COMUNISTI ANARCHICI: UNA QUESTIONE DI CLASSE
1.2. Fabbri (ovverosia
della maturità)
Luigi Fabbri (1877-1935) ha avuto una vita molto meno avventurosa di quella di Bakunin, ma ha militato tutta la vita sia nel movimento anarchico specifico, sia nelle organizzazioni del movimento operaio. Il suo nome, anche per militanti anarchici di vecchia data, è speso oscurato da quello del contemporaneo Malatesta.
Ma senza nulla togliere all’importanza del ruolo di anima, anche teorica, del movimento giocata da quest’ultimo (si pensi alla chiarezza con cui affrontò il dibattito sul ruolo del sindacato col francese Pierre Monatte al Congresso di Amsterdam del 1907), quella di Fabbri fu una posizione più coerente, meno venata di un generico umanesimo dal sapore tendenzialmente interclassista, più attenta al ruolo dell’organizzazione politica. Si può affermare che Fabbri abbia portato alle sue logiche conseguenze gli spunti che Bakunin aveva elaborato durante la sua militanza nella Ia Internazionale, fornendo alla teoria un quadro completo ed autoconsistente, pressoché definitivo. Due argomenti per tutti.
Il ruolo dell’organizzazione di massa (o sindacato) fu per Fabbri sempre definito chiaramente, quale agente unico ed insostituibile della rivoluzione, ma anche, necessariamente, come luogo unico dell’apprendistato rivoluzionario del proletariato tutto. Per questo essa non può astrarsi troppo dai livelli di coscienza espressi dalle masse reali, pena trasformarsi nell’immagine virtuale che l’avanguardia si fa di un movimento rivoluzionario, frutto del desiderio e non della realtà dello scontro di classe.
Coloro degli operai che hanno convinzioni determinate [...] in seno alle organizzazioni di classe, devono pensare che lì dentro non tutti condividono le loro idee e che perciò, per rispetto alle opinioni e libertà altrui, hanno il dovere di mantenere il patto per cui le organizzazioni sono sorte, lavorando attorno agli scopi comuni e senza volerle trascinare a servire scopi speciali – anche creduti buoni, ma che non corrispondono al desiderio degli altri. Da ciò la condanna di qualsiasi scissione dentro l’organizzazione operaia (anche quella che all’epoca vide la nascita dell’USI, financo se questa fu il frutto delle male arti dei riformisti). A fianco dell’organizzazione di massa egli prevedeva la presenza di un’organizzazione politica strutturata e coesa, tant’è che nel primo dopoguerra fu tra i promotori dell’UCAd’I (Unione dei Comunisti Anarchici d’Italia), prima che la spinta unanimista di Malatesta lo spingesse alla formazione dell’UAI (Unione Anarchici Italiani).
Quando, nel 1926, il movimento anarchico internazionale fu scosso dalla proposta organizzativa elaborata da alcuni rifugiati russi a Parigi (Makhnò, Ida Mett, Pëtr Aršinov, etc.), la Plate-forme d’organisation de l'Union Générale des Anarchistes – Projet, e molti militanti di grande prestigio urlarono allo scandalo per i toni ritenuti troppo dirigisti della stessa, Fabbri prese una posizione molto responsabile, riconoscendo che essa metteva sul terreno della discussione una quantità di problemi inerenti al movimento anarchico, al posto degli anarchici nella rivoluzione, all’organizzazione dell’anarchismo nelle lotte, eccetera, che devono essere risolti, altrimenti la dottrina anarchica non continuerà a rispondere alle esigenze crescenti della lotta e della vita sociale nel mondo contemporaneo.
È, infine, da ricordare la lucidità di analisi che gli permise per primo di prevedere con chiarezza gli sviluppi della rivoluzione russa da poco avvenuta e la natura controrivoluzionaria dell’imminente regime fascista.