle forze produttive che farà spontaneamente scoppiare gli antichi rapporti di produzione. Nello stesso tempo, tesi simmetrica è naturale che uno sviluppo insufficiente delle forze produttive renda impossibile di ogni passaggio al socialismo.

L'implicazione più estrema di questo tipo di ragionamento la troviamo nella "legge di corrispondenza" tra forze produttive e rapporti di produzione ("rapporti di produzione che corrispondono ad un grado di sviluppo determinato dalle forze produttive") che pone la conformità dei rapporti di produzione con le esigenze nate dallo sviluppo delle forze produttive come una necessità oggettiva.

In effetti poiché le forze produttive non possono continuare a svilupparsi fintanto che non sono distrutti gli antichi rapporti di produzione, questi non possono restare "indietro" per troppo tempo.

Marx ha giustificato questo postulato in una frase che alcuni giudicano "disgraziata": "il mulino a braccia vi darà la società con il padrone; il mulino a vapore la società con il capitalista industriale" (cfr. Miseria della filosofia). E che cosa "darà" la società socialista?

Ai Siqiu, filosofo cinese contemporaneo, dà un esempio significativo di questo tipo di "materialismo meccanicista": "L'apparizione inevitabile di certi rapporti di produzione risulta dallo sviluppo delle forze produttive (...). Intanto che le forze produttive non avranno raggiunto un certo livello di sviluppo, non possono sorgere dei rapporti di produzione che gli corrispondano. Le forze produttive determinano i rapporti di produzione, e questi ultimi devono essere conformi allo stato di sviluppo delle forze produttive. (...) Nel corso della storia, le forze produttive una volta raggiunto un certo stadio di sviluppo hanno sempre richiesto dei rapporti di produzione corrispondenti".

Le forze produttive sono dunque il motore della storia. Ma come agiscono concretamente? E' qui che può operarsi un ritorno alla lotta di classe: in ogni epoca l'esigenza dello sviluppo delle forze produttive si incarnerebbe in una classe sociale, la quale per soddisfare questa esigenza si farebbe carico del rovesciamento dei rapporti di produzione esistenti. Questa classe è la classe rivoluzionaria dell'epoca considerata.

E' chiaro da dove viene questo schema: è quello della rivoluzione borghese classica (tipo 1789). La questione è questa: possiamo usare questo schema in caso di rivoluzione socialista? Il "ruolo storico" del proletariato è simile a quello della borghesia: sviluppare le forze produttive? Evidentemente si giustifica così una concezione produttivistica del socialismo.
In ogni modo la questione fondamentale, quella alla quale dobbiamo sempre far riferimento resta: come il proletariato prende coscienza del suo "ruolo storico"; come la contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione provoca una presa di coscienza rivoluzionaria in seno al proletariato?

Proletarizzazione e pauperizzazione sono le due mammelle della rivoluzione

Per Marx la contraddizione fra lo sviluppo delle forze produttive e i rapporti di produzione si esprime con l'apparizione di crisi cicliche, con il mantenimento di un'armata industriale di riserva, ecc. Nello stesso tempo "la borghesia scava la sua propria fossa" sviluppando il proletariato e relegandolo nella miseria. Il metodo della produzione capitalistica produce da solo le condizioni della sua propria sparizione. Questa dinamica storica è espressa nel Manifesto:"Ad un certo punto di evoluzione i rapporti feudali di proprietà cesseranno di corrispondere al grado di sviluppo già raggiunto dalle forze produttive. Intralciavano la produzione anziché stimolarla. Si trasformarono in tante catene. Bisognava rompere queste catene, le si ruppero. Furono rimpiazzate dalla libera concorrenza, con una appropriata costituzione sociale e politica, con la supremazia economica e politica della classe borghese.

Ora si assiste ad un analogo processo. I rapporti di produzione e di scambio, di proprietà, la società borghese moderna, che ha fatto sorgere così potenti mezzi di produzione e di scambio, somiglia allo stregone che non riesce più a dominare le potenze infernali che ha evocato. Da decine di anni, la storia dell'industria e del commercio non è altro che la rivolta delle forze produttive contro i moderni rapporti di produzione, contro i rapporti di proprietà che condizionano l'esistenza della borghesia e la sua dominazione. E' sufficiente menzionare le crisi commerciali che, con il loro periodico ritorno, rimettono in discussione e minacciano sempre più l'esistenza della società borghese. Queste crisi distruggono regolarmente non solo una grande parte dei prodotti fabbricati, ma anche forze produttive già create. E perché? Perché la società possiede troppa civilizzazione, troppi mezzi di sussistenza, troppo commercio. Le forze produttive di cui dispone non favoriscono più lo sviluppo della civilizzazione borghese e i rapporti borghesi di proprietà; al contrario sono diventate troppo potenti per le forme che le ostacolano. Come può la borghesia risolvere questa crisi? Da un lato imponendo la distruzione di massa delle forze produttive, dall'altro conquistando nuovi mercati e sfruttando più a fondo quelli vecchi. In che modo? Preparando delle crisi più generali e potenti ed riducendo i mezzi per prevenirle.

Le armi di cui si è servita la borghesia per abbattere la feudalità si rivolgono ora contro la stessa borghesia. Ma la borghesia non ha soltanto forgiato le armi che la metteranno a morte: essa ha prodotto anche gli uomini che impugneranno queste armi, gli operai moderni, i proletari.

