COMUNISTI ANARCHICI: UNA QUESTIONE DI CLASSE

 

3.3. Lotta di classe (antagonismi)
 

Come detto, la concezione materialistica della storia implica la concezione che la società è divisa in classi e che gli interessi di queste classi siano fatalmente contrapposti, inconciliabili. Anche questa è una concezione comune a tutta la sinistra di classe, anarchica e non; la lotta che si sviluppa tra i diversi interessi presenti nel corpo sociale, la lotta di classe, non è un’invenzione del marxismo (come pensano alcuni anarchici aclassisti), ma una realtà, la cui coscienza era preesistente ai lavori teorici di Marx ed Engels, anche se questi ultimi ne hanno dato una descrizione coerente e convincente. Come nel caso del materialismo storico, però, anche in questo caso le vie tra marxismo (sarebbe meglio dire marxismi) e il comunismo anarchico si sono presto divise su tre punti fondamentali: le cause della lotta di classe, lo sviluppo della lotta di classe ed il rapporto tra la condizione di classe del proletariato e la coscienza che esso elabora di questa condizione.

Per l’anarchismo comunista la lotta di classe si sviluppa all’interno del pieno rigoglio della società capitalistica prima di tutto per le condizioni materiali che il proletariato vi si trova a vivere, ma, poiché tali condizioni non sono nuove e nemmeno più terribili di quelle esistenti in altre epoche, altre concause vanno ricercate: sicuramente un ruolo fondamentale viene giocato dal fatto che l’organizzazione capitalistica del lavoro concentra grosse masse di lavoratori nello stesso spazio fisico, sia nella produzione che nella vita quotidiana, facilitandone l’aggregazione politica. Fin qui l’accordo con il marxismo è completo. I marxisti, però, tendono a sopravvalutare questi dati importanti, fino a considerarli unici e leggendoli tutti all’interno di un moto interiore delle forze produttive, che nel loro sviluppo creano le condizioni per la nascita dell’antagonismo operaio e quindi minano, per ciò stesso, dall’interno la vita stessa della società classista capitalistica. Limitano pertanto la lotta di classe solo alla specie che essa assume nel conflitto di fabbrica, ed in particolare nell’industria, che più rappresenta lo stadio avanzato dello sviluppo tecnico e produttivo. I comunisti anarchici, viceversa, pur riconoscendo l’importanza decisiva dei due fattori ricordati prima, pensano che altri giochino un loro ruolo: la crescita dell’istruzione (non tanto come scolarizzazione, quanto come circolazione delle idee), che il lavoro liberato dagli schemi feudali si trascina dietro; un’idea di giustizia sociale, che emerge dalle nebulose insofferenze generate da sempre in ogni società segnata da profonde ineguaglianze; ed infine l’utopia, come prefigurazione di un mondo meno iniquo. Fattori sovrastrutturali (oppure idealisti o peggio piccolo-borghesi), direbbero i seguaci di Marx, ma che rivestono anch’essi grande importanza, e che soprattutto non relegano la lotta di classe a quella tra operai ed imprenditori, ma la allargano a tutta quella tra sfruttati e sfruttatori, comprese le rivendicazioni del mondo contadino.

Da qui discende il secondo punto di dissenso. Per i marxisti, laddove più il capitalismo si sviluppa, là più si approssima il momento della rivoluzione comunista, mentre i modi arretrati di produzione (artigianato, agricoltura contadina, etc.) vengono inesorabilmente e, al contempo, eliminati, agevolando il progresso. Le rivoluzioni però sono avvenute sempre laddove il capitalismo era ancora non pienamente sviluppato e se la classe operaia, nascente e minoritaria, ha fornito l’avanguardia politica degli sconvolgimenti, nulla è potuto avvenire senza il coinvolgimento delle masse sterminate dei contadini.

Il punto di divergenza più aspro è però l’ultimo: quello della relazione tra la condizione di classe e la coscienza dei propri reali interessi, come interessi contrapposti a quelli della classe proprietaria. Ancora una volta per i marxisti questo è un problema che non si pone: o perché, per alcuni di loro, i due termini (di classe e di coscienza di classe) finiranno fatalmente, deterministicamente, spontaneisticamente, per coincidere, sospinti dall’evolversi delle forze produttive, sovrapposti ad opera dello sviluppo della struttura economica; oppure, per altri, perché la coscienza di classe non è necessaria a tutta la massa del proletariato (e nemmeno alla minoranza operaia al suo interno), basta che sia sviluppata da un nucleo compatto di avanguardia, ovverosia il partito (nella versione leninista, addirittura, esterno al movimento operaio, essendo quest’ultimo incapace ad elevarsi verso la vera dottrina rivoluzionaria, in quanto appesantito dal proprio inevitabile economicismo, ovverosia i bisogni immediati e quotidiani, diversi ed inconciliabili con i suoi bisogni storici, che non esso può comprendere). Per i comunisti anarchici, invece, il rapporto tra la classe e la sua coscienza è mediato dall’avanguardia politicizzata, che agisce all’interno del proletariato per fargli prendere coscienza dei suoi interessi storici, proprio a partire dalle lotte giornaliere, per trovare risposta ai bisogni del momento: e questo perché solo un proletariato unito e cosciente può fare una rivoluzione consapevole ed iniziare come classe la costruzione della nuova società, senza delegare alcuno a questo compito.

 


3.4. La società di liberi ed eguali (comunismo)

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