COMUNISTI ANARCHICI: UNA QUESTIONE DI CLASSE
1.1. Bakunin (ovverosia
della fonte)
Michail Aleksandrovič Bakunin (1814-1876) rappresenta nella storia delle idee anarchiche una tappa fondamentale e sicuramente la base di ogni anarchismo di classe. La vita avventurosa, unita alla scarsa propensione per la sistematicita, fa si che per lui valga totalmente quanto affermato poco sopra circa la necessita di una ricostruzione faticosa del suo sistema di pensiero, pure coerente e organico. Gli spunti disseminati in brevi opuscoli, articoli, lettere, annotazioni, etc. sono quasi sempre il supporto alle analisi del momento e sono quindi stati soggetti ad essere utilizzati per le cause più disparate, in quanto mai raccolti in una trattazione che ne chiarisse univocamente la collocazione. Pure, una lettura attenta non dovrebbe dare adito a soverchi equivoci (se non voluti); come detto, pero, tale compito viene lasciato ad altre occasioni, per soffermarsi, in questa sede, solo a rintracciare gli snodi fondamentali della sua riflessione al fine della costruzione della teoria comunista anarchica Gia nella sua impostazione sono presenti, infatti, i tratti distintivi di questa teoria, e più precisamente: l’assetto della società da costruire, il ruolo dell’avanguardia, il dualismo organizzativo e la necessita di una strategia rivoluzionaria che partisse dalla conoscenza dei rapporti economici e di classe della situazione reale che ci si trova a vivere. Ognuno di questi argomenti verrà trattato in seguito. Qui si intende solo mettere in evidenza il contributo alla loro definizione da parte di Bakunin.
Per opera sua l’anarchismo esce dalle secche protoanarchiche di Godwin e Proudhon, si affranca dal mito dell’individuo e della sua libertà garantita dal possesso, per divenire autenticamente collettivista e, in prospettiva, comunista. La società futura immaginata è federalista, basata sulla libera unione di comuni su basi locali e comuni di produzione, antigerarchica, ma non ha più, come per Proudhon, la propria cellula fondamentale nel nucleo familiare dell’artigiano, orgoglioso della conoscenza del proprio mestiere e proprietario dei mezzi di produzione necessari: questi ultimi invece vengono considerati, di necessità, gestiti dalla collettività attraverso associazioni funzionali alla produzione e al consumo.
Il ruolo dell’avanguardia nel processo rivoluzionario è stato un pensiero fisso per Bakunin.
Se le sollevazioni popolari di Lione, Marsiglia e di altre città della Francia sono fallite, è per mancanza di organizzazione […]. Per lui l’organizzazione deve essere formata da individui coscienti dei fini, concordi e quindi deve risultare quanto mai coesa. Il gusto della cospirazione, connaturato al suo impulso romantico, e la necessità della clandestinità, con tutta evidenza necessitato dall’epoca dello svolgimento dei fatti, lo spinsero ad una concezione dell’organizzazione molto rigida fino ad eccessi, inaccettabili non solo dagli anarchici, ma persino dai marxisti più integralisti di cui si possa avere esperienza; per convincersene basta leggersi alcune pagine dell’opuscolo
Agli ufficiali dell’esercito russo. Ma seppure queste punte estreme, concepite anche sotto l’influenza di Sergej
Gennadievič Nečaev, sono quasi folcloristiche, resta il fatto che sempre Bakunin ha concepito l’organizzazione dei militanti coscienti della lotta di classe (i comunisti anarchici) come una struttura democratica nell’assumere le decisioni, ma disciplinata, e dove i ruoli che ciascuno ricopre corrispondono alle assunzioni di responsabilità indispensabili al suo funzionamento ed alla sua efficacia; e questo senza perdersi in sofismi circa la necessità di ogni individuo alla libertà di azione, che tanto hanno nuociuto allo sviluppo del movimento anarchico. Ciò per due buoni motivi. Il primo è che la scelta della militanza è volontaria e, di per sé, comporta la chiarezza delle regole attraverso le quali l’organizzazione sviluppa la propria azione rivoluzionaria e di conseguenza la loro condivisione. La seconda è che l’organizzazione politica non è, per Bakunin, la prefigurazione della società futura, la quale si deve permeare sulla vita delle masse, e quindi non deve prefigurare nel suo funzionamento alcunché, ma solo rispondere ai compiti che essa si propone con il massimo di efficienza.
Questo rimanda alla terza caratteristica fondamentale del pensiero bakuniniano: la netta separazione tra l’organizzazione politica e quella del proletariato. La prima, cosciente dei fini, organizzata disciplinata è l’anima della rivoluzione, quella che ne orienta l’evoluzione, che la promuove e la sostiene. La seconda è quella che, accogliendo tutti gli sfruttati, fa la rivoluzione e costruisce la società di liberi ed eguali, percorrendo un cammino non breve attraverso l’inevitabile caos iniziale. In questa distinzione non vi è alcun dirigismo blanquista (diremmo oggi leninista), in quanto l’organizzazione dell’avanguardia rivoluzionaria non ha complessiva dei lavoratori e non si sostituisce mai ad essi nelle decisioni da prendere: si limita a cercare di orientare le masse nel loro cammino rivoluzionario.
Per far ciò la struttura politica dell’avanguardia rivoluzionaria non deve solo enunciare principi, tanto giusti quanto sterili; deve avanzare proposte concrete, legate al tempo ed al luogo dove si svolge la sua azione.
Ciò significa analizzare il contesto storico in cui ci si trova ad operare, come Bakunin fece mirabilmente analizzando la situazione italiana e suggerendo le mosse a suo avviso utili da fare nelle lettere agli internazionalisti italiani indirizzate a Celso Ceretti. Tutto ciò senza sottostimare aspetti in apparenza accessori, ma fondamentali nel conferire efficacia all’azione dell’organizzazione, quali il finanziamento ed i reperimento delle risorse che rendono possibile la sua stessa esistenza.
Questi quattro principi, avanzati per la prima volta con chiarezza proprio da lui, non lasceranno mai più l’evolversi della teoria dei comunisti anarchici e ne costituiranno l’ossatura permanente.