Lo sviluppo del macchinismo e la divisione del lavoro, facendo perdere ogni carattere di autonomia all'operaio, gli hanno fatto perdere ogni interesse. L'operaio diventa un semplice accessorio della macchina, dal quale non si esige che l'operazione più semplice, più monotona, la più velocemente appresa. Conseguentemente le spese che comporta un operaio si riducono quasi esclusivamente al costo dei messi di sussistenza necessari al suo impiego ed alla riproduzione della sua specie. Ora il prezzo di un prodotto e dunque il prezzo del lavoro è uguale al suo costo di produzione. Dunque, più il lavoro diventa ripugnante più i salari ribassano. Ora con lo sviluppo dell'industria, il proletariato non fa che accrescersi di numero; è concentrato in più grandi masse; la sua forza aumenta e prende meglio coscienza. Gli interessi, le condizioni di esistenza in seno al proletariato, si uguagliano sempre di più, a misura che la macchina cancella ogni differenza nel lavoro e riduce quasi dappertutto il salario ad un livello ugualmente basso.

"(...) Fra tutte le classe che adesso si oppongono alla borghesia, solo il proletariato è classe veramente rivoluzionaria. Le altre classi spariscono e vanno in rovina con la grande industria; il proletariato al contrario ne è il più autentico prodotto. (...) I proletari non hanno niente da salvaguardare che gli appartenga (...) Tutte le anteriori società, l'abbiamo visto, sono fondate sull'antagonismo fra classi oppressive e classi oppresse. Ma per opprimere una classe, bisogna poterle assicurare condizioni di esistenza che le permettano almeno di vivere nella servitudine (...) L'operaio moderno al contrario, lungi da elevarsi con il progresso dell'industria, decade sempre di più al di sotto delle stesse condizioni di vita della sua classe. L'operaio diventa un povero e il pauperismo si accresce ancora più rapidamente della popolazione e della ricchezza. Ne consegue dunque chiaramente che la borghesia è incapace di restare ancora classe dirigente. (...) Il salariato riposa esclusivamente sulla concorrenza degli operai fra di loro. Il progresso dell'industria, di cui la borghesia è l'agente senza propria volontà e senza resistenza, sostituisce all'isolamento degli operai risultante dalla loro concorrenza, la loro unione rivoluzionaria attraverso l'associazione. Così lo sviluppo della grande industria scava sotto i piedi della borghesia la base stessa sulla quale essa ha stabilito il suo sistema di produzione e di appropriazione. La borghesia produce prima di tutto i suoi propri becchini. La sua caduta e la vittoria del proletariato sono ugualmente inevitabili".

Proletarizzazione e pauperizzazione sono dunque per Marx, le due tendenze storiche del metodo di produzione capitalista che fondano la speranza, e in questo testo anche la certezza, della caduta della borghesia. Bisogna dunque interrogarsi sulla realtà di queste due tendenze.

Proletarizzazione o deproletarizzazione della società?

Le tesi della deproletarizzazione della società, sostenute da numerosi intellettuali, ci appare indifendibile dallo stretto punto di vista empirico: il proletariato non è mai stato così numeroso nei paesi industrializzati. Se si intende per proletariato (per seguire le categorie dell'INSSE che solo può fornirci delle serie statistiche complete benché molto criticabili) gli operai, gli impiegati e i salariati agricoli, questi rappresenterebbero nell'ultimo censimento il 55% della popolazione attiva totale (operai: 35%, impiegati 17,7%, salariati agricoli 1,7%). Questo è insieme poco e tanto. Poco, poiché questo dimostra chiaramente che il proletariato non può sperare di condurre in porto la rivoluzione e il passaggio al socialismo da solo; ritorneremo su questa questione. Molto, in rapporto a quello che poteva essere il peso del proletariato quando Marx scriveva. Poiché, in effetti, il proletariato è in continuo aumento. La tesi della proletarizzazione della società è stata ed è sempre largamente verificata, anche per il periodo più recente: proletariato nel '54: 49% della popolazione attiva, nel '62: 52%, nel '75: 55%. Il movimento di proletarizzazione ha dunque luogo. Avviene alle spese degli agricoltori: 20,7% nel '54... 7,6% nel '75; degli artigiani: 4% nel '54... 2,5% nel '75; dei piccoli commercianti: 6,5% nel '54... 4,2% nel '75. Nello stesso tempo la concentrazione geografica del proletariato si è accentuata (grandi unità di produzione, urbanizzazione), anche se si osservano oggi delle nuove strategie padronali in questo campo (scorporo delle imprese, piccola taglia delle nuove unità). Si tratta, per contro, di un dominio dove le "predizioni" di Marx sembrano essere battute in breccia: quello del livellamento della classe operaia ("gli interessi, le condizioni di esistenza in seno al proletariato si uguagliano sempre di più"). Sembra, al contrario, che mentre il proletariato va crescendo di numero, si diversificherebbe, eterogeneizzandosi. Il proletariato non appare più oggigiorno come un'entità palpabile fatta di migliaia di uomini e di donne uniti in una sorte assolutamente uguale, ma come una costellazione di situazioni (e in primo luogo di situazioni di lavoro) differenti. Questa eterogeneizzazione del proletariato nuoce alla sua capacità d'azione in quanto classe? O, per riprendere un'espressione forte, ciò che unisce le differenti frazioni del proletariato non è forse più forte di ciò che le separa?

Pauperizzazione

Se la tendenza alla proletarizzazione sembra ben verificata, succede diversamente per quella della pauperizzazione. Bisogna riconoscere che il capitalismo si è rivelato capace di assicurare, per il suo equilibrio sociale, ma anche economico, l'aumento del livello di vita del proletariato eccettuati i periodi di crisi. In più, ha rivelato delle capacità di integrazione delle rivendicazioni operaie insospettate dal tempo di Marx (ancorché quest'ultimo abbia constatato "l'imborghesimento" della classe operaia inglese). Si tratta di un fatto importante nella storia della nostra società, col quale devono fare i conti i rivoluzionari. Quali sono le ripercussioni di questa situazione sulla possibile evoluzione della coscienza di classe e sulle possibilità della rivoluzione? Il proletariato ha perduto ogni potenzialità rivoluzionaria , è integrato o, al contrario, le contraddizioni delle classi si sono evolute, si sono spostate verso un livello più alto?

La tendenza alla pauperizzazione ha giocato un ruolo essenziale nel marxismo; possiamo dire che è su di essa che si è fondata per lungo tempo, la speranza di una rottura rivoluzionaria, e non solamente presso i marxisti "meccanicisti". Così Pannekoek: "una volta arrivato al suo sviluppo supremo, il capitalismo conosce delle crisi economiche sempre più forti, mentre l'imperialismo esige delle spese militari enormi e provoca delle guerre mondiali, i lavoratori sono destinati alla miseria e allo sterminio". Si rileverà qui l'utilizzazione del termine "supremo" riferito "all'imperialismo, stadio supremo del capitalismo" di Lenin, che bisogna certo intendere come stadio ULTIMO, rimandando direttamente all'affermazione dell'ineluttabilità del socialismo. Non è più possibile oggigiorno applicare meccanicamente delle analisi elaborate, in alcuni casi, più di un secolo fa. E' ormai dimostrato che l'aumento del livello di vita del proletariato non è incompatibile col funzionamento del sistema capitalista (alcuni direbbero che gli è necessario). Questo fatto è carico di conseguenze per il movimento rivoluzionario: rimette in causa tutta la concezione marxista tradizionale dello sviluppo della lotta di classe. Ma le sue applicazioni, le conclusioni che si possono tirare, differiscono fortemente secondo la concezione che si ha, giustamente, della lotta di classe e, in particolare, della coscienza di classe. Concezione che forma il cuore di ogni teoria della rivoluzione.

Coscienza di classe e rivoluzione

La rivoluzione non sarà il risultato di un processo meccanico programmato in precedenza, ma di una attività cosciente delle masse. Questa attività cosciente ha ancora delle possibilità di sviluppo nelle nostre società moderne? E prima di tutto cosa si deve intendere per coscienza? E' soltanto alla luce di queste questioni che può essere precisato il contenuto di principi come "gli uomini fanno la storia" o "la storia è la storia della lotta di classe", in fondo assai fluidi e che possono prestarsi a molteplici interpretazioni. Ancora Pannekoek ci dice: "ma queste contraddizioni non provocano, in modo meccanico, una tale rivoluzione. Questa non può prodursi che nella misura in cui queste contraddizioni sono sentite dagli uomini come delle intollerabili costrizioni. Tutti i rapporti di produzione sono dei rapporti umani; tutto ciò che avviene nella società è dovuto all'intervento degli uomini"; ma aggiunge che "non si tratta di azioni obbedienti ad un disegno globale, a una volontà chiara, ogni uomo non vede che la sua situazione (...) Lo sviluppo sociale è il prodotto di tutte queste azioni, di tutte queste volontà individuali. E' perché queste azioni assembleranno in loro un risultato che, comparato a quello delle azioni individuali prese separatamente, ha figura di potenza extra-umana. Questo risultato globale sorge in effetti come una forza naturale, inflessibile, inesorabile. La società assomiglia ad un organismo senza testa, priva di pensiero collettivo, e nel quale in assenza di riflessione cosciente, tutto è sottomesso a leggi cieche (...) Sono le azioni che gli uomini intraprendono necessariamente, in modo istintivo, per soddisfare i loro interessi, che hanno per risultato globale il rovesciamento del metodo di produzione" (cfr. Le divergenze tattiche in seno al movimento operaio). L'azione rivoluzionaria del proletariato sarà dunque un'azione istintiva e incosciente?

Il problema della coscienza di classe è una delle questioni centrali se non la questione centrale della rivoluzione comunista libertaria. In effetti è su di essa che avviene la rottura con il socialismo autoritario ed è a partire da essa che si sviluppano tutte le altre divergenze. Sappiamo che per Lenin "la storia di ogni paese dimostra che, con le sue sole forze, la classe operaia non può che arrivare alla coscienza trade-unionista, vale a dire alla convinzione che bisogna unirsi in sindacati, battersi contro i padroni, reclamare dal governo quelle leggi necessarie agli operai. Quanto alla dottrina socialista, questa è nata dalle teorie filosofiche, storiche, economiche, elaborate dai rappresentanti istruiti delle classi possidenti, dagli intellettuali ed essa sorge in maniera del tutto indipendente dalla crescente spontaneità del movimento operaio, come risultato naturale e ineluttabile dello sviluppo del pensiero presso gli intellettuali rivoluzionari socialisti" (cfr. Che fare?). Per Lenin, il socialismo è prima di tutto una dottrina scientifica, ora come dice Kautsky "il fautore della scienza non è il proletariato, ma gli intellettuali borghesi; in effetti è nella mente di certi individui di questa categoria che si è formato il socialismo contemporaneo (...) Così dunque la coscienza socialista è un elemento importato dal di fuori. L'avanguardia è dunque estranea al proletariato. E' questa che, portatrice della coscienza socialista, deve prendere la direzione del proletariato nella sua lotta, condurlo verso la rivoluzione e il socialismo. Se il proletariato è incapace di arrivare alla coscienza socialista, è a causa della sua stessa situazione, del suo 'essere sociale' che determina la sua coscienza. Ora il suo essere sociale, sotto il capitalismo, gli impedisce di sbarazzarsi delle sue 'tare piccolo-borghesi' che sono il diretto riflesso della sua oggettiva situazione sociale". "Non sarà che dopo che l'avanguardia del proletariato (...) avrà liberato gli sfruttati dal loro stato (...) che sarà possibile realizzare l'istruzione, l'educazione e l'organizzazione della più larghe masse di lavoratori e di sfruttati attorno al proletariato, sotto la sua influenza e direzione, che sarà possibile sbarazzarle dal loro egoismo, dalle divisioni, dalle tare, dalle loro debolezze nate nel regime della proprietà privata e di farne una libera associazione di liberi lavoratori" (cfr. Lo Stato e la rivoluzione).

Constatiamo che è la concezione della coscienza di classe che serve da base e che determina tutta la concezione della lotta di classe, del ruolo dell'avanguardia della rivoluzione e della prima fase del socialismo. Per il leninismo è perché il proletariato non può giungere alla coscienza socialista sotto il capitalismo, bisogna che un partito si sostituisca alla classe, diriga la sua lotta, prenda il potere nel suo nome, imponga nel suo nome la sua dittatura, per poter infine realizzare l'educazione e l'organizzazione delle masse e sbarazzarle delle loro tare. Notiamo la curiosa applicazione del materialismo dialettico storico condotta da Lenin: è l'applicazione meccanicista all'estremo del principio "l'essere sociale determina la coscienza sociale" che fa sì che Lenin creda di poter affermare che il proletariato non possa arrivare sotto il capitalismo ad una coscienza socialista. Paradossalmente Lenin decreta al contrario che questa coscienza nasce nello spirito degli intellettuali. Bell'esempio di idealismo, dove il movimento delle idee sembra interamente autonomo, sviluppandosi nell'astratto senza ancoraggi con la realtà: come "l'essere sociale" degli intellettuali può produrre una presa di coscienza socialista? Ma l'essenziale non è questo. Dobbiamo denunciare e combattere la concezione leninista della coscienza di classe, non solamente nei sui effetti, ma anche e in primo luogo nelle sue premesse.

Per fare ciò dobbiamo sviluppare la nostra teoria di coscienza di classe. Il proletariato può arrivare alla coscienza socialista prima del passaggio al socialismo? Lo può da solo? E qual è la natura di questa coscienza?

L'UTCL come organizzazione rivoluzionaria possiede una coscienza socialista molto elevata e molto organizzata: essa possiede una analisi della situazione, un programma d'azione e un progetto di società, in breve essa possiede (o dovrebbe possedere!!) un programma rivoluzionario. Ciò che è vero per una organizzazione può esserlo per il proletariato.

L'UTCL rivendica lo slogan "l'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi". Essa sostiene che nessuno può condurre in porto la rivoluzione sostituendosi al proletariato. Ancora di più, essa preconizza che, subito dopo la rivoluzione, il vecchio apparato statale debba essere smantellato, che sparisca ogni potere di minoranza sulla maggioranza, che le masse prendano esse stesse il potere, si auto-organizzino e si auto-amministrino.

Questo processo, per esistere, richiede evidentemente un alto livello di attività e di coscienza rivoluzionaria delle masse. Diremo che implica che il proletariato passi da una coscienza positiva ad una coscienza positiva del socialismo. Con questo intendiamo che i lavoratori non affermino soltanto la loro volontà di lottare contro il capitalismo, ma che abbiano una visione collettiva più o meno chiara non soltanto della necessità del socialismo, ma anche del suo contenuto. Una tale cosa è possibile? Come può operarsi? Qual è il ruolo di una organizzazione rivoluzionaria in questo processo? I testi del primo congresso portano alcuni elementi di risposta (e anche delle domande). "Pensiamo che i lavoratori in un periodo di offensiva generalizzata e di organizzazione di un contropotere siano capaci di elaborare essi stessi il loro programma rivoluzionario. La coscienza rivoluzionaria non giunge da intellettuali borghesi come pretendeva Lenin. Ma non giunge nemmeno da una avanguardia interna. E' la dinamica stessa delle lotte sociali e la pratica concreta collettiva che permettono la presa di coscienza di classe. Il ruolo dei rivoluzionari è indispensabile, ma dobbiamo avare chiaramente in testa che la rivoluzione non è il semplice prodotto della propaganda ma prima di tutto quello dei fattori economici sociali che ci determinano più di quello che noi li influenziamo. Rifiutiamo ad ogni formazione politica, anche libertaria, il diritto di pretendersi capace di elaborare il programma rivoluzionario in luogo dei lavoratori".

La posizione dell'UTCL è dunque chiara. I lavoratori non soltanto sono in grado di superare l'ostacolo trade-unionista, ma sono capaci di elaborare essi stessi il loro programma rivoluzionario. Questa affermazione non è gratuita, si basa su un'analisi della storia del movimento operaio internazionale: che si tratti della Comune di Parigi, in Russia nel '17, in Germania e in Italia nel '21, in Spagna nel '36, in Ungheria nel '56….., la pratica del proletariato è sempre stata sensibilmente la stessa. I movimenti rivoluzionari sono sempre stati spontanei sorprendendo sovente i partiti che pretendevano di dirigerli. In ogni movimento si sono visti i lavoratori dotarsi spontaneamente, e la maggior parte delle volte anche contro il parere dei partiti "operai", degli strumenti del loro potere: consigli, comitati di fabbrica…Il proletariato ha così fatto la prova delle sue aspirazioni all'auto-organizzazione e alla gestione diretta della produzione e della società. Ha egualmente provato le sue capacità di dirigersi da solo, di prendere in mano la gestione della produzione e l'organizzazione della società tutta intera. Anche se ha fatto degli errori che hanno condotto alla sua perdita, sia dimenticando di centralizzare il suo potere o non attaccando direttamente lo Stato, sia abbandonando il suo potere in occasione di questa centralizzazione, delegandolo a dei partiti che hanno portato i lavoratori in un processo di ricostruzione dell'ordine borghese, il bilancio delle esperienze storiche del proletariato è positivo. Va in ogni caso contro le tesi leniniste che subiscono una cocente smentita.

Ma lo sviluppo della coscienza socialista e della lotta di classe non segue uno sviluppo lineare per tappe: non c'è da principio presa di coscienza socialista delle masse (nel senso definito sopra) in un processo puramente ideologico, poi in seguito crescita della lotta di classe e rottura rivoluzionaria. C'è un processo complesso (e imprevedibile) di interazione congiunto della lotta di classe e della coscienza di classe. E' la crescita delle lotte (quantitativa e qualitativa) che permette l'evoluzione della coscienza di classe.

Per passare ad un livello superiore della coscienza di classe, è necessario un livello superiore della lotta di classe. Al limite, non c'è prima presa di coscienza rivoluzionaria e poi rivoluzione, c'è nello stesso tempo rivoluzione e presa di coscienza rivoluzionaria. E' nel e durante il processo rivoluzionario che il proletariato (re)inventa forme superiori di organizzazione e di azione. Per terminare su questo, ci sembra utile ricordare un dibattito che ha avuto luogo nel primo congresso, sulla spontaneità rivoluzionaria del proletariato. In questo congresso in effetti, il testo iniziale "la spontaneità e la creatività delle masse operaie si sono affermate come una costante storica di ogni scontro di classe contro classe", è stato emendato come segue: "la capacità e la creatività ecc.". Pensiamo che questo dibattito che forse non era centrale nel contesto del primo congresso, debba essere ripreso nel terzo: il proletariato è spontaneamente o potenzialmente (termine che è stato ugualmente respinto) rivoluzionario? La risposta a questa domanda non può essere unicamente teorica. Deve appoggiarsi sugli insegnamenti storici. E' ormai già evidente che l'analisi storica dovrà avere un posto importante in questo congresso e nel testo che ne uscirà. Abbiamo visto come la coscienza di classe può svilupparsi. Ma, fondamentalmente, quali sono i fattori che permettono che i proletari (e altri) possano un giorno scegliere il campo della rivoluzione? Quali sono le motivazioni possibili per una presa di coscienza rivoluzionaria?

Contraddizioni del capitalismo e motivazioni rivoluzionarie

Il capitalismo si è evoluto e si evolve senza tregua. In molti punti, le condizioni dei proletari occidentali non ha più nulla in comune con quella dei proletari del secolo scorso. Il capitalismo si è rivelato capace, l'abbiamo visto, soddisfare in parte le rivendicazioni operaie, salariali in particolare. E' questa una delle spiegazioni principali della crescita del riformismo. Perciò alcuni credono di poter giungere ad un imborghesimento definitivo del proletariato; la sola speranza rivoluzionaria verrà ormai dal Terzo Mondo. Questa visione pessimista non è soprattutto riduttiva? Il livello di coscienza del proletariato è direttamente inverso al suo livello di povertà? Non ci sono state in passato altre contraddizioni e altre motivazioni che hanno giocato nell'emergenza delle crisi rivoluzionarie? Dire che oggi non ci sono più prospettive rivoluzionarie vale a dire che non ci sono più ragioni per fare la rivoluzione. Ora, a nostro avviso, queste ragioni esistono. Non solamente esse esistono ancora, ma esistono sempre più.

E' vero che oggigiorno le rivendicazioni economiche e materiali - salariali in particolare. Non possono avere il ruolo di detonatori rivoluzionari: si vedono male i lavoratori che salgono sulle barricate per ottenere il 10% d'aumento sui salari o per una nuova settimana di ferie pagate. Per il soddisfacimento di queste rivendicazioni, i lavoratori fanno affidamento all'azione sindacale e all'azione politica riformista.

Affinché la rivoluzione non sia un mito, bisogna dunque che esistano, almeno, allo stato latente, delle altre aspirazioni potenzialmente rivoluzionarie, vale a dire, non potendo essere soddisfatte che da un rovesciamento profondo dei rapporti di produzione, il rovesciamento del capitalismo e la costruzione del socialismo. Dobbiamo analizzare le contraddizioni moderne del capitalismo e le aspirazioni che da esso ne conseguono.E' una necessità per giustificare la nostra posizione rivoluzionaria. E' anche una necessità per la nostra pratica: si tratta di definire quali sono gli aspetti del capitalismo che noi dobbiamo denunciare prioritariamente, quali sono le contraddizioni sulle quali dobbiamo pesare nel nostro intervento. Questo dimostra chiaramente che il III Congresso non avrà soltanto come compito di elaborare la nostra visione della società futura ma che dovrà anche attaccarsi all'analisi della società capitalista contemporanea, e ciò in modo molto più fondamentale, molto meno superficiale di quanto si è fatto finora nell'organizzazione. Ecco qualche elemento di riflessione, di cui siamo i primi a riconoscere l'estrema insufficienza.

A) - Il capitalismo è una società di sfruttamento

Anche se il proletariato non vive più nella miseria materiale (almeno nella maggioranza), il sentimento dello sfruttamento dimora profondamente radicato. Il capitalismo risposa sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, dove la maggioranza lavora affinché la minoranza si arricchisca, e questa situazione è percepita - per la maggioranza sfruttata - come intollerabile.

B) - Il capitalismo è una società di ineguaglianza

Lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo implica l'ineguaglianza delle ricchezze. Se il proletariato non vive più nella miseria, constata l'ineguaglianza fra le sue condizioni di vita e quelle della borghesia, minoranza privilegiata che accaparra le ricchezze e i divertimenti, prodotti del lavoro di tutti. 

Ma l'ineguaglianza si esprime anche su un piano mondiale, fra i paesi del centro che vivono nell'opulenza e quelli della periferia, dove i malnutriti sono centinaia di milioni.

C) - Il capitalismo è una società di alienazione

Con questo vogliamo dire che, al di là della espropriazione dei mezzi del suo stesso lavoro e dei frutti di questo lavoro, il proletario è privato della sua stessa vita. In tutti i settori della vita sociale, l'individuo è privato di ogni potere e anche di ogni diritto di controllo sulle decisioni che condizionano direttamente la sua esistenza.

D) - Il capitalismo è una società di spreco

Il metodo di produzione capitalista, basato unicamente sulla ricerca del più grande profitto, della massima produzione e della massima estrazione di plus-valore, conduce inevitabilmente ad irrazionalità e a sprechi inauditi. La sottomissione dell'innovazione tecnica al solo criterio di resa, fa sì che la messa in opera di tecniche, che sarebbero evidentemente proficue per l'umanità, ma che non sono redditizie, sia ritardata o annullata. Così la ricerca del più alto profitto e le crisi che ne seguono, provocano un enorme spreco di forze produttive materiali ed umane. La disoccupazione è uno degli aspetti di questo spreco. L'organizzazione capitalista della produzione e del lavoro conduce anch'essa ad uno spreco immaginato di forza lavoro. Affermare che si può oggigiorno, allo stadio attuale dello sviluppo delle forze produttive, passare a 2 ore di lavoro al giorno, senza diminuire il livello di vita, ecco un tema di propaganda eminentemente sovversivo. Infine, il capitalismo conduce all'esaurimento delle risorse del globo, all'inquinamento generalizzato, che non hanno che una causa, la preoccupazione della resa a tutti i costi. Ecco quali sono le ragioni per fare la rivoluzione. Ecco quali sono le possibili motivazioni per una presa di coscienza rivoluzionaria di massa. Ma quale sarà la classe, che portando in sé queste aspirazioni, sarà capace di rovesciare l'ordine sociale esistente?

Rivoluzione e classe rivoluzionaria

Il 3° Congresso non potrà fare degli avanzi di dibattito sulla natura del proletariato.

Non cercheremo ora di approfondire la prima questione. Restano le altre due.

Una classe è rivoluzionaria semplicemente perché ha interesse alla rivoluzione? Il proletariato sarebbe la sola classe rivoluzionaria semplicemente perché non ha nulla da perdere e tutto da guadagnare nel rovesciamento del capitalismo? Si può affermare oggi seriamente che il proletariato non ha da perdere altro che le sue catene? Se per essere rivoluzionari è sufficiente avere interesse alla rivoluzione, possiamo dire al limite che tutti sono rivoluzionari, poiché il socialismo deve segnare la liberazione dell'intera umanità. Il testo del I Congresso, citato sopra, va fortunatamente più in là affermando che "è il proletariato, e lui solo che può operare questa distruzione e mettere in piedi una società senza classe e senza stato".

Ciò che è essenziale qui è l'affermazione del ruolo costruttivo del proletariato. Se il proletariato è la sola classe rivoluzionaria, è perché è la sola classe che, attraverso la sua azione collettiva, può realizzare l'effettiva trasformazione dei rapporti di produzione. Non è perché forma la frazione più miserabile e dunque la più adatta a rivoltarsi, ma perché è la sola classe capace di trasformarsi da "classe in sé" a "classe per sé", la sola classe capace di sviluppare una collettiva azione rivoluzionaria per abbattere il capitalismo e gettare le basi per un nuovo modo di produzione. Non è classe rivoluzionaria la classe che vuole la rivoluzione, ma la classe che può la rivoluzione. Così le classi medie, insieme eterogeneo vagante da un polo all'altro della società, alleandosi a volte al proletariato, a volte alla borghesia, non possono assumersi questa carica storica.

Vale a dire che il proletariato può fare da solo la rivoluzione? Questo ci sembra anche difficilmente concepibile. Se si intende con ciò che il 55% della popolazione attiva deve fare la rivoluzione contro il restante 45%, è lo stesso totalmente escluso. Il proletariato deve avere un ruolo dirigente nella rivoluzione, ma deve anche assicurarsi la neutralità e anche il concorso di una parte notevole del resto della popolazione. Ecco dunque posto il problema delle alleanze di classe (non contate su di noi per risolverlo). Quali alleanze? Con chi? Su quali basi? Infine deve essere posta la questione dei rapporti tra le diverse frazioni del proletariato: il proletariato di fabbrica, la classe operaia in senso stretto ha un ruolo privilegiato da giocare?

Su tutti questi temi non pretendiamo di portare delle risposte facili, e non siamo nemmeno in grado di fare avanzare il dibattito in modo concludente. Per arricchire questo punto di nuovi elementi, ecco un vecchio testo (notate il paradosso) che pone certe interessanti questioni (al nostro posto, che è molto più riposante). E' tratto dal Manifesto Comunista-Libertario della FCL: "...solamente la classe sfruttata, come forza sociale, è un fattore rivoluzionario. Vogliamo dire con ciò che la classe dei lavoratori costituisce la classe-messia, che gli sfruttati possiedono una provvidenziale chiaroveggenza, tutte le qualità e nessun difetto? Sarebbe cadere nell'idolatria operaia, in una nuova metafisica. Ma la classe sfruttata, alienata, mistificata, frustrata, il proletariato, preso in senso largo (...), questa sola classe può, per la sua posizione economica e sociale, rovesciare il potere e lo sfruttamento. Solo i produttori possono realizzare la gestione operaia, e cosa sarebbe la rivoluzione se non fosse il passaggio alla gestione di tutti i produttori? La classe proletaria è dunque la classe rivoluzionaria per eccellenza, poiché la rivoluzione che può compiere è una rivoluzione sociale e non solamente politica, e che liberandosi essa libera tutta l'umanità; spezzando i poteri della classe privilegiata essa sopprime le classi. Senza dubbio, nella società attuale, le classi non hanno precisi limiti. E' nel corso dei diversi episodi della lotta di classe che avviene la separazione. Non ci sono limiti precisi, ma ci sono due poli: proletariato e borghesia (capitalisti, burocrati, ecc.); le classi cosiddette medie sono straziate nei periodi di crisi e si orientano verso l'uno o l'altro polo; sono incapaci da sole di dare una soluzione, perché non hanno né le caratteristiche rivoluzionarie del proletariato, né realmente la gestione della società attuale, come la borghesia propriamente detta. Si osserva per esempio negli scioperi, che una parte dei tecnici (soprattutto quelli che sono di fatto degli specialisti, quelli dei servizi di studio, per esempio) si accosta alla classe operaia, mentre un'altra parte, tecnici che hanno un ruolo di quadri e una grossa parte delle maestranze si allontanano dalla classe operaia, ameno per un po'. C'è dunque il proletariato. C'è la sua parte più decisa, più attiva, la classe operaia propriamente detta. C'è anche qualcosa di più vasto del proletariato che comprende altri strati sociali e che bisogna far partecipare nell'azione: sono le masse popolari che comprendono oltre al proletariato i piccoli contadini, gli artigiani poveri, ecc.

 

III - La Rivoluzione

Riforma e rivoluzione

Il primo compito del progetto rivoluzionario è di spiegare perché sia necessario un cambiamento del sistema. Il secondo compito del progetto rivoluzionario è di spiegare perché solo la via rivoluzionaria può permettere di realizzare questo cambiamento di sistema. Dopo aver condotto una critica del socialismo, il progetto rivoluzionario dovrà dunque condurre una critica serrata del riformismo. Come si opererà il passaggio dalla società capitalista a quella socialista? Su questa questione centrale, due tesi (ciascuna don delle molteplici sfumature) dividono da tempo il movimento operaio: la tesi riformista e quella rivoluzionaria, alla quale aderiamo.

La prima pretende che il passaggio al socialismo avverrà con un lento processo di trasformazione progressiva; un accumulo di riforme condotte, in particolare, grazie alla legalizzazione al potere (per via elettorale) dei partiti che pretendono di rappresentare i lavoratori. Questa successione di riforme permetterebbe così a poco a poco di cambiare la natura del sistema e di mettere in atto, senza urti, strutture ed istituzioni socialiste. Si tratterebbe di usare contro la borghesia la sua stessa legalità, e di spodestarla "dolcemente" senza quasi che essa realizzi cosa sta accadendo!

Ma chi può immaginare che questa non reagirà? Una tale strategia è alle volte naif e alle volte demagogica. Nei due casi conduce il proletariato in un vicolo cieco.

Naif, non nota la violenza: la borghesia non si lascerà mai spodestare senza lottare. La via legale è illusoria proprio perché la borghesia non è disposta a rispettare la sua legalità, quando questa si ritorcerebbe contro di essa. Tutta la storia del movimento operaio internazionale ce lo dimostra, basta ricordare l'esempio ancora fresco del Cile.

Demagogica, si fa scudo dell'etichetta "socialista" e fa uso di un linguaggio "rivoluzionario" destinato a recuperare le aspirazioni dei lavoratori per meglio tradirli e condurre in porto una politica di collaborazione ci classe, una strategia di semplice regolamentazione e gestione del capitalismo.

Così la via riformista si ferma fatalmente, per i lavoratori, in una impasse: o le conquiste ottenute non mettono per niente in causa il potere della classe dominante o la minacciano realmente e allora, certamente, essa reagirà in una maniera o nell'altra, il più delle volte in modo violento (repressione di massa, guerra civile, dittatura). Nei due casi il proletariato è comunque perdente. Per questo vediamo una sola soluzione: la rivoluzione. Ma cos'è veramente la rivoluzione? 

Cos'è la rivoluzione

"La rivoluzione, vale a dire il passaggio dalla società di classi alla società comunista libertaria senza classi, deve essere considerata come un lento processo di trasformazione o come una insurrezione? Le basi della società comunista si formano all'interno della società di sfruttamento e le nuove condizioni tecniche, economiche dei rapporti di classe, le nuove idee, entrando in conflitto con le vecchie istituzioni determinano una crisi che provoca uno scioglimento brusco e decisivo, portando un cambiamento preparato da lungo tempo in seno alla vecchia società. La rivoluzione è il momento in cui nasce la nuova società rompendo i quadri della vecchia: capitalismo di stato, ideologie borghesi. Si tratta di un passaggio reale e concreto fra due mondi. La rivoluzione può dunque prodursi solo in condizioni obiettive: crisi profonda del regime delle classi. Questa concezione non ha niente a vedere dunque con la vecchia concezione romantica dell'insurrezione, del cambiamento realizzato "dall'oggi al domani" senza preparazione. Non ha nemmeno niente da spartire con la concezione generalizzata, puramente evoluzionista, dei riformisti o dei fautori della rivoluzione-processo. La nostra concezione della rivoluzione, ugualmente lontana dall'insurrezionalismo e dal gradualismo, può dunque concretizzarsi nella nozione dell'atto rivoluzionario preparato lungamente nel seno della società borghese, ma ben determinato nel tempo, nel suo principio con l'intervento insurrezionale del proletariato contro la borghesia e nella sua conclusione con la presa e la gestione dei mezzi di produzione e di scambio da parte delle organizzazioni delle masse. E' questa conclusione che dell'atto rivoluzionario che segna una linea di demarcazione fra l'antica società e la nuova". (cfr. Il Manifesto dei Comunisti Libertari)

La rivoluzione che vogliamo è una rivoluzione sociale, non ha niente a vedere con le "rivoluzioni di palazzo" che si contentavano di cambiare il personale politico, senza intaccare i rapporti di produzione e le istituzioni. Ma è impossibile, e inutile, elaborare uno schema descrittivo dell'atto rivoluzionario. La storia dimostra che questo processo può prendere molteplici forme, anche se si possono rilevare delle costanti e che la crisi finale può scoppiare in contesti e per ragioni differenti. La rivoluzione è un atto essenzialmente imprevedibile. Questo non vuol dire che scoppi bruscamente, senza essere stata preparata. In effetti non è che il risultato di una lunga maturazione della lotta di classe che prepara la crisi finale.

Ecco perché dobbiamo fare un concreto legame tra il nostro programma d'azione e il nostro progetto di società. Come appare nel testo del I Congresso: "...poiché l'insieme della lotta dei militanti dell'UTCL si inserisce in una prospettiva rivoluzionaria, l'azione dell'UTCL consiste in due punti:

  1. Difendere delle prospettive di lotta che facciano da legame tra gli attuali problemi dei lavoratori e il progetto rivoluzionario (...)
  2. Difendere da oggi, e presso tutti i lavoratori, le idee base della prospettiva comunista-libertaria."

L'UTCL applica questa strategia difendendo l'idea dello sciopero generale (anche se non è immediatamente insurrezionale, questa contiene già delle potenzialità sovversive - testo del I Congresso); lottando per la democrazia sindacale e operaia (l'autogestione sociale passa attraverso quella delle lotte); lavorando dappertutto per la massima auto-organizzazione, etc.

Il III Congresso dovrà riflettere e approfondire questi temi e queste opzioni strategiche. Dovrà anche affrontare altre, per criticarle: nazionalizzazione, controllo operaio, etc.

Dovrà anche considerare la questione del doppio potere nella fase immediatamente pre-rivoluzionaria (ricordiamo che i testi del I Congresso menzionano questo termine senza mai chiarirlo). Può esistere ad un certo momento, di fianco al potere della borghesia, un potere operaio, un contropotere organizzato? Questa coesistenza può, se mai esiste, durare a lungo? Ancora una volta le risposte non possono essere unicamente teoriche, ma devono appoggiarsi agli insegnamenti storici.

Rivoluzione in un solo paese/Rivoluzione internazionale

Possiamo sperare, nell'attuale contesto mondiale, di costruire il socialismo in un solo paese? A nostro avviso la risposta deve essere negativa. Come annota Georges Fontenis nel suo testo sull'internazionalismo proletario (B.I, n°16) "la divisione internazionale del lavoro o, se di preferisce, l'organizzazione internazionale della produzione, crea una interdipendenza generale, che impone una concezione internazionale della rivoluzione".

La Francia non può vivere in autarchia. Anche l'Europa non può farlo attualmente, almeno, dal punto di vista delle sue risorse in materie prime e in energia. Se la rivoluzione scoppiasse domani saremmo incastrati, obbligati a negoziare con l'esterno. La borghesia mondiale non avrebbe bisogno di schiacciarci militarmente, gli basterebbe isolarci economicamente. Concepiamo dunque l'importanza primordiale di un internazionalismo proletario attivo. Della serie "approfittiamo dell'esperienza" ecco (per quelli che non leggono il B.I.) un estratto di Georges Fontenis: "E' importante precisare la nozione di rivoluzione internazionale, senza la quale l'internazionalismo proletario non sarebbe nulla, poiché sarebbe alla mercé delle tesi del 'socialismo in un solo paese'. Diremo dunque che la rivoluzione non può scoppiare simultaneamente in tutti i paesi, che non può essere un atto unico. Ma non può neppure essere concepita, come pretendono i leninisti, come la somma delle rivoluzioni nazionali, come estensione della costruzione del socialismo in un solo paese. Ma la soluzione, che non può che essere mondiale, può cominciare con la vittoria, in uno o più paesi, del proletariato, deve essere concepita come un susseguirsi di battaglie, di estensioni, di arretramenti, di vittorie. Così nell'ordine di un paese o di territori limitati, ci può essere rivoluzione operaia, presa del potere da parte del proletariato, ma non è l'instaurazione del socialismo. Per dirla altrimenti, un processo rivoluzionario ha senso solo se suppone l'estensione agli altri paesi, la lotta incessante generalizzata mondialmente. Questo vuol dire che l'internazionalismo proletario deve essere il rifiuto di ogni concessione a qualsiasi borghesia, specialmente nel quadro della lotta di liberazione dei paesi sottomessi al più grande imperialismo, dove la partecipazione a queste lotte e il loro sostegno deve dipendere dalla possibilità di rovesciamento o di rigetto delle borghesie di questi paesi. Una tale concezione dell'internazionalismo proletario impone ai rivoluzionari la priorità di sviluppare la presa di coscienza dei lavoratori, la messa in atto della costruzione di efficaci legami internazionali. Dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che c'è moltissimo da fare e che non manifestiamo molto, fino ad ora, la nostra preoccupazione di costruire veramente una vera internazionale".

Le prime misure della rivoluzione

E' inutile cercare di produrre uno schema fatto, una strada da seguire per la rivoluzione. Ma se questa scoppierà un giorno, si troverà immediatamente di fronte a dei compiti immensi e a difficoltà molto grandi. Come militanti rivoluzionari organizzati, avremo da fare delle proposte concrete e dovremo anche agire per fronteggiare la situazione. Ci sembra importante prepararci sino da oggi. Della serie "inutile stancarsi a riscrivere ciò che altri hanno già scritto", ecco un testo di Castoriadis, estratto da "Contenuto del socialismo", che ci sembra interessante anche se non esauriente: "Anche se domani, in Francia (...), si costituissero dei Consigli operai, stabilissero il loro potere e non avessero a subire una invasione militare straniera, non potrebbero fare altro che:

tutte queste misura sarebbero di una necessità immediata e conterrebbero l'essenziale del processo di costruzione del socialismo."


Parte II

Indice